Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Il futuro sarà quello che sceglieremo

Alla domanda “quale sarà il futuro” ho sistematicamente risposto “sarà quello che sceglieremo”. FUTURA network nasce per aiutare l’Italia e i suoi cittadini a scegliere di “rimbalzare avanti” per cambiare in meglio. 

di Enrico Giovannini

21 maggio 2020

Se per molti il lockdown è stato il tempo della lettura, dai classici della letteratura ai fumetti di quando si era ragazzi, delle rassegne di film e della navigazione di siti web, per molte testate giornalistiche, cartacee e online, è stato il tempo di parlare del futuro. Interviste a filosofi, storici, sociologi, economisti, scienziati di tante discipline hanno riempito pagine e siti. E, ovviamente, ognuno ha detto la sua su come il mondo sarà trasformato, un poco cambiato o del tutto immutato dopo la pandemia.

Anche io sono stato coinvolto in questa ricerca di risposte al disorientamento collettivo determinato dal vivere una esperienza nuova, mai sperimentata dalla generazione vivente nei Paesi sviluppati. E già perché in altri Paesi del mondo, quelli del lontano oriente, o in alcuni Paesi in via di sviluppo le pandemie sono state già sperimentate. Così come sono conosciuti i monsoni, cioè eventi naturali (come naturale è un virus), che annualmente mettono in ginocchio aree tutt’altro che marginali dei loro territori e della loro popolazione. Ci sono, cioè, aree del mondo in cui ogni anno – specialmente prima dei cambiamenti climatici in atto – la vita tua, della tua famiglia e della tua comunità può essere spazzata via dalla natura, senza che tu te la possa neanche prendere con gli errori di questo o quel politico.

Ebbene, alla domanda “quale sarà il futuro” ho sistematicamente risposto “sarà quello che sceglieremo”, parafrasando il titolo del mio libro del 2014.  E ho visto i miei interlocutori sorpresi per questa risposta. Era evidente, infatti, che volevano una risposta diversa, certa, senza dubbi, come certe e senza dubbi erano quelle che avevano ricevuto da altri interlocutori intervistati in precedenza. E li ho visti quasi rammaricati di essersi rivolti a qualcuno che sfuggiva alla responsabilità di indicare, con incrollabile precisione e sicurezza, come sarà il futuro. E li ho visti insoddisfatti per la mia risposta, come immagino siano stati insoddisfatti i tantissimi che, durante il lockdown, hanno letto le diverse opinioni, spesso contraddittorie tra di loro, degli esperti che si sono avventurati a indicare come sarà il futuro dopo la pandemia.

Lunedì scorso, quando sono andato a farmi tagliare i capelli, il barbiere mi ha chiesto una parola di “verità” sulla pandemia, rispetto alle diversissime opinioni dei virologi ascoltati nel corso delle diverse trasmissioni televisive. E ho dovuto spiegargli, come faccio con i miei studenti di statistica, che in questi casi la “verità” non esiste e che su fenomeni sconosciuti come un nuovo virus la scienza non è in grado di indicare con certezza cosa stia succedendo. E gli ho fatto notare che le miriadi di decisioni che assumiamo ogni giorno in condizioni di incertezza si basano su un inconscio calcolo delle probabilità e sul bilanciamento tra quelli che, in statistica, si chiamano errori di prima e di seconda specie. Cioè della probabilità di commettere un errore prendendo per buona un’ipotesi falsa, o di rifiutare come falsa un’ipotesi vera. Mi ha guardato come quei giornalisti di cui parlavo prima, riconoscendo la correttezza delle mie argomentazioni, ma anche scontento di non aver ascoltato una risposta chiara a una domanda per lui importante.

Al di là degli aneddoti, bisogna riconoscere che il nostro Paese non è abituato a ragionare su quale futuro vada “scelto” e quindi operare le scelte necessarie per realizzare il futuro che riteniamo migliore. Il detto popolare di alcuni secoli fa “Franza o Spagna purché se magna” descrive bene l’atteggiamento di un Paese che, dalla caduta dell’Impero romano in poi, sente di essere un vaso di coccio tra i vasi di ferro, chiamato tutt’al più a sopravvivere adattandosi a un futuro deciso da qualcun altro. Non è quindi un caso che l’Italia non si sia mai dotata, al contrario di tanti Paesi emergenti e sviluppati, di un istituto pubblico che aiuti il Paese e il suo Governo pro tempore a individuare i futuri possibili, i rischi e le opportunità da essi derivanti, mettendo in rete le tante competenze di cui il Paese dispone su queste tematiche. E non è un caso se, dopo ogni terremoto o disastro idrogeologico, ci si ripete di quanto la cultura della prevenzione sia assente, non solo nella politica ma anche nelle scelte degli individui, salvo poi dimenticarsi del tema fino al successivo disastro.

E non è un caso se l’organizzazione della nostra protezione civile è oggetto di studio da parte di esperti della materia provenienti da altri Paesi, mentre ciò non accade in materia di prevenzione e previsione strategica. E non è un caso se le leggi proposte dal Governo e approvate dal Parlamento non sono accompagnate da una approfondita valutazione dei loro effetti attesi nel futuro sulle condizioni economiche, sociali e ambientali del nostro Paese. E non è un caso che il nostro Paese non disponesse di un piano di azione aggiornato per la reazione alle pandemie, che pure gli scienziati consideravano altamente probabile, visto il degrado degli ecosistemi. E si potrebbe continuare a lungo.

Visto che “non possiamo mai sapere davvero cosa succederà, e non possiamo sapere cosa siamo in grado di fare finché non ci proviamo”[1]Futura network nasce per aiutare l’Italia e i suoi cittadini a cambiare questo stato di cose, esattamente nel momento in cui finisce il lockdown, la cui traduzione è “confinamento”, e la società italiana rischia di tornare alla normalità anche per ciò che concerne il suo insoddisfacente rapporto con il futuro, proprio quando, riacquistando una certa libertà di movimento, ci rendiamo conto di avere anche la libertà di provare a “rimbalzare indietro”, cercando di replicare l’Italia di fine 2019, o di tentare di “rimbalzare avanti”, cambiandola in meglio, nonostante la crisi economica e sociale già cominciata.

Ecco come si fa a scegliere il futuro che vogliamo, una decisione alla volta. E la decisione da assumere riguarda ognuno di noi: rimbalzare indietro o rimbalzare avanti? Cercare di tornare il prima possibile a quello che consideravamo “normale” o, avendo sperimentato una volta di più la capacità della specie umana di adattarsi a nuove condizioni, cambiare in meglio quello che ritenevamo “immutabile”. E la stessa decisione la dobbiamo assumere come collettività nazionale, parte di una Unione europea senza la quale l’Italia non ha futuro. Ed è una decisione urgente da assumere, perché quei Paesi dotati delle strutture che pensano sistematicamente a queste tematiche stanno già decidendo che futuro vogliono costruire, e non è detto che sia favorevole a noi.

 

di Enrico Giovannini, portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)


[1] “L’obelisco marziano”, di Linda Nagata, Urania, n.86, 2020, Mondadori Libri S.p.A., Milano.

giovedì 21 maggio 2020