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Nuove tecnologie potrebbero presto eliminare la malaria, ma serve agire su tre leve

Vaccini, nuovi pesticidi e soprattutto zanzare geneticamente modificate. Con queste tecniche il parassita potrebbe essere eradicato, a patto che si investa sull’innovazione sviluppando una visione politica a lungo termine.

di Milos Skakal

Malaria. Mal’aria. Cattiva aria. Desta curiosità il fatto che il nome comune di un parassita monocellulare sia collegato con una parola che si rifà alla qualità dell’aria che viene respirata. Eppure, la spiegazione è molto semplice. Prima di scoprire che fossero le zanzare i vettori nel ciclo di vita del parassita Plasmodium, si pensava che a causare i sintomi della malattia fosse l’aria maleodorante delle acque salmastre e paludose. Mentre, molto semplicemente, le zanzare del genere Anopheles depongono le loro uova nell’acqua stagnante. La malaria è un malattia millenaria, già presente, secondo un articolo pubblicato sulla rivista Nature nel 2002, dall’inizio dell’epoca romana. Infatti, sono state ritrovate tracce del Dna del parassita in un cimitero di bambini del 450 a.C., rinvenuto nei dintorni della città di Roma. Nel secondo dopoguerra sono state avviate grandi campagne di controllo che hanno portato all’eradicazione della malattia nella magior parte delle aree temperate del mondo e ne hanno ridotto notevolmente l’incidenza nelle regioni tropicali. Ma negli ultimi anni il numero di casi e di morti è di nuovo in aumento. Eppure, si ha ora a disposizione un insieme di nuove tecniche che potrebbero dare una svolta alla lotta contro il parassita.

Non è un caso che l’Organizzazione mondiale della sanità abbia chiesto, a pochi giorni dal World malaria day che si celebrerà il prossimo 25 aprile, investimenti e innovazione che portino a nuovi approcci di controllo dei vettori, diagnostica, farmaci antimalarici e altri strumenti per accelerare il progresso contro la malaria. Il problema non riguarderà la loro applicazione sul campo, ma la volontà politica di implementarle. Il mondo si trova infatti di fronte a un bivio: l’aumento della popolazione globale in un contesto dove il tasso di mortalità legato alla malaria rimane lo stesso, porterà a un aumento vertiginoso del numero di morti, se non verranno organizzate adeguate campagne di controllo ed eradicazione.

Fonte del grafico: The Economist

Secondo il World malaria report 2021, pubblicato dall’Oms il 6 dicembre 2021, nel 2020 i casi di malaria nel mondo sono stati 241 milioni e 627mila i decessi. Questi dati mostrano una recrudescenza della malattia, che vedeva dal 2000 una progressiva diminuzione in termini assoluti, anche se già dalla metà degli anni 2010 la decrescita si stava attenuando. Rispetto al 2019, nel 2020 ci sono stati 14 milioni di casi e 69mila morti in più. Circa due terzi di questi decessi sono collegati alla mancata implementazione e continuità dei trattamenti necessari per la prevenzione e la cura della malattia. Questo fatto è stato determinato probabilmente dal dirottamento di fondi e di misure di igiene pubblica verso la prevenzione da Covid-19. Allo stesso tempo, il parassita è diventato mano mano più resistente ai farmaci mentre le zanzare hanno progressivamente sviluppato una forma di resistenza agli insetticidi a base di piretro sintetico, i meno tossici per l’uomo e per questo i piu’ diffusi.

