La piaga dei matrimoni precoci tenderà ad aggravarsi nei prossimi anni
Nel mondo 100 milioni di ragazze rischiano di sposarsi troppo presto, abbandonando la scuola, e di subire violenza domestica. Il fenomeno tocca anche l’Italia, dove mancano dati adeguati e serve una campagna di sensibilizzazione.
di Giuliana Coccia
Il matrimonio precoce è un’unione formale o informale in cui uno o entrambe gli sposi non hanno raggiunto la maggiore età. È un’unione guidata dalle famiglie, che hanno un ruolo importante nella scelta del partner e nell’organizzazione della cerimonia; a volte uno o tutti e due gli sposi non hanno espresso il loro pieno e libero consenso all’unione e subiscono violenze psicologiche e fisiche che li forza al matrimonio. A causa della disparità di genere, la maggior parte di queste unioni sono tra giovani ragazze e uomini adulti.
I matrimoni precoci sono proibiti dal diritto internazionale, perché considerati una violazione dei diritti dei bambini, ma rimangono un fenomeno tristemente diffuso e problematico da sradicare. Si tratta di un fenomeno multidimensionale, in quanto i fattori che espongono una bambina o una giovane ragazza al rischio di matrimonio forzato sono diversi: la situazione di povertà della famiglia, un basso livello di istruzione, l’errata percezione che il matrimonio "proteggerà" la bambina da violenze e soprusi, le norme sociali o religiose, la discriminazione di genere per cui una bambina viene considerata più docile e ubbidiente.
Ulteriori conseguenze di questa pratica sono l’isolamento sociale, la violenza domestica e l’abbandono scolastico. In particolare, l'abbandono scolastico impedisce alla bambina di poter costruire il proprio futuro al di fuori dalla sfera domestica e poter uscire dalla spirale di povertà. Inoltre, contrarre un matrimonio precoce triplica la probabilità che subisca violenza dal coniuge, rispetto alle adulte sposate.
Si stima che oggi nel mondo 650 milioni di ragazze abbiano già subito un matrimonio precoce e molte di loro sono anche già divorziate o vedove (stime Unicef-Unfpa del 2020). Non è difficile ipotizzare che oggi cento milioni di ragazze rischiano di sposarsi troppo presto, rischio che può aumentare nel medio periodo considerando i trend attuali di crescita della popolazione mondiale, dato che il maggior incremento demografico avverrà proprio nei Paesi più poveri e la povertà è uno dei maggiori fattori di rischio di tali unioni.
Con l’avvento della pandemia di Covid-19, il numero dei matrimoni precoci nel mondo, fino a oggi in diminuzione, è destinato a salire: il fenomeno delle spose bambine risentirà del peggioramento della qualità di vita delle comunità, condannerà un numero crescente di bambine a sposarsi per non pesare economicamente sulla famiglia.
Spesso, i matrimoni minorili comportano conseguenze pericolose per la salute delle spose bambine, basti pensare a come una gravidanza precoce provochi un elevato rischio di mortalità delle giovani e dei loro neonati. Le ragazze di età compresa tra i 15 ei 19 anni hanno il doppio delle probabilità di morire di parto rispetto alle donne di 20 anni, anche i neonati nati da madri così giovani presentano rischi di salute.
I matrimoni che coinvolgono minori non sono prerogativa dei Paesi in via di sviluppo, ma sono un problema globale ed europeo anche all’interno di comunità di immigrati provenienti da Paesi in cui questa usanza è ancora diffusa. È
Per capire quanto succede in Italia ci si deve affidare a studi condotti da organizzazioni non governative, dal momento che manca un osservatorio nazionale per poter quantificare il fenomeno. Tali studi si focalizzano su aree circoscritte del territorio italiano e sono principalmente qualitativi, aiutano a meglio comprendere il fenomeno e l’esperienza soggettiva di chi lo vive, ma non forniscono dati numerici e non sono estendibili all’intero territorio nazionale.
L’unico studio di natura quantitativa e qualitativa sui matrimoni precoci è stato condotto dall’Associazione 21 luglio (che supporta gruppi e individui in condizione di segregazione estrema e discriminazione) nelle baraccopoli di Roma, da cui risulta che la prevalenza dei matrimoni precoci nelle comunità Rom residenti arriva al 77%.
