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Facebook non è la fine della storia

Lanciarsi a fare concorrenza ai giganti che hanno miliardi di utenti è molto ambizioso, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

di Luca De Biase

Di fronte al gigantismo delle piattaforme per le conversazioni online di proprietà di Facebook, Google o Twitter, i neonati social network sembrano spesso destinati a un successo molto limitato. Eppure mai come in questo periodo sembrano maturi i tempi perché qualche nuova piattaforma si faccia strada e raggiunga una dimensione significativa. L’idea di un servizio libero dalla comunicazione tossica che ormai affligge chiunque si trovi sui social network attuali appare attraente come la speranza di poter un giorno tornare a respirare l’aria di montagna.

 

Recentemente due candidati si sono fatti strada. WikiTribune, di Jimmy Wales, che funziona come piattaforma per comunità e si sostiene come Wikipedia con le sottoscrizioni volontarie. E Telepath che richiede i veri nomi delle persone che partecipano, modera le conversazioni eliminando la violenza dalla piattaforma, si propone di crescere lentamente ma in modo sano, fa tesoro delle esperienze per esempio di Quora, dove hanno lavorato alcuni top manager, considerato in effetti come un luogo relativamente tranquillo nel panorama delle piattaforme internettiane di oggi. Le regole di comunità sono anche qui quelle che contano. E alla fine dei conti la scommessa sulla dimensione delle comunità può essere quella giusta in questo periodo storico, in un contesto nel quale la finanza speculativa sembra aver perso la sua ragione d’essere, avendo già fatto abbastanza danni, mentre lo stato non sembra in grado di intervenire sulla qualità dell’ecologia dei media, almeno per ora. Un fatto è certo: lanciarsi a fare concorrenza ai giganti che hanno miliardi di utenti è molto ambizioso, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

 

Anche Facebook e YouTube sono state piccole, nel 2004, e hanno fronteggiato concorrenti già relativamente grandi come MySpace e GoogleVideo. La prima è diventata gigantesca da sola, con i soldi di Goldman Sachs e Microsoft. La seconda è diventata grande quando è stata acquisita da Google. E la loro storia di boom diffusionale si è dipanata dopo il 2007, nel quadro del megatrend avviato dall’esplosione della pervasività della rete abilitata dagli smartphone. Il prossimo megatrend non è ancora materializzato, ma la stanchezza del precedente si fa sentire, la tossicità del digitale del presente non è più avvertita solo dalle menti più sensibili, il rischio di dipendenza dagli strumenti della conversazione attuale è ormai evidente. L’uscita dal presente non può che avvenire grazie a piattaforme che guardano al futuro. 

 

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Protocol 

Telepath 

WikiTribune 

 

di Luca De Biase, giornalista
 
 
lunedì 28 settembre 2020