Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Un’etica della sostenibilità per il governo dei territori: le responsabilità della politica

La sfida che affrontiamo è quella di custodire un futuro abitabile, vivibile per le prossime generazioni, ma in realtà anche per questa generazione, essa stessa profondamente vulnerabile alle dinamiche in atto. 19/10/20

di Simone Morandini

Mi è stato chiesto un intervento di taglio etico in corrispondenza con la riflessione che conduco presso la Fondazione Lanza. Certo, il tema affidatomi richiederebbe una relazione di ampio respiro, ricca di riferimenti alle grandi tradizione morale dell’umanità; ma il tempo è breve e seguirò quindi un’altra via: compendierò la logica di un’etica della sostenibilità in un semplice slogan, commentandolo poi in modo essenziale, collegandolo infine esplicitamente ai territori. Uno slogan, dunque, anzi un’espressione apparentemente ossimorica, che potrei compendiare giocando coi titoli di due miei testi: cambiare rotta, per custodire futuro[1].

Custodire futuro

Ossimorica soprattutto perché custodire è un verbo che siamo abituati a declinare in riferimento alla conservazione di realtà che ereditiamo dal passato; qui invece esso viene riferito al futuro. Solo così però prendiamo sul serio la fase storica che viviamo, che esige lungimiranza. Proprio questa, infatti, è ora la virtù politica eminente, quella che spesso purtroppo ci manca, ma che è necessaria per essere all’altezza di una realtà che è essa stessa in cambiamento – talvolta gradualmente, talvolta rapidamente e magari con bruschi shock (per ora fortunatamente solo su scala locale).

Il Nobel per la chimica Paul Crutzen ci ha insegnato, infatti, che abitiamo l’Antropocene, il tempo in cui l’agire umano è il principale fattore determinante delle dinamiche biologiche e geologiche del pianeta; esso forza  quindi sui tempi veloci della storia umana (e dell’economia) anche quelli – assai più lenti - dell’ecologia e della biologia. Tale dinamica caratterizza in realtà l’intero cammino dell’umanità, fin da fasi remote, ma ha conosciuto una grande, drammatica accelerazione nel II dopoguerra; il cambiamento climatico che in questi decenni sperimentiamo ne è forse la dimostrazione più chiara, così drammatica nei suoi impatti

Di tale dinamica, però, non siamo soltanto spettatori, ma vi siamo tutti e tutte più o meno direttamente coinvolti - nella duplice veste di vittime e di protagonisti; ne sperimentiamo le conseguenze, ma al contempo ne siamo corresponsabili. Certo vi facciamo resistenza, non vogliamo “pensare l’impensabile”, ci lasciamo coinvolgere nella “grande cecità” di cui parla Amitav Gosh, ma non possiamo in realtà sottrarci a questa esperienza inedita, che per la prima volta tocca la famiglia umana tutta con una simile ampiezza. Ormai lo sappiamo: la nostra azione non ci porta solo a adattare a noi ambienti sul piano locale, ma ci rende driver dell’ambiente globale, dell’ecosistema planetario. Sappiamo però al contempo che tale condizione porta con sé gravi interrogativi morali: siamo all’altezza di un tale potere? Siamo capaci di sviluppare una responsabilità adeguata ad esso? Sappiamo indirizzare il nostro agire con una lungimirante saggezza?

La sfida che affrontiamo è quella di custodire un futuro abitabile, vivibile per le prossime generazioni, ma in realtà anche per questa generazione, essa stessa profondamente vulnerabile alle dinamiche in atto. Si pensi ai fenomeni metereologici estremi (come Vaia o l’acqua granda del 2019 a Venezia, solo per guardare all’Italia), agli incendi spontanei diffusi in vaste aree del pianeta, all’aumentata frequenza di zoonosi determinate da spillover: sono le avvisaglie di un mutamento che sta solo iniziando a dispiegarsi. In questo senso il futuro si prospetta sì certo pur sempre come spazio aperto, da costruire con creatività e responsabilmente, ma al contempo anche come ambito di un rischio cui occorre far fronte.

Sappiamo coltivare un‘umanità capace di custodire futuro in questo contesto? Un’umanità capace di percepire la propria vulnerabilità reagendo ad essa non con la paura e la mera difesa di interessi particolari, ma guardando in avanti, per costruire sostenibilità? Un’umanità che non divori cioè il proprio domani in nome di una visione di breve periodo? Un’umanità solidale, capace di modulare la propria forma di vita nel segno della responsabilità per altri – inclusi i membri delle prossime generazioni?

Cambiare rotta

Saremo capaci? È una domanda sul futuro perché purtroppo non è questo ancora il percorso che l’umanità sta disegnando: al contrario seguiamo una traiettoria che va verso una “tempesta perfetta”, dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. È come se i comportamenti di chi è padre e madre, invece che essere responsabilmente dedicati ad aprire spazi vitali per i figli e le figlie, restringessero le loro possibilità di fare piani di vita buona.

