Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Martinelli: puntare sulla qualità della leadership e sulla partecipazione dei cittadini

Il futuro della democrazia non è in un pulsante per dire sì o no a quesiti formulati da altri, ma nella rivalutazione della professione politica e nel coinvolgimento degli elettori per approfondire i problemi. 29/09/20

a cura di Donato Speroni

La provocazione è nata da Beppe Grillo che ha detto di non credere più nei parlamenti, ma nel dibattito si sono inserite voci come quella di Enrico Letta, il quale ha avvertito che sul futuro della democrazia ci sono lavori in corso che non vanno sottovalutati. Ne parliamo con Alberto Martinelli, professore emerito di Scienza della politica e sociologia alla Università statale di Milano.  

Parliamo del futuro della democrazia, ma vorrei cominciare con una domanda sull’oggi. In questi ultimi anni il rapporto tra elettori ed eletti è cambiato rispetto a quello tradizionale, come si verificava negli ultimi 200 anni?

Se parliamo di 200 anni dovremmo distinguere varie fasi. Però in termini generali abbiamo assistito al forte indebolimento dei partiti politici che sono il soggetto fondamentale della democrazia rappresentativa. Questo indebolimento ha modificato anche il rapporto tra eletti ed elettori, con fenomeni che conosciamo molto bene, come una forte personalizzazione dei leader, vari aspetti di populismo, una certa sfiducia nelle istituzioni democratiche e particolarmente in quelle della democrazia rappresentativa come i parlamenti. Il punto centrale è probabilmente l’indebolimento dei partiti politici.

Ma non c'è anche un cambiamento del rapporto tra eletto ed elettore dovuto ai social media, che hanno reso possibile una continua interazione, e ai sondaggi che schiacciano le scelte sulla immediata attualità, condizionandole al parere di  persone anche poco informate sui temi sui quali è necessario prendere decisioni?

Sicuramente. Sono partito dalla crisi dei partiti politici, in parte anche dovuta a questi fenomeni. Ma anche qui bisogna distinguere vari aspetti. L'uso frequente dei sondaggi elettorali ha portato i leader a essere guidati dagli umori dell'opinione pubblica anziché guidarla. Quindi c'è minore autonomia e capacità di fare delle scelte che magari penalizzano nel breve, ma che potrebbero portare risultati migliori a medio e lungo termine. Un ruolo molto importante ha avuto la televisione perché anche in questo caso è stata la politica che si è adattata alla tv commerciale e non il contrario. La televisione ha imposto i suoi ritmi, la continua ricerca dell’audience, la necessità di modificare anche il linguaggio politico e il modo di comunicare perché si vuole catturare l'attenzione e conservarla, quindi si tende a esagerare, ad aggredire l'avversario, a dare più spazio ad aspetti emotivi. Poi certamente il colpo di grazia è stato dato dai new social media, che continuiamo a chiamare social ma io trovo che sono molto poco social. Danno a chi partecipa l'illusione di poter essere molto più incisivo e influente, che finalmente ci sia un flusso di comunicazione a doppio senso e che si possa contribuire a formare le opinioni. In realtà poi si esprimono spesso in una serie di gruppi, di comunità virtuali, che sono spesso già molto d'accordo fra loro e quindi tendono a rafforzare giudizi, valutazioni e pregiudizi anziché alimentare un confronto. Però questo non significa che lo sviluppo delle nuove tecnologie sìa tutto da condannare, perché sicuramente ha dato nuove potenzialità. Purtroppo l'uso che ne viene fatto è più spesso quello di accentuare alcuni aspetti negativi della competizione politica, la stereotipizzazione, la demonizzazione dell'avversario, la semplificazione dei problemi, piuttosto che quello di permettere una maggiore informazione e quindi anche di farsi delle opinioni più argomentate, più meditate, più basate sulla veridicità dei fatti.

Guardando avanti pensi che in qualche modo le forme di democrazia cambieranno?

Continuo a pensare che non ci siano alternative reali alla democrazia rappresentativa. Certo ci sono molti sintomi di crisi, ma ritengo che non ci siano scorciatoie, quindi questo metodo almeno nella nostra parte di mondo sopravvivrà e riuscirà a darsi delle forme parzialmente nuove. Richiede anche soggetti politici più capaci, perché riscontriamo una certa fragilità, una inadeguatezza del personale politico. C’è un gran lavoro da fare, anche se sono decenni che parliamo del fatto che la classe dirigente, peraltro non solo politica, è inadeguata. È evidente che qualcosa succederà, ma non so dire in quale forma. Credo però che la democrazia rappresentativa sia il metodo che consente meglio di coniugare la libertà dei singoli con la capacità di prendere decisioni collettive. Invece le varie alternative, a cominciare dalle forme di democrazia diretta, in realtà sono rischiose.

