Quali regole per la PA nell’emergenza?
Dobbiamo sfidare la dirigenza pubblica ponendole obiettivi strategici e importanti. Obiettivi che superino la scrivania, l’ufficio di ciascuno e anche la singola amministrazione in cui opera.
di Carlo Mochi Sismondi
Con piacere inauguro con questo post un blog che parla dell’amministrazione pubblica, gioia e dolore di ogni cittadino e di ogni impresa. La pandemia ha portato con sé, oltre alla tragedia delle vittime e all’impatto sull’economia, una nuova centralità dell’azione pubblica. È alla sanità pubblica che si è affidata la risposta al Covid-19, è all’azione dello Stato, ma anche delle amministrazioni regionali e comunali che si guarda per un’attuazione tempestiva delle misure di sostegno alle famiglie e alle imprese, cominciando dai soggetti maggiormente in difficoltà.
È la PA poi che dovrà gestire, con procedure trasparenti e veloci, l’enorme mole di denaro che tre successivi decreti-legge, insieme ai nuovi strumenti finanziari dell’Unione europea, hanno stanziato per rispondere all’emergenza pandemica.
Purtroppo però la PA che conosciamo non è quella che vorremmo e che sarebbe adeguata a queste urgenze. Successive ondate di riforme, tutte “epocali”, hanno provato a cambiarla ma hanno ottenuto risultati sempre largamente al di sotto delle aspettative e delle promesse. In questo spazio, ospitato da questo nuovo sito, di cui condivido lo spirito e le motivazioni, cercherò di investigare perché è così difficile avere in Italia pubbliche amministrazioni adeguate ai complessi e crescenti bisogni delle comunità.
Oggi parliamo di una falsa alternativa, di una trappola apparentemente sensata in cui rischiamo di cadere in questo momento di fragilità anche emotiva. Si tratta della scelta, spesso sentita sui media, tra il rispetto delle regole della nostra pubblica amministrazione e la libertà di scegliere nell’emergenza senza avere lacci e lacciuoli. Messa così non c’è bisogno che vi dica dove cadrebbe la scelta di un’opinione pubblica, a cui per anni si è detto che la burocrazia è il male assoluto. Vi svelo però subito la conclusione del mio ragionamento: rifiuto la scelta e nel mondo del dopo covid-19 li pretendo entrambi. Voglio regole chiare, semplici e comprensibili, ma voglio che ci siano regole che disciplinino l’amministrazione pubblica. E le voglio perché questa amministra i soldi che come contribuente le do, ma molto più perché è, o dovrebbe essere, un baluardo in difesa degli interessi della comunità nazionale rispetto agli interessi privati.
Ma allo stesso tempo voglio anche che i dirigenti pubblici siano messi nella condizione di decidere e di usare una maggiore discrezionalità quando operano in situazioni di incertezza, ossia quasi sempre, ma soprattutto ora che siamo nella tempesta. Non voglio insomma che siano bloccati non dalle regole che, specie se sono poche e semplici alla fine garantiscono tutti, ma dalla paura. Perché la paura è sempre una pessima consigliera e porta a quella burocrazia difensiva che spesso abbiamo citato come causa della morte della responsabilità.
Come si arriva a questa situazione di equilibrio tra discrezionalità e regole? La ricetta non è banale, ma deve contare su alcuni ingredienti fondamentali, tante volte citati, ma che per ora sono mancati o sono stati troppo scarsi.
Il primo ingrediente l’abbiamo già chiamato in causa: le regole devono essere poche, semplici e comprensibili e non devono ambire a regolamentare qualsiasi aspetto della nostra vita. E’ inutile che vi ricordi la nostra bulimia legislativa, le nostre mille riforme inattuate, la perenne illusione del legislatore che fatta la legge si siano cambiati anche i comportamenti.
Dobbiamo poi scegliere con cura i dirigenti sulla base della loro effettiva capacità di risolvere problemi. Non ci servono né yes men del politico di turno, né pedissequi esecutori di norme. Sceglierli con cura vuol dire ripensare i concorsi, favorire i percorsi lunghi, come i corsi-concorsi, effettuare una selezione oculata che privilegi veramente il merito per poter poi valorizzare i talenti di ciascuno.
Questo però non basta: dobbiamo sfidare la dirigenza pubblica ponendole obiettivi strategici e importanti. Obiettivi che superino la scrivania, l’ufficio di ciascuno e anche la singola amministrazione in cui opera, perché il mondo, come tragicamente vediamo ora, è sempre più interconnesso e le grandi sfide dello sviluppo sostenibile, della lotta alle disuguaglianze, della crescita delle opportunità di lavoro, della trasformazione digitale non possono essere affrontate e vinte se non uscendo dal palazzo, lavorando per filiere di amministrazioni, coinvolgendo tutte le componenti della società.
Questi obiettivi, che sono quelli che incombono oggi, ma che spero vedremo sempre più chiari dopo la fine dell’epidemia, non sono raggiungibili senza una buona amministrazione pubblica e senza regole.
Insomma, io voglio, come tutti, trovare in farmacia le mascherine che ci servono in questa tragica emergenza, ma non sono felice se per ottenerle a 50 cm. + IVA dobbiamo bypassare ogni regola. E se sento il Commissario straordinario dire che in questo momento non c’è la pubblica amministrazione, c’è solo l’emergenza un po’ mi preoccupo. Probabilmente ora non si può fare diversamente, ma io voglio che nel mondo del dopo covid-19 le regole dell’amministrazione pubblica ci siano e che siano forti e chiare e che costituiscano un aiuto al funzionamento delle nostre vite, una garanzia dei diritti di tutti, soprattutto dei più deboli, una cornice in cui si possa svolgere la vita ordinata della comunità. E voglio un’amministrazione forte, agile, competente che queste regole sia in grado di usarle come sostegno della sua azione e non come un continuo alibi per non rischiare.
di Carlo Mochi Sismondi, ideatore e fondatore di Forum Pa