La maggior parte dei casi di malaria si registra nell’Africa sub-sahariana, dove avvengono il 95% dei contagi e il 96% dei decessi. Inoltre, l’80% delle persone morte per malaria in queste regioni sono minori sotto i cinque anni di vita. Si tratta di dati spiegabili in vari modi. Da una parte l’incidenza si concentra nelle zone tropicali del globo perché qui il ciclo del parassita è stabile grazie alla presenza di vettori strettamente legati all’essere umano e a temperature mediamente piu’ alte che consentono una veloce replicazione del parassita nella zanzara e allungano la vita della stessa, aumentando la probabilita’ di tramissione. Dall’altra parte, la malaria è particolarmente letale per i bambini sotto i cinque anni perché questi non hanno ancora sviluppato un sistema immunitario capace di difendere l’organismo dal parassita. Dopo i cinque anni, gli anticorpi elaborati dai sopravvissuti permettono al corpo di “convivere” con il parassita, tenendo quest’ultimo sotto controllo. Ma se “l’ospite”, ovvero il singolo individuo, non continua a essere infettato dal parassita, il sistema immunitario “perde” la memoria, smette di sviluppare gli anticorpi necessari per respingere il parassita e l’organismo umano torna a essere estremamente vulnerabile alla malaria.

Fonte del grafico: Centers for disease control and prevention

Come detto, la malaria è causata da un parassita del genere Plasmodium. La sua specie più letale per l’essere umano si chiama Plasmodium falciparum. Quello che può sfuggire a prima vista è che l’essere umano svolge a sua volta un ruolo importante per la trasmissione del parassita. Un essere umano può infettare a sua volta altre zanzare, le quali andranno a diffondere il parassita in altri esseri umani. Da un punto di vista entomologico, come succede per tanti parassiti, ci si trova di fronte a una coevoluzione tra zanzare, Plasmodium ed essere umano che ha permesso un certo equilibrio tra le tre specie in termini di sopravvivenza. Ciò nonostante, la malaria è stata probabilmente la causa di morte della metà degli esseri umani vissuti sulla Terra, secondo le stime contenute nello stesso articolo di Nature.

Nel contesto attuale l’umanità sembra essere di fronte a un punto di svolta nella lotta alla malaria. Infatti, a seconda delle decisioni che verranno prese in materia di prevenzione della malattia, la malaria potrebbe essere eradicata in tutto il mondo, come è già successo con il virus del vaiolo, grazie a particolari innovazioni recentemente scoperte. Un podcast pubblicato il 5 aprile dall’Economist fa il punto sui nuovi rimedi che potrebbero cambiare la situazione in campo. Le armi a disposizione, in questo momento, sono essenzialmente tre: vaccini, nuovi insetticidi e zanzare geneticamente modificate.

  • L’approvazione definitiva da parte dell’Oms del nuovo vaccino anti-malaria Mosquirix è stata divulgata al mondo intero nell’ottobre dell’anno scorso. Anche se i primi risultati sembravano garantire una copertura assai limitata (all’incirca il 30%), ulteriori verifiche hanno invece confermato con il vaccino è efficace nel 70% dei casi, garantendo l’immunità per quasi i tre quarti delle persone vaccinate. Questo traguardo è un obiettivo storico, perché garantisce la possibilità di prevenire la diffusione di epidemie di malaria grazie a una adeguata campagna vaccinale. Il problema riguarda il restante 30%, che rende impossibile l’eradicazione totale visto che il parassita continuerà a diffondersi nella restante popolazione umana.

  • La scoperta del Ddt nel 1939 è stata all’epoca una rivoluzione epocale che ha permesso di cominciare a contrastare la malaria e la febbre gialla in tutto il mondo. Negli anni, questo insetticida è stato ampiamente utilizzato e ha portato le zanzare e altri insetti a sviluppare una forma di resistenza alla molecola. Nel contesto attuale tutti gli insetticidi a base piretroide sono infatti meno efficaci rispetto al passato e questa è una delle ragioni connesse all’innalzamento dei casi di malaria negli ultimi anni. Nell’ultimo periodo è stato però scoperto il Chlorfenapir, un cosiddetto pro-insetticida che viene assimilato dall’insetto, il quale lo processa nel proprio organismo. Solo in seguito, una volta che la molecola di Chlorfenapir viene metabolizzata, emerge l’effetto letale dell’insetticida. Rispetto agli insetticidi piretroidi, questo tipo di formula è più lenta, perché l’insetto deve assimilare e processare la molecola prima che questa faccia effetto, ma più efficace contro le zanzare resistenti ad altri composti e meno soggetta ad indurre resistenza.

