Fakebook, hatebook, adbook e altre piattaforme
La strategia del gruppo di Menlo Park di fronte alle falle del social è sempre la stessa: minimizzare.
di Luca De Biase
Facebook è nel pieno della sua ennesima crisi di pubbliche relazioni. Nel 2010, il fondatore Mark Zuckerberg aveva detto a chiare lettere di non credere nella privacy. Nel 2014, alcuni scienziati di Facebook hanno fatto un esperiemento su 600mila abbonati modificando il tenore dei post che ricevevano per vedere come questo influisse sul loro umore. Nel 2016, Facebook ha concesso a Cambridge Analytica di prendere di fatto possesso di decine di milioni di account per manipolarli a favore della campagna presidenziale americana. Nel 2019, Facebook ha deciso definitivamente di far convergere i dati di Facebook, Instagram e Whatsapp, anche se nel 2014, acquisendo Whatsapp, aveva promesso all’Antitrust europea di tenere separate le basi di dati.
Nel 2020, a fronte di una campagna di odio senza precedenti e di una protesta contro la strumentalizzazione dell’odio sulle piattaforme sociali, Facebook ha dovuto affontare il boicottaggio di grandissimi clienti pubblicitari - come Unilever, Adidas, Ford, Lego - che non volevano più che i loro messaggi apparissero accanto a post inneggianti alla violenza e all’odio: ma un post della numero due dell’azienda, Sheryl Sandberg, ha minimizzato. La strategia di Facebook di fronte a queste brutte figure è sempre la stessa: minimizzare, dire che ha fatto tutto il possibile, dichiararsi profondamente impegnata a risolvere il problema per il futuro, vantare la quantità di denaro investita per rispondere positivamente alle richieste, promettere di fare di più in futuro, e così via.
In realtà, da questo comportamento emerge una scommessa sul futuro: siccome Facebook è largamente il più grande sistema di social media e poiché esistono poche alternative vere, i suoi manager sono convinti che alla fine gli utenti manderanno giù gli imbarazzi e andranno avanti a usare uno strumento quasi obbligatorio. Si possono prendere decisioni antitrust, si possono raccogliere prove per punire il gruppo con multe gigantesche, ma se non ci sono alternative vere a un quasi monopolio di uno strumento quasi obbligatorio, il problema non si risolve.
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lunedì 13 luglio 2020