Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Marzano: “La pubblica amministrazione riparta da smart working e open data”

Intervista alla fondatrice ed ex presidente degli Stati Generali dell’Innovazione: “Il digitale può trasformare il Paese ma ognuno, nel proprio campo, deve fare di più".

di Andrea De Tommasi

30 giugno 2020

“Un paio di mesi fa, in pieno lockdown, ho pensato alla realtà virtuale applicata alla Fontana di Trevi”.

In che senso, professoressa Marzano?

“Roma era deserta, senza turisti, niente lancio di monete nella fontana. Ho letto che la Caritas si è vista costretta a rinunciare a una somma importante su cui faceva affidamento per aiutare chi è in difficoltà. Mi sono detta: perché non adottare un Oculus, uno di quei dispositivi visuali che sul mercato costano poche decine di euro, per un walk throught interattivo dentro la piazza della Fontana di Trevi? Un’esperienza suggestiva: la passeggiata, la piazza, il rumore dell’acqua. Da casa sua, in Australia o in Islanda, un utente potrebbe lanciare la propria moneta e donare un euro. Un esempio di progetto a basso costo in termini tecnologici ma dal forte impatto sociale e turistico”.

Flavia Marzano, informatica, manager e docente universitaria, da più di 30 anni opera per l’innovazione della pubblica amministrazione. Negli ultimi dieci anni si è occupata soprattutto di Open government, Smart city, Agenda digitale, Open source, Open data, cittadinanza attiva, divario digitale e di genere. Ha fondato ed è stata presidente degli Stati Generali dell’Innovazione. Dal 2016 al 2019 è stata assessora a “Roma semplice”, con deleghe all’innovazione e alla trasformazione digitale. In questa intervista a FUTURA Network analizza perché le prospettive di trasformazione digitale nel nostro Paese sono poco incoraggianti e spiega come incentivi, open innovation e digitalizzazione della pubblica amministrazione possano colmare il gap tecnologico con gli Stati all’avanguardia.

In teoria, la politica sembra pronta a tutto questo. Nella pratica, cosa manca?

Sia a livello locale che nazionale, la politica fatica a comprendere che le tecnologie sono qualcosa di molto più grande rispetto alla semplice app o al drone. Pensiamo solo a quante cose si potranno realizzare con la crescita di settori tecnologici quali la robotica, i big data, l’intelligenza artificiale (telecamere intelligenti, cobot). Negli anni si sono succeduti tanti governi, ma non si è mai vista una reale consapevolezza da parte della classe politica intorno al tema centrale: il digitale è un’opportunità per trasformare il Paese. D’altronde basta guardare la composizione dei ministri di tutti i governi, perlopiù giuristi o economisti. Dopo tanti anni abbiamo di nuovo un ministero all’Innovazione e ciò rappresenta sicuramente un’opportunità.

Alla luce della sua esperienza da assessora, cosa possono fare nel concreto gli enti pubblici per semplificare la vita dei cittadini?

In questi mesi di lockdown ho preparato, con alcuni amici, un manuale semplificato dell’uso dei servizi online di Roma capitale. Da assessora la mia prima delibera è stata volta a istituire i Punti Roma Facile (PRoF), dove i “facilitatori digitali”, appositamente formati, sono a disposizione dei cittadini che hanno bisogno di indicazioni e consigli relativi all’uso del computer, alla navigazione in rete e all’accesso ai principali servizi online (prenotazioni di appuntamenti e servizi, certificati anagrafici e iscrizioni scolastiche, pagamento dei tributi). I facilitatori operano anche per favorire una partecipazione attiva. Prendi un appuntamento e trovi una persona, spesso un volontario del servizio civile, che ti dedica mezz’ora del suo tempo, ti aiuta a fare la pratica e allo stesso tempo ti insegna ad utilizzare il computer. La rete dei PRoF oggi conta più di 20 sedi attive in tutti i municipi di Roma. Questa è una iniziativa che va estesa in tutta Italia almeno nei Comuni grandi. A Roma i servizi digitali sono moltissimi, eppure i romani non li usano. Nonostante fare una pratica online sia un risparmio in termini di costi e di tempo.

