L’Unione europea vuole darsi una difesa comune. Con quali prospettive?
Lo Strategic compass punta a una strategia militare europea e a una maggiore autonomia dalla Nato. Ma il suo successo presuppone una politica estera condivisa e un ridimensionamento degli eserciti nazionali.
di Andrea De Tommasi
Da decenni, con intensità diversa, si succedono previsioni sulla capacità dell’Europa di darsi una propria politica di sicurezza e difesa. Già agli inizi degli anni ‘50, l’esigenza di una difesa comune aveva portato all’elaborazione del progetto della Ced, la Comunità europea di difesa, che naufragò a causa del veto francese. All’interno dell’Unione europea i Paesi hanno sempre mostrato posizioni differenti in questo ambito. Per Italia e Germania, ad esempio, la relazione con gli Stati Uniti è sempre stata la posizione prioritaria. Con l’avvento di Joe Biden alla Casa Bianca, poi, l’Europa sembrava aver smorzato quella che era l’ambizione di una strategia europea autonoma.
Con l’aggravarsi della crisi in Ucraina, i leader europei hanno concordato al vertice di Versailles di portare avanti un rafforzamento della difesa europea e investire nella sicurezza. L’Unione europea ha già inviato all’Ucraina aiuti militari per un valore di oltre mezzo miliardo di dollari. La Germania ha annunciato che aumenterà notevolmente la sua spesa per la difesa e invierà armi in Ucraina, una decisione precedentemente impensabile. L’Italia ha da poco annunciato un incremento delle spese per la difesa, anche se spalmato fino al 2028. Anche Finlandia e Svezia, due Paesi tradizionalmente non allineati, stanno fornendo armi per aiutare l’esercito ucraino. Il governo danese ha annunciato che il 1° giugno il Paese terrà un referendum per riconsiderare la clausola che finora ha tenuto la Danimarca lontana dalla politica di difesa comune dell’Ue. La decisione europea per una politica di difesa comune si è sostanziata nella approvazione da parte del Consiglio europeo dello Strategic compass, la cosiddetta “bussola strategica”. Per la prima volta, i 27 Stati membri dell’Unione hanno formulato i loro interessi di sicurezza in un documento comune. “L’Europa deve imparare a parlare la lingua del potere”, ha affermato il rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri Joseph Borrell. La misura più rilevante di questo documento è la creazione di una forza di dispiegamento rapido di cinquemila soldati sotto il comando europeo, e non della Nato. Viene confermato l’utilizzo dello “European peace facility”, un nome piuttosto improprio perché si tratta del fondo per finanziare l’acquisto di armi, di cui 500 milioni di euro destinati alla resistenza ucraina. Lo Strategic compass volge tuttavia lo sguardo all’intero globo. La Russia, con la sua guerra di aggressione, i conflitti in Georgia e Moldavia e il regime autoritario in Bielorussia, sono identificati come le principali minacce per l’Unione europea. Seguono la Cina, la situazione instabile nei Balcani occidentali, il terrorismo islamista nella regione africana del Sahel, i conflitti regionali in Medio Oriente e uno sguardo all’Artico, all’Indo-Pacifico e all’America Latina, in particolare alla crisi venezuelana. Inoltre, si fa cenno alle minacce provenienti dal cyberspazio.
Autodeterminazione o perdita di sovranità?
Nelle interpretazioni più ottimistiche, lo Strategic compass darà all’Europa più autorità sulla scena mondiale e le consentirà di spingere maggiormente sugli investimenti. L'Ue “ha bisogno del proprio esercito per far funzionare la sua diplomazia”, ha affermato lo studioso greco Andreas V. Georgiou sul Brussels Times . “Deve essere forte” per “promuovere stabilità, sicurezza, prosperità, democrazia, libero scambio, libertà fondamentali e stato di diritto”, ha scritto a febbraio. Quanto si risparmierebbe con l’esercito europeo? Secondo uno studio di Key4biz, basato su un documento dell’European Parliamentary Research Service, un esercito europeo costerebbe 26 miliardi di euro in meno all’anno, rispetto alla somma dei singoli eserciti nazionali.
Gli scettici ritengono che molti degli obiettivi della bussola sembrano in realtà vaghi e quelli più sostanziali possono rivelarsi divisivi, inclusa la capacità di implementazione rapida che non è supportata all’unanimità dagli Stati membri. Il vice primo ministro polacco Piotr Glinski ha dichiarato nei giorni scorsi che “lo Stato nazione” è “il più attrezzato per resistere all'aggressione, rispetto ai blocchi politici”.Un altro elemento riguarda la prospettiva di un indebolimento del ruolo della Nato. “Gli alleati e i partner della Nato che lavorano come una squadra in modalità di cooperazione consolidate - e non un’Ue inesperta che lavora a scopi incrociati o addirittura mina attivamente l'alleanza - rimarranno il fornitore primario di sicurezza per l'Europa", ha scritto Bart MJ Szewczyk, del think tank statunitense del German Marshall Fund, in Foreign Policy.