Nell’unico studio qualitativo di carattere nazionale sui matrimoni forzati, commissionato all’Associazione Le Onde Onlus (che ha la mission di combattere la violenza contro i bambini e le donne) dal Dipartimento per le Pari opportunità nel 2013, emerge che l’atteggiamento genitoriale è influenzato dagli stereotipi di genere e tra le capacità dei genitori rientra quella di adoperarsi affinché la figlia o il figlio si impegnino in un buon matrimonio. Lo studio sottolinea che per diverse ragioni, non solo di natura metodologica, è difficile se non addirittura impossibile quantificare con precisione il fenomeno dei matrimoni forzati a causa della concomitanza della stima soggettiva del grado di coercizione, e di conseguenza del consenso, del problema della sotto-dichiarazione, della carenza di basi di rilevamento e quindi di rappresentatività statistica.
L’associazione internazionale Non c’è Pace Senza Giustizia (fondata da Emma Bonino per la protezione e la promozione dei diritti umani) ritiene il matrimonio minorile sostanzialmente forzato, perché un soggetto minore, per quanto dotato di capacità di intendere e di volere adeguata alla sua età, non può essere in grado di comprendere a fondo le conseguenze dell’impegno che sta assumendo, né della realtà quotidiana che le/gli si presenterà una volta sposata/o.
Nel diritto internazionale sono presenti molte normative sul matrimonio minorile, ovunque definito atto di grave violazione di diritti umani e forma di violenza, e dunque anche discriminazione, di genere.
L’Italia ha ratificato tutti gli strumenti internazionali varati per eliminare tale fenomeno: sia le Convenzioni Onu che rappresentano strumenti giuridici vincolanti (hard law); sia documenti Onu di soft law, come le Risoluzioni adottate dal Consiglio per i Diritti umani e dall’Assemblea generale. Un altro importante riferimento in materia di matrimoni precoci è l’Agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile, nella quale il Goal 5 “Parità di genere”, al target 5.3, prevede di “Eliminare tutte le pratiche nocive, come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato, e le mutilazioni dei genitali femminili” entro il 2030.
Appare ormai urgente intensificare gli sforzi per prevenire ed eliminare i matrimoni precoci (anche le unioni informali) mediante azioni olistiche, globali e coordinate che possano agire nei contesti particolari nei quali il fenomeno è maggiormente diffuso, come la povertà, i conflitti, la mancata scolarizzazione, l’insicurezza, le situazioni di emergenza umanitaria.
L’approccio italiano contro i matrimoni minorili, nonostante la ratifica dei trattati internazionali, vede una svolta solo con la Legge n.69 del 19 luglio 2019, cosiddetta “Codice Rosso” – Modifiche al Codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere – che introduce il reato di costrizione o induzione al matrimonio.
La nuova normativa prevede che “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. La stessa pena si applica a “chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile”. La norma si applica anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia, trascendendo così il principio di territorialità del diritto penale.
L’adozione del Codice Rosso costituisce certamente un passo avanti rispetto alla situazione precedente, in cui i matrimoni forzati non erano criminalizzati, ma permangono alcuni problemi riguardo all’approccio al matrimonio minorile, che non è presente nella Legge 69/2019 come fattispecie a sé, ma la minore età è descritta come semplice aggravante all’interno del fenomeno del matrimonio forzato. Inoltre, questo reato è inserito all’interno dei delitti contro la famiglia, più specificamente nei delitti contro il matrimonio, e non tra i delitti contro la persona, come indicherebbe una prospettiva basata sui diritti umani.
La ratio della norma è quella di tutelare il libero consenso delle parti all’unione, evitando pressioni fisiche e/o psicologiche. Prevenire e perseguire questo tipo di reato risulta particolarmente complesso, per il fatto che, nella maggior parte dei casi, esso si consuma tra le mura domestiche, spesso contemporaneamente ad altre condotte lesive, quali violenze, maltrattamenti, lesioni e segregazioni.
I primi dati ufficiali dopo l’introduzione di tale norma sono stati diffusi dal Servizio analisi della Polizia criminale e coprono il periodo che va da agosto 2019 a maggio 2021. Sono stati identificati 24 matrimoni con reati cosiddetti di “costrizione o induzione al matrimonio”, di cui l’85% a danno di donne, il 73% perpetrato da maschi; un terzo sono matrimoni minorili e il 9% delle vittime sono bambine con meno di 14 anni, il 27% invece ha tra i 14 ed i 17 anni; il 59% delle vittime è straniero. Il 40% degli autori del reato ha un’età compresa tra 35 e 44 anni e si tratta in maggioranza di stranieri (pakistani, albanesi, bengalesi e bosniaci).