  • La modifica del Dna delle zanzare per determinare la loro sterilità. Questo è il razionale biologico che ha spinto varie organizzazioni, tra cui la Fondazione Bill and Melinda Gates a finanziare grossi consorzi come Target Malaria, all’interno del quale lavora il Laboratorio Crisanti dell’Imperial College di Londra, ad approfondire la ricerca di base in questo settore. L’obiettivo principale di questo approccio è quello di diffondere nella popolazione di zanzare geni o trans-geni che causano o una distorsione del rapporto tra sessi in favore dei maschi (aumenta la nascita dei maschi) o una diffusione di geni che porteranno le femmine a nascere sterili. Il risultato di queste modifiche genetiche porta a una riduzione drastica della popolazione di zanzare, se non al suo totale collasso. È importante sottolineare che non tutte le specie di zanzara sono vettrici della malaria e che l’applicazione di questa tecnica in un determinato contesto non porta all’estinzione di tutte le zanzare. Questa tecnica è realizzabile grazie a quello che viene chiamato gene-drive, ovvero una sistema che garantisce una eredità superiore a quella mendeliana e porta il transgene a diffondersi nella popolazione di zanzare.

Grazie a queste nuove tecniche l’umanità è effettivamente pronta a combattere la malaria una volta per tutte ma non perché una di queste soluzioni sia vincente mentre le altre sono da scartare. Come spiegano a Futura network Luca Facchinelli e Laura Valerio, (entomologi sanitari presso la Scuola di Medicina Tropicale di Liverpool), la lotta contro la malaria non si combatte con un’arma sola, ma deve essere affrontata in modo “integrato, perché sarà la combinazione di tutti gli strumenti a disposizione renderà possibile un controllo veramente efficace del parassita”. Le ragioni che potrebbero compromettere gli sforzi fatti dalla ricerca in questi anni sono piuttosto da andare a cercare nel trasferimento di queste nuove tecnologie sul campo. Si registrano due problemi particolarmente importanti. Il primo riguarda il cosiddetto “ultimo miglio”: “se viene implementata una campagna antimalarica efficace, che riduce drasticamente l’incidenza della malattia, allora la visione deve essere a lungo termine perché il parassita, anche se vengono ridotte le sue possibilità di diffondersi, deve essere costantemente monitorato. In una popolazione umana risanata dalla malaria, ogni nuovo caso deve essere trattato tempestivamente perché potrebbe diffondersi nuovamente una epidemia in una popolazione che ha perso la sua capacità di risposta immunitaria, con conseguenze catastrofiche”, affermano i due ricercatori. Il secondo problema è invece legato alle decisioni dei governi e al consenso popolare rispetto a nuove tecniche di contenimento ed eradicazione della malattia. “La modificazione genetica fa paura, spesso le popolazioni residenti si oppongono al rilascio di zanzare transgeniche e i governi devono rispondere a queste diffidenze. Più in generale, la malaria si diffonde particolarmente in zone del mondo spesso attraversate da conflitti all’interno e tra diversi Stati. In contesti di instabilità politica o di belligeranza la lotta contro la malaria viene immediatamente scalata in un grado di priorità inferiore, a detrimento della salute e dell’aspettativa di vita della popolazione”. 

In questo contesto gli scenari futuri possono essere due: o l’umanità, nelle sue differenze, eterogeneità, e divisioni, riuscirà a unire i propri sforzi per diminuire drasticamente il numero di casi e di morti per malaria combinando tutti gli strumenti che sono ora a disposizione, oppure ritardi, noncuranze e inefficienza porteranno a un rinvigorimento del parassita che continuerà a mietere vittime. E in un quadro di aumento della popolazione mondiale, se il tasso di mortalità causato dalla malaria non cala, le morti potrebbero tornare a essere milioni ogni anno.

martedì 12 aprile 2022