I professionisti fanno le guerre, ma la leva rimane come strumento di controllo sociale
Per vincere i conflitti armati c’è bisogno di personale sempre più qualificato. Ma il servizio di leva obbligatorio esiste ancora in molti Paesi, anche se alla registrazione non sempre corrisponde una effettiva chiamata alle armi.
di Maddalena Binda e Milos Skakal
Il presidente della Repubblica federale russa Vladimir Putin ha annunciato il 21 settembre la mobilitazione parziale, richiamando i riservisti per rimpolpare i reparti che stanno operando nel conflitto russo-ucraino. L’evento ha fatto riaffiorare scene da inizio novecento, dagli addii alle persone che partono al fronte fino alla fuga dei disertori, che in migliaia si sono diretti verso le frontiere. Ma di fronte a teatri di guerra sempre più tecnologici, che richiedono personale sempre più qualificato e specializzato, perché mantenere la leva militare obbligatoria e propedeutica a formare riservisti da richiamare alle caserme in caso di guerra? La domanda rimbalza anche nel nostro Paese, visto che ad agosto il leader della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato che se avesse ricevuto la fiducia dei cittadini avrebbe reintrodotto il sevizio militare obbligatorio in Italia, con il fine di “insegnare ai giovani che non esistono solo i diritti, ma anche i doveri”. Ma qual è la linea di tendenza tra eserciti di leva ed eserciti professionali? E per quale ragione la leva sopravvive in tanti Paesi? Ecco un quadro delle normative che regolano la leva militare in alcuni Stati, partendo dall’Italia, per avere un panorama, seppur parziale, dell’applicazione di questo istituto.
Italia. L’ultima generazione che ha dovuto adempiere obbligatoriamente al servizio militare è quella che comprende gli uomini nati entro il 1985. Con la legge “Martino” (dal nome del ministro della Difesa di allora, Antonio Martino) approvata dal secondo governo Berlusconi, in Italia la cosiddetta “naja” è stata sospesa, ma non eliminata, nel 2004. La legge Martino ha anticipato la sospensione della leva militare, che era già stata programmata per il 2006 dalla norma 331/2000, promulgata dal secondo governo Amato. La natura di questa legge era quella di avviare le Forze armate verso un percorso di professionalizzazione, ma nel sesto comma del primo articolo viene specificato che “Le Forze armate sono organizzate su base obbligatoria […] secondo quanto previsto dalla legge”. Infatti, il secondo articolo sottolinea che il personale può essere reclutato “su base obbligatoria […] qualora sia deliberato lo stato di guerra” dalle Camere o nel caso in cui l’Italia sia coinvolta in un conflitto “in ragione della sua appartenenza a una organizzazione internazionale”, con un chiaro riferimento alla Nato. Fatte salvo le regole che inquadrano l’obiezione di coscienza, in questi casi il servizio militare dovrebbe durare dieci mesi, prolungabili solo in caso di guerra.
Eritrea. La leva militare è uno dei motivi principali di fuga dal Paese perché ha una durata indeterminata e riguarda uomini e donne senza distinzioni. Secondo quanto riportato dalla Segreteria di stato della migrazione della Confederazione elvetica, il servizio di leva viene considerato dal governo eritreo come parte di “un progetto di ricostruzione dello Stato” e chi si rifiuta di aderirne viene punito come “traditore della patria”. Nel loro Rapporto, le autorità svizzere sottolineano che “le reclute sono esposte all’arbitrio dei superiori. Qualsiasi forma di critica o indisciplina è punita duramente (carcerazione arbitraria, tortura)” e sono documentate numerose violazioni dei diritti umani.
Russia. Le forze armate russe si basano su un sistema che comprende sia unità professionali volontarie che personale reclutato tramite coscrizione obbligatoria. In Russia la chiamata alle armi si effettua in due momenti dell’anno, in primavera dal 1° aprile al 15 luglio, e in inverno, dal 1° ottobre al 31 dicembre. La leva ha una durata di un anno e coinvolge gli uomini dai 18 ai 27 anni, mentre le donne possono essere arruolate solo su base volontaria. Nonostante il processo di professionalizzazione delle forze armate russe sia ormai stato avviato più di 15 anni fa, i coscritti, che comprendono sia il personale di leva che i riservisti, continuano a essere una parte fondamentale dell’esercito, componendo circa il 30% del personale militare e tecnico. Il governo può decretare la mobilitazione totale, che chiamerebbe a presentarsi alle caserme tutti gli uomini atti a combattere dai 18 ai 50 anni.
Stati uniti. Dal 1973 la leva obbligatoria negli Stati uniti non è più obbligatoria. Ai cittadini e agli “immigrati” di sesso maschile, tuttavia, è richiesto di iscriversi al Selective service system prima di compiere 18 anni. È interessante notare che con il termine “immigrati”, il progetto include tutte le persone arrivate negli Stati uniti la cui intensione è di non lasciare più il Paese, senza distinguere tra residenti formali, migranti irregolari, rifugiati e richiedenti asilo. Il Selective service system, un’agenzia governativa indipendente, archivia le informazioni dei cittadini tra i 18 e i 25 anni che potrebbero essere contattati e arruolati nel Dipartimento di Difesa in caso di necessità. Come riporta Mission: Readiness, ad oggi il 77% dei giovani americani tra i 17 e 24 anni, tuttavia, non ha i requisiti per arruolarsi nell’esercito perché fisicamente inadatti (una delle principali cause è l’obesità) o con un livello di istruzione troppo basso.
