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Sabbadini: il mondo non sta valorizzando metà del suo capitale umano

“Dalla conferenza di Pechino in poi i progressi per le donne sono stati troppo lenti”, avverte la direttrice dell’Istat, da poco nominata Chair del prossimo W20. “Se continueremo così pagheremo prezzi molto alti”. 02/11/20

di Andrea De Tommasi

“La riduzione delle diseguaglianze di genere nel mondo è innanzitutto un problema di potere e sarà centrale nei prossimi anni”. Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat per gli studi e la valorizzazione tematica delle statistiche sociali e demografiche, che nell’Istituto di Via Balbo ha il ruolo di pensare al futuro e al miglioramento delle statistiche necessario per affrontarlo, osserva con estrema preoccupazione lo scenario che si sta prefigurando a livello globale, certo, ma anche nel nostro Paese. Numerosi studi dimostrano che il Covid-19 incide pesantemente sulle prospettive occupazionali e sulla qualità del lavoro delle donne in Italia, anche perché il lavoro di cura rimane spesso invisibile e non riconosciuto. Ma inizia l’intervista con una panoramica generale.

Lei ha seguito lo sviluppo delle politiche di genere nel mondo fin dalla conferenza di Pechino, del 1995. Che cosa è successo in questi 25 anni? Ci sono stati cambiamenti significativi? E parlando di futuro, il target 1 dell’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030 recita: "Porre fine a ogni forma di discriminazione nei confronti di tutte le donne, bambine e ragazze in ogni parte del mondo”. Pensa che ci stiamo davvero avvicinando a questo obiettivo? O dobbiamo spostarlo al 2050? 

Ero alla conferenza mondiale delle donne a Pechino 25 anni fa. Una esperienza eccezionale, gli obiettivi più avanzati che una conferenza mondiale dei governi abbia mai elaborato verso l’uguaglianza di genere, tuttora validi, fortemente spinti dalla grande mobilitazione del movimento delle donne. Eravamo trentamila a Huairou al meeting delle Ong. Dodici aree critiche e strategiche per lo sviluppo della libertà femminile. Un quadro di riferimento fondamentale per lo sviluppo del mainstreaming e l’empowerment delle donne. A 25 anni di distanza nessun Paese ha certo raggiunto gli obiettivi di Pechino, avanzamenti ci sono stati ma troppo lenti rispetto alle necessità e non dappertutto. Bassi tassi di occupazione femminile anche in Paesi avanzati come il nostro, aree del mondo con livelli di istruzione ancora bassi, esclusione dai luoghi decisionali politici ed economici, stereotipi di genere elevati, violenza di genere contro le donne ancora molto diffusa. Il processo di liberazione delle donne è ancora troppo lento e mostra come l’uguaglianza di genere non sia entrata come dovrebbe nelle agende dei governi. Un’azione incisiva dei governi non si può più rimandare. L’avanzamento delle donne è l’avanzamento verso il futuro. Il mondo non sta valorizzando metà del suo capitale umano. I prezzi che pagheremo saranno molto alti. Investire sulla uguaglianza di genere significa ridurre disuguaglianze tra bambini, tra anziani e disabili, diminuire la povertà. Le donne devono unirsi per pretendere che questi obiettivi entrino nelle agende dei governi. Altrimenti nessuno lo farà.

È stata indicata al vertice del Women20 che si terrà in Italia il prossimo anno. Il W20 è un gruppo di interesse della società civile che ha l’obiettivo di elaborare proposte sull’uguaglianza di genere ai leader del G20. Quali obiettivi si dà?

Sono una donna delle istituzioni che ha sempre lavorato con la società civile. Cercherò di essere la voce forte e concreta della società civile e di fare tesoro della mia esperienza nelle istituzioni per tradurre i bisogni in obiettivi praticabili. Gli obiettivi saranno definiti sulla base di un’ampia consultazione che intendo aprire nell'associazionismo femminile. La questione del potere sarà centrale. Come ho rimarcato al summit W20 guidato dall’Arabia Saudita, le donne sono state un pilastro nella lotta contro il Covid, in tutti i Paesi, nella sanità e nelle case: questo mondo ha bisogno della loro guida. Interverremo su tutti gli assi della presidenza italiana con approccio di genere e proposte di empowerment femminile. Lavoreremo per fare in modo che le misure siano anche molto concrete, cercheremo di introdurre degli obiettivi quantitativi. Affronteremo anche la questione Donne e Pianeta: le donne sono fondamentali per la rivoluzione verde come dimostra anche il movimento di Greta Thunberg. L'uguaglianza di genere sarà il nostro mantra, permette di ridurre tutte le disuguaglianze, tra bambini, tra anziani, tra disabili e riduce anche la povertà.

In passato il G20 si è dato l’obiettivo di ridurre del 25% il divario tra uomini e donne nella partecipazione al mercato del lavoro entro il 2025. A che punto siamo?

È un obiettivo sicuramente ambizioso, ma la crisi finanziaria del 2008 ci ha insegnato che è pericoloso ragionare semplicemente in termini di gap. Meglio agire sull’avanzamento delle donne che sulla riduzione del divario di genere, che può avvenire anche per una semplice diminuzione dell’occupazione maschile.

Guardando alla fase attuale, diversi studi confermano che la crisi si abbatte con particolare forza sulle donne. Perché?

