Perché è improbabile che Taiwan sia il prossimo fronte di un conflitto
A seguito dell’invasione russa in Ucraina, il parallelismo con le storiche tensioni tra la Cina e Taiwan potrebbe apparire inevitabile. Il contesto, tuttavia, è diverso e un attacco militare cinese sembra difficile.
di Maddalena Binda
Negli ultimi mesi le pressioni da parte della Cina nei confronti di Taiwan si sono intensificate: non solo nei discorsi ufficiali, come in quello di fine anno in cui Xi Jinping ha affermato che “la completa riunificazione della nazione è un’aspirazione condivisa da persone da entrambi i lati dello stretto di Taiwan”, ma anche nelle numerose incursioni aeree da parte di jet militari cinesi, diventate più frequenti durante il 2021. Data la crescente tensione tra i due Paesi sembra inevitabile paragonare la situazione tra Ucraina e Russia con quella tra Taiwan e Cina e ipotizzare un conflitto più o meno imminente. La situazione, tuttavia, è diversa, come racconta The Economist.
Le basi ideologiche del Partito comunista cinese. La Repubblica popolare cinese non riconosce la Repubblica di Cina come uno stato indipendente. Considera, invece, l’isola come una provincia autonoma sotto la propria sovranità, ponendo tra gli obiettivi principali del Partito comunista cinese la riunificazione pacifica del Paese. Conseguenza di questo principio di unità territoriale (一中原则yī zhōng yuánzé) è la politica di una sola Cina (一个中国政策 yīgè zhōngguó zhèngcè) per cui un Paese che abbia rapporti istituzionali con Pechino non può averne con Taipei. Questa politica ha portato a un progressivo isolamento diplomatico di Taiwan, estromesso dalle Nazioni unite con una risoluzione del 1971 e riconosciuto ora solo da 13 Stati, dopo la decisione del Nicaragua di interrompere i rapporti a favore della Repubblica Popolare cinese.
Il presidente Xi Jinping sembra, ad oggi, intenzionato a perseguire la riunificazione attraverso leve commerciali e politiche, senza ricorrere ad un intervento militare, cercando di mantenere la reputazione di potenza pacifica. Non si tratta solo di una strategia di politica interna ed estera: l’armonia (和 hé), intesa come la gestione della diversità e del conflitto, è un principio cardine della tradizione cinese contrapposto al caos (乱 luàn) che deve essere evitato. L’instabilità politica, a livello sia nazionale sia internazionale, risulta essere un ostacolo alle aspirazioni e agli obiettivi di Xi Jinping. Questo è anche uno dei motivi per cui la Cina si trova ad avere una posizione ambigua nei confronti dell’aggressione russa in Ucraina: da un lato non vuole compromettere i rapporti con la Russia condannando l’invasione, dall’altro è preoccupata per l’instabilità nella regione, peraltro interessata dai progetti della Nuova via della seta. Durante un vertice virtuale con il presidente francese Emmanuel Macron e con il cancelliere tedesco Olaf Scholz tenutosi l’8 marzo, il presidente Xi Jinping ha definito “preoccupante” la situazione in Ucraina e ha espresso la necessità di concentrare il “massimo degli sforzi” nella moderazione delle due parti in conflitto.
Gli Stati Uniti a protezione di Taiwan. Non è solo il principio di armonia e di stabilità a scoraggiare il Partito comunista cinese dall’attuare un attacco armato a Taiwan: il legame con gli Stati Uniti, ed in particolare il Taiwan Relations Act stipulato nel 1979, è un fattore che Pechino non può sottovalutare per i propri piani futuri. Il Taiwan Relations Act non prevede un intervento armato diretto da parte degli Usa qualora Taiwan venisse attaccato, ma la fornitura di armi e servizi necessari affinché il Paese riesca a difendersi.
A legare i due Paesi ci sono anche stretti rapporti commerciali: Taiwan è il nono partner commerciale degli Stati Uniti e gioca un ruolo cruciale nella fornitura di microchip, della cui produzione è leader mondiale.
È proprio attraverso lo sviluppo di settori commerciali strategici che Taiwan spera di poter rafforzare le relazioni con gli altri Stati. Per questo motivo i risultati dei referendum tenutisi a dicembre del 2021 sono stati così importanti: non solo hanno costituito una vittoria politica per Tsai Ing-wen, presidente della Repubblica e leader del Partito democratico progressista (Dpp), ma hanno allontanato il rischio di indebolire le trattative per un accordo commerciale bilaterale con gli Stati Uniti e per l’ingresso nell’Accordo compressivo e progressivo per il partenariato trans-pacifico. Tra i quesiti referendari, quello che ha maggiormente attirato l’attenzione riguardava la reintroduzione del divieto di importare carne di maiale dagli Stati Uniti. La vendita della carne suina statunitense è stata proibita in diversi Paesi, tra cui l’Unione europea, la Russia e la Cina, poiché il mangime con cui vengono allevati i maiali contiene ractopamina, un farmaco additivo, mentre a Taiwan ha ottenuto il via libera ad agosto 2020 dal governo democratico e a dicembre 2020 dal Parlamento, nonostante l’opposizione del Guomindang, il partito nazionalista di Taiwan. Il Partito democratico progressista ha motivato la scelta con la necessità di non minare i rapporti commerciali con gli Usa, favorendo la Cina. La carne di maiale è fondamentale nell’alimentazione taiwanese e cinese, come aveva approfondito The Economist in un articolo di qualche anno fa dedicato al consumo di carne suina in Cina: tradizionalmente parte della cucina dei due Paesi, oggi è diventata simbolo della crescita economica nazionale e del benessere della popolazione ed entrambi gli Stati sono tra i principali consumatori al mondo.
La necessità di garantire stabilità nazionale e internazionale, anche in vista del ventesimo Congresso del Partito comunista cinese in programma il prossimo autunno, e il legame tra Taiwan e Stati Uniti, simbolicamente sottolineato dalla visita di una delegazione di ex funzionari della Difesa inviata da Biden e dell’ex segretario Mike Pompeo nei giorni successivi all’attacco russo, sono fattori deterrenti per un intervento militare da parte della Cina. Entrambi gli Stati, tuttavia, osservano con attenzione quello che succede in Ucraina, pronti a cogliere eventuali cambiamenti negli orizzonti geopolitici futuri.