Tuttavia, negli ultimi anni, iniziative di Ong locali e regionali hanno individuato numeri molto più alti, ad esempio nel 2009 l’Associazione Trama di Terre aveva identificato 33 matrimoni forzati solo nell’Emilia Romagna. Questo significa che una percentuale preoccupante di casi non viene identificata e tale situazione richiede un'azione rapida, sistemica e multistakeholder.
Un altro elemento critico nella legislazione italiana è l’età minima necessaria per sposarsi: l’articolo 84 del Codice civile afferma che i minori di età non possono contrarre matrimonio, ma resta possibile contrarre matrimonio una volta compiuti 16 anni, seppure in via eccezionale e solo con il consenso espresso dei minori interessati e tramite valutazione del Tribunale dei Minori. Sebbene prevista in casi straordinari, la possibilità di contrarre matrimoni minorili colloca l’Italia in posizione differente dagli orientamenti del diritto internazionale e dei diritti umani.
In Italia non si è ancora investito in raccolte dati e campagne di sensibilizzazione effettive, né nella creazione di un meccanismo di coordinamento nazionale per contrastare i matrimoni precoci. Le buone pratiche adottate finora si individuano essenzialmente tra le iniziative di attori non governativi sul territorio, pur considerando che l’indagine realizzata dall’Associazione Non c’è Pace Senza Giustizia, rivolta alla società civile italiana, ha rivelato come la tematica del matrimonio minorile sia trattata da un numero esiguo di organizzazioni e come questo rappresenti una lacuna nell’ambito del contrasto alla violenza di genere.
Il fatto che essi siano prevalentemente una realtà sommersa e non facilmente rilevabile fa sì che l’attenzione istituzionale sia ancora scarsa. È necessario prevedere interventi di sensibilizzazione e formazione che consentano di intercettare subito situazioni a rischio e costruire una rete di protezione che coinvolga i diversi attori interessati: servizi sociali, scuola, centro antiviolenza e/o casa-rifugio, forze dell’ordine e magistratura.
Prendendo spunto dalle buone azioni adottate in altri Paesi Europei, si segnalano alcune azioni da programmare nel nostro Paese:
- L’approvazione di una legge che vieti il matrimonio prima del compimento dei 18 anni di età senza eccezioni;
- La realizzazione di studi approfonditi sull’estensione, la natura e le cause del fenomeno nel contesto nazionale;
- L’adozione di un piano strategico nazionale dedicato ai matrimoni forzati e/o minorili;
- La creazione di siti web dedicati a bambine e ragazze a rischio, con informazioni puntuali e brevi per facilitarne la comprensione anche a persone molto giovani, che facciano chiarezza sui loro diritti e sui servizi di assistenza esistenti;
- L’avvio di una specifica formazione per gli operatori e le operatrici di vari settori che potrebbero venire a contatto con minori a rischio;
- La creazione di sistemi di azione integrati che creino ponti tra il settore pubblico, privato e gli enti del terzo settore;
- La diffusione di progetti specifici di prevenzione in ambiente scolastico, indirizzati a facilitare l’individuazione di potenziali casi, ma anche a sensibilizzare e rendere proattiva i giovani in generale.
Per combattere seriamente questo fenomeno è prioritario che il governo italiano decida uno stanziamento per programmi e pratiche di contrasto ai matrimoni minorili e forzati, la cui attuazione è necessaria e urgente.
Fa ben sperare quanto dichiarato recentemente dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti: “Quello dei matrimoni infantili è un tema che tocca le nostre coscienze e che non può in nessun modo farci voltare lo sguardo dall’altra parte anche se si fa fatica a parlarne, come se ci fosse un tabù sociale. Dobbiamo farci carico di un impegno per eradicare il fenomeno, in tutti i contesti internazionali, attraverso il dialogo, la mediazione culturale, le indagini sociali, il potenziamento del numero antiviolenza 1522, favorendo l’accesso all’istruzione di tutte le bambine e le ragazze per poter diventare finanziariamente indipendenti e lavorativamente competitive”.
di Giuliana Coccia, statistica e referente ASviS per il Gruppo di lavoro del Goal 5 dell’Agenda 2030