In primo luogo, perché le donne sono inserite di più nei servizi e in particolare, ristorazione, alberghi, servizi alle famiglie. Nelle crisi precedenti erano gli uomini i più colpiti perché maggiormente colpita era l'industria. Il secondo motivo è che le donne sono di più tra precari e irregolari. E quindi misure come blocco dei licenziamenti o cassa integrazione hanno meno effetto. A ciò va aggiunto che l'epidemia con le sue conseguenze si è innestata su una situazione già difficile dal punto di vista dell'occupazione femminile: l’Italia era già penultima in Europa. Nel nostro Paese la situazione era migliorata dal 1995, quando l’occupazione femminile ha iniziato a crescere ininterrottamente fino alla crisi del 2008. In quella fase più di un milione di donne sono entrate nel mercato del lavoro. Tuttavia le differenze sono aumentate tra Centro-Nord e Mezzogiorno: il Sud era cresciuto poco, aveva raccolto le briciole della crescita dell'occupazione femminile. Durante la crisi 2008-2009 la condizione degli uomini è peggiorata di più rispetto alle donne ma è peggiorata anche la qualità del lavoro femminile, è cresciuto molto il part-time involontario, la sovraistruzione, sono diminuite le professioni tecniche e aumentate quelle non qualificate. Un grande problema riguarda l'occupazione femminile giovanile. In particolare, la fascia 25-34 anni non ha recuperato i livelli di occupazione delle coetanee di 10 anni prima. Insomma, il fatto che le donne abbiano recuperato in termini assoluti ai livelli pre-crisi è dovuto soprattutto alle ultra 50enni, per effetto dell’aumento dell’età pensionabile. Non è dunque una spinta positiva di occupazione qualificata.

Anche durante la pandemia la difficoltà di assicurare un equilibrio vita-lavoro si è rovesciata in buona parte sulle donne.

La chiusura delle scuole ha causato seri problemi alle lavoratrici. Durante il lockdown circa il 23% delle donne occupate, tra cui molte con figli, ha lavorato da casa. La sovrapposizione tra lavoro familiare e di cura e lavoro extra-domestico è stata totale: le due attività hanno iniziato a coincidere. Ciò è grave sia sul piano della perdita quantitativa di occupazione sia sotto l’aspetto di conciliazione dei tempi di vita. Ma lo è anche perché partiamo da una situazione “preistorica”. Non abbiamo mai affrontato questo nodo: parole, parole, parole.

I fondi europei possono diventare una risorsa per intervenire sul divario di genere?

Se la risposta al Covid viene supportata da politiche adeguate, può diventare una grande opportunità per le donne e per il Paese tutto. Il Next Generation Eu e gli altri strumenti europei devono rappresentare l’occasione per aprire finalmente gli occhi di fronte a una situazione insostenibile. Ce lo dice la Banca d’Italia: raggiungendo il 60% di tasso di occupazione femminile, il Pil aumenta di sette punti percentuali. Il Paese deve investire in servizi di cura, educazione per l’infanzia, assistenza domiciliare, welfare di prossimità per alleggerire il carico delle donne. L'occupazione femminile deve crescere: incentivi all'imprenditoria femminile e accesso al credito sono fondamentali. Bisogna mettersi in testa una volta per tutte che le donne non sono un soggetto svantaggiato, non sono una categoria, sono la metà del mondo. Non possono essere relegate ad un aspetto del tema povertà ed esclusione. Questa epidemia deve farci riflettere sulle vere priorità di questo Paese. Se non capiamo che dobbiamo aggredire il problema dell'occupazione femminile, perderemo un'occasione storica. Dobbiamo essere coscienti che se avanzano le donne, avanza tutto il Paese.

È stata direttrice scientifica dell’indagine sulla sieroprevalenza dell’infezione da virus condotta da Istat e ministero della Salute dal 25 maggio al 15 luglio 2020. Quasi 70 mila persone si sono sottoposte al test, utile a fotografare lo stato del Paese rispetto al contagio. Che risultati avete ottenuto?

È stato un lavoro molto intenso che ci ha fornito risultati davvero importanti. Abbiamo appurato che il 2,5% degli italiani è entrato in contatto con il virus, il che significa oltre sei volte quelli individuati attraverso i tamponi. La trasmissione intra-familiare è stata molto elevata, ma, se si adottano le misure di precauzione, il contagio non avviene, come è accaduto per più della metà della popolazione, che ha avuto familiari conviventi con il Covid-19. Questo conferma che la prudenza e i comportamenti corretti dei cittadini hanno limitato la diffusione del contagio. Elevata la presenza di asintomatici (27,3%), così come è forte la differenza territoriale, che conferma la Lombardia al primo posto per numero di persone positive al virus (7,5%), mentre tutte le Regioni del Sud sono al di sotto dell'1%. I lavoratori della sanità risultano i più colpiti con differenze regionali, particolarmente esposti anche gli occupati nella ristorazione. Il test si è rivolto a un campione di 150mila persone ma molti individui non si sono sentiti di farlo. Ciò nonostante, la rilevazione ha fornito dati solidi sui quali abbiamo riscontrato una forte coerenza, per esempio, con quelli spagnoli. Inoltre gli esiti dell’indagine, diffusi in forma anonima e aggregata, potranno essere utilizzati anche per altri studi scientifici e per l’analisi comparata con altri Paesi europei. Sarà fondamentale capire se le persone che hanno sviluppato gli anticorpi a distanza di qualche mese li mantengano o meno. L'esperienza di questa indagine è stata molto sfidante. Come Istat ci siamo messi al servizio del Paese con il ministero della Salute, l'Istituto superiore di sanità, il Comitato tecnico scientifico, le Regioni, la Croce Rossa, le Università. Continueremo a farlo, sempre con grande lavoro di squadra. 

di Andrea De Tommasi