Decidiamo oggi per un domani sostenibile

La responsabilità delle piattaforme

Strette tra infodemia e interventi giudiziari, le piattaforme stanno modificando l’approccio verso gli utenti più “tossici” in rete. Necessario un maggiore controllo riguardo la veridicità delle notizie.

 

di Luca De Biase

Le piattaforme di scambio di informazioni si erano sempre trincerate dietro la legge approvata negli anni Novanta, che li definiva non responsabili per quello che gli utenti facevano con le loro tecnologie. Una prima crisi di quel concetto si è manifestata con la battaglia legale delle case produttrici di musica registrata ai tempi di Napster e delle altre piattaforme per lo scambio di musica online. Le etichette accusavano le piattaforme di incoraggiare gli utenti a “piratare” la musica. Ma creando le condizioni per combattere l’operato delle piattaforme in tribunale, quella vicenda ha cambiato molto il futuro delle stesse.

 

Oggi, mentre le piattaforme per lo scambio di informazioni online sono sottoposte alle critiche più fondate e preoccupate relative alla quantità di false informazioni, banalità colossali e vere e proprie manifestazioni di odio, la loro risposta standard sta cambiando. Poiché nelle piattaforme gira una quantità di materiale tossico, definita dall’Oms col termine di “infodemia”, le critiche e gli interventi giudiziari sono stati sempre più numerosi. Forse per recuperare immagine, forse per evitare interventi legislativi che potevano essere ben più pesanti, le piattaforme come Facebook e Twitter si sono dichiarate responsabili e hanno deciso di intervenire per correggere il comportamento dei loro utenti più “tossici”. Anche quando il diffusore massimo di infodemia era proprio l’ex presidente degli Stati Uniti. Il loro approccio è stato quello di segnalare agli utenti i motivi per dubitare dei singoli post che eventualmente si presentassero come veritieri ma non potessero fare riferimento a nessun documento al riguardo. Qualche volta rimuovevano il post, altre volte, lo accompagnavano a un’informazione che avvertiva dell’inattendibilità del post stesso: in generale la teoria era quella che se non si potevano fermare i post tossici almeno si poteva ridurre il “contagio”, riducendo la velocità di circolazione di quelle informazioni e il numero di persone che le venivano a conoscere.

 

Questa presa di coscienza delle loro responsabilità è la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova fase dello sviluppo della rete. Da qui non si torna indietro, probabilmente. Piattaforme responsabili modificano gli orizzonti delle riforme che possono andare a modificare l’assetto del mercato digitale. Che cosa succederà alle piattaforme che mettono in circolazione autisti di automobili e gestori di case per turisti senza validare la loro qualità e affidabilità, per esempio? Saranno anch’esse più responsabili di quanto non siano ora? E da questa autodichiarazione di responsabilità si passerà a una richiesta normativa di responsabilità? Una nuova strategia per gli Stati interessati a intervenire sui media digitali che non crei il rischio di ridurre le libertà di espressione, ma che non obblighi neppure a restare inerti di fronte alla tossicità di certi ambienti mediatici, si può definire. Occorre visione e competenza. Ma la strada di una nuova forma di intervento sembra essersi aperta.

 

di Luca De Biase, giornalista  

mercoledì 11 novembre 2020