Tu poni il problema della qualità della classe dirigente. È vero che sono anni che ne parliamo; pensavamo che fosse solo un problema italiano, ma a questo punto mi sembra diventato un problema generale. In che modo si può avere una classe politica più qualificata?

Qui ci sono vari sforzi di formazione. Io stesso più volte mi sono impegnato in questa direzione, con scuole per il personale politico e per il personale amministrativo, anche in questi mesi con Massimo Cacciari ed altri. Ma questa è solo una strada. Bisogna anche avere delle istituzioni adeguate a cominciare dalle università e poi attività che svolgano una funzione simile, anche se profondamente diversa, da quelle che erano una volta le scuole di partito. Diversa perché devono dare soprattutto competenze, conoscenze e non una formazione ideologica. Sono anche necessari dei processi di moralizzazione della vita politica che facciano sì che i giovani più brillanti non pensino a una carriera politica come qualcosa che ha a che fare con aspetti di disonestà e si impegnino in questo. Altrimenti si rischia di avere una selezione alla rovescia, perché i migliori preferiscono fare altro nella vita.

Quando l'altro giorno Beppe Grillo ha detto che considerava superati i parlamenti, il giorno dopo è intervenuto Enrico Letta con una intervista sulla Stampa dicendo: attenzione perché in effetti sono in corso ricerche di nuove forme per corroborare la democrazia. Poi in area radicale sono intervenuti Mario Staderini e Marco Cappato, citando la loro proposta di citizens’assembly su temi come la legge elettorale e il clima. Se non sbaglio anche Emmanuel Macron ha convocato un'assemblea di cittadini sul cambiamento climatico. C'è un fermento di sperimentazioni? A che cosa può portare?

Questo è un altro aspetto significativo. Il primo come ho detto è di avere una classe politica che concepisca la politica come vocazione, nel senso weberiano del termine. Il secondo è di allargare il senso di partecipazione democratica, sapendo che nelle società di massa come le nostre la democrazia diretta non è possibile perché non è possibile che tutti i cittadini partecipino alle scelte, a meno di non avere una caricatura di democrazia diretta, che significa partecipare con un sì o con un no a quesiti formulati da minoranze che non danno assolutamente le garanzie che danno almeno le elite politiche in un sistema democratico di partiti contrapposti. Però non è solo la cosiddetta democrazia diretta che garantisce la partecipazione, ma ci sono ampi spazi all'interno del sistema di democrazia rappresentativa. Intanto ci sono istituzioni come l referendum: in Paesi come la Svizzera o anche alcuni Stati americani come la California, si usano i referendum senza attribuire loro quell’aura di eccezionalità, per consultare i cittadini su questioni di interesse pubblico. Poi ci sono spazi che consistono in percorsi di partecipazione assembleare. Hai citato Macron, ma si può citare anche quel percorso all'interno dell'Unione europea che era stato avviato e che doveva svilupparsi in questi mesi e che è stato interrotto dalla pandemia. Ci sono associazioni in vari Paesi che ancora lavorano per organizzare assemblee di cittadini intorno alle grandi scelte dell'Unione.

In vista della conferenza sul futuro dell'Europa?

Quello deve essere l'esito, ma il percorso è molto partecipato e articolato. Poi ci sono forme più elaborate, che però non possono non avere un ambito abbastanza limitato di applicazione, ma non per questo meno interessanti. Sono appunto gli esperimenti di democrazia deliberativa e gli esperimenti del bilancio partecipato. Il bilancio partecipato è il bilancio di una comunità, in genere di un ente locale, cioè di un organo di rappresentanza politica e di governo più vicino ai cittadini, che li coinvolge nelle scelte facendoli contribuire alle decisioni sulle priorità nella costruzione del bilancio preventivo.

Il percorso della democrazia deliberativa è molto interessante ma un po’ più complicato, perché coinvolge un gran numero di cittadini, ma indubbiamente in base alle nuove tecnologie questo è possibile. Consiste nell’iniziare un percorso nel quale le persone cominciano a discutere un problema, devono impegnarsi nell’autoformazione, informarsi, leggere, studiare, argomentare e poi si trovano a dibattere una questione entro un termine definito. Il risultato può essere che si entra con una opinione e poi si può anche cambiare idea nel corso di un dibattito argomentato. Questo però è lontanissimo dall' utilizzo della democrazia diretta con un pulsante perché è un metodo che si basa sulla possibilità di approfondire i termini di una scelta. Questi esperimenti si fanno e si possono anche generalizzare in molti ambiti, non solo le comunità locali, ma anche luoghi di lavoro, comunità professionali.