Per questo occorre cambiare rotta, per questo occorre mettere in opera quella che papa Francesco chiama conversione ecologica, una trasformazione che interessi i cuori e le menti di ogni uomo ed ogni donna, ma che operi pure efficacemente a livello di quelle reti strutturate di pratiche che costituiscono la struttura socio-economica. Perché un’etica della sostenibilità ha una logica contraria a quelle del Gattopardo di Tommasi di Lampedusa; non mira a cambiamenti superficiali, magari appariscenti ma in realtà finalizzati a lasciare ogni cosa come prima (green washing). Esige al contrario mutamenti profondi, strutturali, perché possa persistere ed essere davvero custodito ciò che è essenziale alla vita - alla vita umana, alla vita delle nostre società, alla vita dell’ecosistema. E chiede di realizzarlo nella forma di una transizione giusta, in modo che il cambiamento sia chiaramente di aiuto a tutti ed in particolare ai soggetti più fragili e svantaggiati… Esige insomma di ascoltare assieme il grido della terra e quello dei poveri, per riprendere la Laudato Si di papa Francesco.

La sfida è impegnativa, ma questa pandemia ci sta insegnando che, quando percepiamo un’emergenza incombente, siamo disposti a cambiamenti profondi nel nostro quotidiano e nei nostri stili di vita, in vista della costruzione di una sicurezza condivisa. Perché allora non dispiegare tali energie anche per far fronte ad un’emergenza che è forse a più bassa intensità, ma certo è caratterizzata da un’ampiezza e da un potenziale dirompente assai più vasto?

Molti livelli, sui territori

Una simile responsabilità non può essere declinata in forme semplicistiche ma interessa molti livelli, facendosi quindi corresponsabilità, che coinvolge molti soggetti, in una logica di sussidiarietà:

  • i cittadini, con le loro forme di consumo, con i loro stili di vita (dal mangiare al vestirsi allo spostarsi);
  • le imprese, soggetti attivi della vita economica, da cui dipende in misura significativa il consumo di risorse ambientali;
  • la società civile, serbatoio di risorse di fiducia e partecipazione, grembo in cui nasce un’etica civile (è il tema su cui lavoriamo con la Fondazione Lanza);
  • i ricercatori, perché la sostenibilità ha bisogno di buona scienza e di buona tecnica, contro ogni forma di riduzionismo antiscientifico.

Ma ad essere interpellata è soprattutto la politica, oggi qui particolarmente interpellata; ad essa, infatti, compete la responsabilità di raccordare gli sforzi di tanti soggetti per dar forma assieme ad un futuro comune davvero abitabile.

Per ognuno di tali soggetti la sfida è quella di rimodulare le narrazioni – sul lavoro, sullo sviluppo, sull’essere impresa, sul costruire società, sulla giustizia e sulla libertà – integrando profondamente in esse l’esperienza della relazione alla terra, all’ambiente, ai territori: una buona polis - una buona relazionalità interumana - si dà solo entro la physis, entro un ambiente naturale vitale. Ecologia integrale, la chiama papa Francesco in Laudato Si’: questo è lo sguardo prospettico di cui abbiamo bisogno, attento alla complessità, profondamente consonante con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, capace di declinarli nella concretezza dei territori.

I territori - e vengo così all’ultimo passaggio di questo intervento - sono infatti gli ambiti in cui tali istanze prendono concretezza:

  • sono luoghi di manifestazione degli impatti, in cui chiara l’esigenza di una custodia che prenderà il nome di adaptation, perché l’abitabilità sia garantita anche nel mutamento in atto;
  • sono al contempo luoghi di reazione creativa comunitaria all’insostenibilità, di sviluppo di azioni di mitigation, per evitare che l’adattamento diventi un’impossibile corsa senza fine.

Perché questo sia possibile, però, occorrono però nuove virtù in tutti i soggetti interessati, ma in modo particolare nei politici stessi:

  • competenza ambientale,
  • attenzione alla concretezza dei territori,
  • capacità progettuale (lungimiranza),
  • solidarietà e sussidiarietà.

Nella speranza

La sfida è multidimensionale, impegnativa, tanto da far dubitare della nostra capacità di affrontarla, ma mi avvio a concludere citando una volta di più la Laudato Si’, a poco più di 5 anni dalla sua pubblicazione: “Camminiamo nella speranza! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”. Proprio la speranza mi pare sia l’ultima, qualificante, componente di un’etica della sostenibilità, che ad essa conferisce una forza imprevedibile. È come se, nella lotta tra due giganti voi vedeste il più piccolo, più volte colpito e gettato a terra dall’altro, rialzarsi sempre e di nuovo, finché è il suo avversario a stancarsi e cedere; stupiti, scoprireste allora che nell’orecchio del vincitore c’è un piccolo nano che lo incita alla resistenza ed alla resilienza, fino alla vittoria. Ecco: questo è la speranza, quella speranza che è così necessaria per chi opera per cambiare rotta, per custodire futuro, per costruire sostenibilità.

 

[1] S.Morandini, Cambiare rotta. Il futuro nell’Antropocene, EDB, Bologna 2020; Id., Custodire futuro. Un’etica nel cambiamento, Albeggi, Roma 2014.

 

di Simone Morandini, Istituto di Studi ecumenici San Bernardino di Venezia, Fondazione Lanza (Centro Studi in Etica Applicata) di Padova.

L'intervento è tratto dal convegno "I territori come motore dello sviluppo sostenibile", nell'ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile organizzato dall'ASviS.