Giovanissimi fuori dalla scuola, ex occupati o scoraggiati: l’identikit dei Neet
Rapporto ActionAid-Cgil: necessario ripensare ai servizi, lavorare con i territori, rafforzare le reti di prossimità e intercettare i più vulnerabili e in povertà economica.
di Andrea De Tommasi
“Nel confronto con le generazioni precedenti i giovani del nuovo millennio si trovano con molte più opzioni ma anche con molta più incertezza sulle implicazioni delle proprie scelte”. Sono le parole del demografo Alessandro Rosina nella prefazione del rapporto “Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche”, curato da ActionAid e Cgil. Un’indagine sui giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione (Neet: not in education, employment or training) fatta di numeri aggiornati al 2020, ma anche di raccomandazioni al nuovo governo e al Parlamento affinché orientino le politiche nazionali e territoriali a favore dei giovani. L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di Neet dai 15 ai 34 anni: nel 2020 sono più di tre milioni, con una prevalenza femminile di 1,7 milioni. Nel Sud Italia c’è la più alta presenza di Neet: sono il 39%, rispetto al 23% del Centro Italia, al 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est
Un fenomeno in crescita dal 2008 che ha raggiunto il suo picco nel 2014. Non a caso, l’incremento della popolazione Neet in quegli anni, ricorda il Rapporto, ha condotto all’elaborazione del programma nazionale di attivazione denominato Garanzia Giovani. Una misura che si è dimostrata però incapace finora di intercettare i ragazzi e le ragazze “hard to reach”: i più vulnerabili, in povertà economica e, quindi, più difficili da coinvolgere in progetti sia sociali sia lavorativi. L’incidenza dei Neet subisce poi un rialzo nel 2020, sotto la spinta dalla crisi pandemica, quando viene registrato un tasso pari al 25,1% dei giovani italiani dai 15 ai 34 anni.
D’altra parte il Reddito di cittadinanza, altra misura considerata centrale per agganciare i giovani e le giovani Neet, ha mostrato un problema di fondo: la mancanza di un sistema dei servizi capillare, in grado di dialogare e lavorare in sinergia, in ottica integrata. Dalle interviste effettuate emerge, peraltro, come le e i giovani Neet in generale non conoscano i servizi, e tantomeno le misure e le conseguenti opportunità a loro rivolte.
L’analisi ha permesso di individuare alcuni cluster che raccontano e fotografano meglio il fenomeno al di là degli stereotipi. Il primo cluster raccoglie i giovanissimi fuori dalla scuola: hanno dai 15 ai 19 anni, senza precedenti esperienze lavorative e sono inattivi. Non percepiscono un sussidio, hanno soltanto la licenza media e vivono in un nucleo familiare composto da coppia con figli. Si tratta di un gruppo abbastanza residuale, ma allo stesso tempo significativo rispetto alla popolazione e trasversale a tutta l’Italia.
Il secondo racchiude i giovani dai 20 ai 24 anni, senza precedenti esperienze lavorative e alla ricerca di una prima occupazione. Sono residenti nel Mezzogiorno, hanno la cittadinanza italiana e il diploma di maturità. Sono in un nucleo familiare monogenitoriale, maschi e vivono in una città metropolitana o grande comune. Questo è il cluster più numeroso e mette in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud.
Il terzo gruppo descrive gli ex occupati in cerca di un nuovo lavoro. Hanno tra i 25 e i 29 anni, hanno perso o abbandonato un lavoro e ora sono alla ricerca. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, appartenenti ad un nucleo familiare single e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Vivono nelle regioni centrali del Paese.
Infine, ci sono gli scoraggiati: giovani dai 30 ai 34 anni con precedenti esperienze lavorative e ora inattivi. Sono principalmente residenti nelle regioni del Nord Italia e in aree non metropolitane. Incidono in questo gruppo il genere femminile e il nucleo familiare composto da una coppia senza figli.
“Destrutturare il fenomeno Neet e decostruire gli stereotipi che per anni hanno ostacolato la realizzazione di politiche adeguate”, ha dichiarato Katia Scannavini, vicesegretaria generale di ActionAid Italia, “sono passi essenziali da fare. Servono politiche integrate, sostenibili nel tempo e che rispondano in modo efficace ai bisogni specifici dei giovani. È necessario ripensare ai servizi, lavorare a stretto contatto con i territori, rafforzare le reti di prossimità, intercettare i giovani più lontani dalle opportunità”.
Per il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, “contrasto alla precarietà nel lavoro, rilancio degli investimenti sul sistema pubblico di istruzione e formazione, pieno ed efficace utilizzo delle ingenti risorse che l’Europa sta mettendo a disposizione, dal Pnrr ai Fondi strutturali, sono gli ambiti prioritari su cui agire per invertire la tendenza”.
Il Rapporto chiede di definire una strategia per l’innalzamento e l’emersione delle competenze dei giovani. Nel percorso di transizione scuola-lavoro, “è necessario potenziare non solo i fattori di push (ovvero la capacità della scuola di fornire una spinta verso l’entrata qualificata nel mondo del lavoro), ma rendere più forti ed efficaci anche i fattori di pull, ovvero la capacità delle aziende e delle organizzazioni di attrarre e valorizzare il capitale umano delle nuove generazioni”.
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