Si tratta di campioni rappresentativi?

A volte sì, ma non spesso. Gli esercizi di democrazia deliberativa non possono coinvolgere molte persone, anche se le tecnologie digitali consentono di aumentare il numero dei partecipanti. Si cerca quindi di formare gruppi sociali compositi, che possono essere statisticamente rappresentativi solo per universi ristretti, ad esempio gli abitanti di un quartiere, i genitori di un istituto scolastico, i collaboratori di un ospedale, ma altre volte sono formati da reti di amici o conoscenti. Comunque ci vuole la volontarietà perché la gente deve essere disposta ad assumere questo impegno.

Il risultato di questi esercizi può essere vincolante?

Si potrebbe pensare che se sono un campione rappresentativo la loro decisione deve poi riguardare tutti. Non è così, perché la decisione finale impegna soltanto quelli che hanno partecipato direttamente.

A questo tipo di assemblea non sono mai stati dati poteri deliberativi?

Per ora no perché sono ancora allo stadio di esperimenti teorico pratici e non vere e proprie forme di rappresentanza democratica.

Quindi fondamentalmente le tue risposte sono che per migliorare il processo democratico bisogna lavorare sulla formazione della classe politica e sul coinvolgimento dei cittadini.

Sì, ampliare gli spazi già esistenti di partecipazione e utilizzare le nuove tecnologie per migliorare la qualità del dibattito pubblico, non per sterilizzarlo in quesiti semplificati su domande che in genere sono poste da altri, cioè da una ristretta elite.

Infatti il modo in cui vengono poste le domande è già un modo di indirizzare la discussione.

Questo lo sappiamo benissimo tutti noi che conosciamo i meccanismi dei sondaggi. Sappiamo che come poni la domanda orienta molto il risultato.

Per noi che ci occupiamo di sostenibilità, il problema è che la politica guarda sempre al breve termine e non al medio e lungo. Quindi è molto difficile far passare proposte come la carbon tax o gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo che saranno quelli che consumeranno più energie fossili, se non vengono sovvenzionati, perché queste ricette non corrispondono alle priorità del momento avvertite dall’opinione pubblica. C'è modo di spostare l'attenzione del dibattito più sul medio termine e sulle nuove generazioni? Certo il progetto europeo del Next generation Eu va in questa direzione, ma stiamo verificando che è molto difficile cambiare il focus dell’attenzione politica.

È molto difficile perché la competizione elettorale è il meccanismo fondamentale di una democrazia rappresentativa. Il fatto è che ci sono elezioni ricorrenti: tra sovranazionali nazionali, regionali, locali, si vota quasi in continuazione e quindi i gruppi dirigenti di partiti e movimenti sono attentissimi ai risultati a breve termine, mentre invece bisognerebbe dare la possibilità di guardare a tempi un po’ più lunghi. Qui si apre il tema del confronto fra i vari sistemi. Non c'è dubbio che i sistemi che danno più forza alla massima autorità nazionale hanno più possibilità: per esempio il sistema francese e pure quello americano, anche se il fatto di rieleggere negli Stati Uniti la camera bassa ogni due anni riduce i poteri del presidente.

Infatti si dice che il presidente degli Stati Uniti prende le decisioni storiche nel secondo mandato.

Sì, ma anche qui è limitato dalla situazione del Senato e del Congresso. Quello francese è probabilmente il sistema che da un po’ più di respiro al presidente, ma anche negli altri sistemi ci sono meccanismi come la sfiducia costruttiva del sistema tedesco che facilitano la possibilità di guardare avanti. Certo questo dipende anche dalla responsabilità di un politico, perché un capo di governo dovrebbe anche rischiare se è convinto che una scelta sia importante. Però vediamo più spesso gli esempi contrari, cioè di grandi questioni che comunque vengono strumentalizzate e diventano strumento di consenso momentaneo.

Tutto questo porterebbe a dire che i regimi autoritari sono facilitati nel prendere le decisioni di lungo termine.

Sì, hanno più facilità, però il costo è troppo elevato in termini di libertà e alla lunga il fatto di non avere un continuo controllo democratico porta a fare scelte sbagliate.

a cura di Donato Speroni