Pensiamo un attimo agli open data: quanto sarebbe vantaggioso per la pubblica amministrazione, in termini di trasparenza ma anche di business, puntare sui dati di tipo aperto? Ciò significa promuovere una cultura di trasparenza e partecipazione dei cittadini, ammodernare la PA e, non ultimo, farne un modello di business per le imprese interessate.

Talvolta i primi a non condividere conoscenze e competenze nell’ambito della trasformazione digitale sono proprio gli amministratori: sindaco, assessori e dirigenti. In qualità di assessora disposi un assestment di tutto il software e l’hardware di ogni singolo dipartimento del Comune, scoprendo che molti uffici adottavano soluzioni analoghe, perché banalmente non si parlavano tra loro. Ciò che serve, invece, è condividere e mettere a sistema le buone pratiche, coordinare le attività degli uffici, lavorare meno per silos, perché questo fa risparmiare anche sui costi.

L’innovazione e la scienza offrono opportunità mai viste prima. Saremo bravi a coglierle nei prossimi anni per disegnare un futuro migliore per noi e il nostro Paese?

Conosciamo bene purtroppo i dati relativi all’ultimo “Indice di digitalizzazione dell’economia e della società”, il cosiddetto Rapporto Desi, che vede l’Italia al quartultimo posto in Europa. Il nostro Paese è sopra la media europea nell’offerta di pubblici digitali (e-government), ma abbiamo gravi carenze per quanto riguarda il “capitale umano” e gli specialisti Ict di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici. In questa dimensione, di cui fanno parte le competenze di base per l’uso di internet da parte della popolazione e le competenze più avanzate, l’Italia è ultima in Europa. La pubblica amministrazione italiana ha strumenti adeguati, da SPID, integrato con il regolamento europeo eIDAS, alla carta d’identità elettronica, ma gli italiani mediamente non li usano. Quanto all’uso delle tecnologie digitali da parte delle imprese, l’Italia occupa la ventitreesima posizione in Europa. Credo che ognuno debba fare la propria parte: lo Stato con incentivi alle aziende che generano strumenti innovativi e formazione ad hoc; imprese e startup con modelli di open innovation; università, centri di ricerca, fondazioni con percorsi di formazione; i cittadini con processi di partecipazione che li rendano utenti. Il Covid da un lato ci ha segregati in casa, dall’altro ci ha obbligato a usare il digitale e ciò rappresenta una grande opportunità che non possiamo assolutamente disperdere.

Lo sviluppo sostenibile ed etico è un tema piuttosto presente nel dibattito pubblico. Anche alla luce dei programmi nazionali e, soprattutto, di quelli della Commissione europea. Smart city, città sostenibile: vede un’accelerazione in questa direzione o al momento sono soltanto parole?

La città è smart è un modello di organizzazione che integra tutti i settori: scuola, mobilità, lavoro. In relazione alla sostenibilità, l’aspetto più evidente in questi mesi segnati dal Covid è stato il lavoro agile: fino ad oggi è stato telelavoro ma può diventare qualcosa di più importante in futuro. Approfittiamo di questa occasione per fare smart working nella pubblica amministrazione. Ci sono 3,2 milioni di dipendenti pubblici in Italia. Se un dipendente su tre, anche solo un giorno a settimana, lavorasse da remoto, quanto si guadagnerebbe in termini di sostenibilità ambientale e qualità della vita? Penso poi a mobilità elettrica, car sharing, bike sharing, incentivi alle persone per far condividere l’auto, economia circolare. Infine, puntare su urbanistica e sostenibilità, come proposto dal rapporto della commissione Colao, che prevede investimenti in edilizia abitativa e sociale.

 

di Andrea De Tommasi

martedì 30 giugno 2020