Nel 2017 un sondaggio condotto da Gallup ha rilevato che il 49% della popolazione statunitense era favorevole all’introduzione di almeno un anno di servizio militare o civile, per giovani uomini e donne, consenso che scende al 39% tra la popolazione di età compresa tra i 18 e i 29 anni.
Cina. In Cina i giovani che hanno compiuto 18 anni devono iscriversi per prestare servizio militare per due anni, senza distinzioni di genere, etnia o religione. È previsto dalla Costituzione cinese che all’articolo 55 recita: “È un dovere sacro di ogni cittadino della Repubblica popolare cinese di difendere la madrepatria e resistere alle aggressioni. È un dovere e un onore per i cittadini della Repubblica popolare cinese svolgere il servizio militare e unirsi alle forze armate secondo la legge.” All’iscrizione, tuttavia, non ha mai corrisposto una effettiva chiamata alle armi, in quanto continua a esserci un numero sufficiente di volontari che costituiscono l’Esercito popolare di liberazione.
Taiwan. L’esercito di Taiwan è, ad oggi, costituito da forze professioniste volontarie. La leva militare è obbligatoria per gli uomini dai 18 ai 36 anni per un periodo minimo di quattro mesi, anche se, a seguito dell’aumento delle pressioni da parte di Pechino, si è iniziato a considerare la possibilità di estenderlo. Si è discusso anche della necessità di rivedere la formazione militare per addestrare persone pronte ad affrontare una guerra moderna.
Corea del Sud. In Corea del Sud i giovani maschi tra i 18 e i 28 anni devono prestare servizio nelle forze armate per un periodo minimo di 18 mesi. In alcuni casi, limitati, ad esempio, agli atleti olimpionici o alle personalità del mondo dello spettacolo, possono essere concesse delle esenzioni. Per gli obiettori di coscienza il servizio militare è sostituito con un periodo di lavoro nel sistema carcerario del Paese per 36 mesi. La principale motivazione per la leva obbligatoria è la questione irrisolta della divisione della penisola coreana e la minaccia latente preveniente dalla Corea del Nord.
Israele. In Israele la leva militare è obbligatoria per tutte le persone ebree, druse e circassi che abbiano compiuto 18 anni. Una regola volta a consolidare la base etnica e religiosa dell’esercito, visto che di norma i cittadini arabi e/o mussulmani con nazionalità israeliana sono esonerati dal servizio militare, anche se possono arruolarsi volontariamente. Il periodo di servizio nell’Israel defense force (Idf), fondato nel 1948 con lo scopo di “proteggere l’esistenza dello Stato di Israele, la sua indipendenza e la sicurezza dei suoi cittadini”, è pari a 32 mesi per gli uomini e a 24 mesi per le donne. Nonostante il rifiuto ad arruolarsi in Israele possa essere punito con l’incarcerazione, ci sono comunque giovani che si oppongono al servizio militare: si chiamano refusenks (obiettori di coscienza) e per sostenerli è nata, nel 1982, l’associazione Yesh Gvul.
Esistono alcuni casi in cui è possibile chiedere l’esenzione: nel 2020, ad esempio, il 32,9% degli uomini israeliani non si è arruolato nell’Idf, principalmente per motivi di salute mentale, percentuale che si attesta al 44,3% per le donne. Il numero di persone arruolate ha subito, negli anni, un calo significativo, passando dall’81% del 2011 al 65% del 2018. Nel 2020, inoltre, il 15% dei giovani arruolati non ha completato il servizio militare. Questo potrebbe rappresentare un calo di interesse e di motivazione da parte dei giovani israeliani, ponendo un ostacolo per il futuro dell’esercito israeliano.
Le linee di tendenza. Nei casi riportati, il servizio militare obbligatorio, fatta eccezione per l’Italia e gli Stati uniti, sembra essere un istituto che non accenna a scomparire, anche se non necessariamente l’iscrizione ai registri di leva corrisponde a una effettiva chiamata alle armi. Anzi, anche se la sua dimensione rimane residuale rispetto a un comparto militare che ha bisogno di personale sempre più competente, esperto e motivato, la leva porta con sé, ancora, dei vantaggi per i governi che la mantengono. Da una parte, la possibilità di poter richiamare sotto le armi in modo veloce e organizzato una grande massa di persone può funzionare da deterrente nei confronti del cosiddetto “nemico”. Questo effetto si è in qualche modo realizzato quando nei primi mesi del conflitto russo-ucraino il presidente della federazione russa Vladimir Putin ha sbandierato più volte la possibilità di ricorrere a una mobilitazione generale. Dall’altra parte, come è drammaticamente palese nel caso eritreo, il servizio militare obbligatorio, anche attraverso l’applicazione di sanzioni, come il carcere, per chi rifiuta di imbracciare le armi, funge da potente mezzo di controllo della società, attraverso un indottrinamento ideologico, ma anche preparando la recluta a riconoscere il “nemico” e a identificare l’obiettivo da raggiungere, cioè la difesa della patria da un attacco esterno oppure la riconquista di una “terra irredenta”.