L’esercito è lontano
Un fattore su cui molti politici ed esperti concordano è che lo Strategic compass non è la piena unificazione dell’Unione europea in materia di sicurezza e difesa, e nemmeno l’anticamera di un futuro esercito. A livello di dimensioni, infatti, prevede una forza di intervento rapido piuttosto esigua al cospetto degli accordi di Helsinki del dicembre 1999, che stabilivano la creazione di contingenti europei di 50mila-60mila unità autosufficienti e con proprie capacità di comando. “Si tratta di un primo tentativo, ancora malfermo e gracile, compromesso dalla evidente scarsità di mezzi, risorse e uomini ma che va, tuttavia nella giusta direzione”, ha osservato Luigi Manconi in un articolo intitolato "Non servono altri missili ma serve l’esercito europeo”, apparso il 31 marzo sulla Stampa. Nella sua interpretazione, la scelta degli Stati membri di gestire la maggior parte delle spese militari su base nazionale rappresenta il maggior ostacolo alla costituzione di una politica estera e di una difesa comune europea. “Un esempio solo: attualmente sono in corso ben quattro progetti di realizzazione di aerei da combattimento: e ciascuno di essi, vede coinvolti, separatamente, tre o quattro Paesi europei”, scrive Manconi.
Anche per Romano Prodi la tendenza a perseguire politiche estere su base nazionali ostacola il processo di unità europea. Intervenuto a Piazza Pulita su LA7, l’ex premier ha dichiarato: “Questi aumenti di spesa si fanno solo quando si è fatta una politica estera e di difesa comune. E sono molto preoccupato del fatto che la Germania abbia enormemente aumentato il suo bilancio. Fare prima questo e poi vedere chissà quando una politica europea comune è pericoloso. Ci allontaniamo dalla politica europea condivisa”.
Un punto di svolta?
Recentemente la Commissione europea ha stanziato con lo European defense fund circa sette miliardi per finanziare entro il 2027 gli appalti e la ricerca nel settore della difesa e dello spazio. Non una cifra esorbitante, ma una mossa che suggerisce una nuova direzione per l’industria della difesa. Vanno poi ricordati i programmi congiunti Copernicus e Galileo. Lo Strategic compass è un’operazione nata dalla presidenza francese del Consiglio dell’Ue, ma ben vista da molte capitali europee. Saprà l’Europa cogliere questa finestra di opportunità? Nel suo discorso al Parlamento europeo, il 19 gennaio di quest’anno, Emmanuel Macron ha detto che è tempo che l’Europa “diventi una potenza culturale e politica”: nel campo della sicurezza, “questa promessa di progresso futuro vale solo se, di fronte al disordine geopolitico, alla minaccia del terrorismo, agli attacchi informatici, all’immigrazione illegale e a questi grandi tempi di turbolenza, dimostriamo di saper rispondere. E di fronte a questo ritorno del carattere tragico nella storia, l’Europa deve essere armata, non per sfidare le altre potenze, ma per garantire la sua indipendenza in questo mondo di violenza, per non essere sottomessa alle scelte altrui. Per essere libera”. Alcuni analisti fanno notare che l’Unione europea ha perso con Brexit una delle due potenze militari di un certo spessore, con capacità nucleare. Rimane la Francia, anche se è difficile prevedere se in futuro metterà al servizio dell’Europa i due elementi più importanti di cui dispone, ovvero il nucleare e il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Francia, si chiedono, inizierà a ragionare in modo realmente comunitario? Oppure resterà intergovernativa?
L’ambizione dichiarata dello Strategic compass è cooperare meglio con la Nato e questo sembra possibile grazie a due sviluppi: la Francia di Macron non parla più di “morte cerebrale” dell’Alleanza atlantica ma di autonomia strategica all’interno della Nato; i Paesi dell’Europa centrale riconoscono la necessità di un’Europa con compiti di difesa di fronte all’oscillazione strategica degli Stati Uniti verso l’Asia e la Cina. Non è un caso che il Compass sia stato adottato alla presenza del presidente degli Stati Uniti, ospite del Consiglio europeo. A questo punto, occorre porsi due domande: è un’esigenza sentita quella dell’autonomia strategica? Probabilmente sì, pensando al rovinoso ritiro dall’Afghanistan e ai limiti strategici e operativi a cui i partner europei sono stati sottoposti. L’Europa ha un’autonomia nei sistemi tecnologici avanzati? Le industrie europee, comprese quelle italiane che sono di ottimo livello, sono all’avanguardia nell’elicotteristica, nella cantieristica navale, nell’elettronica di difesa anti-missile. In altri ambiti però gli Stati Uniti sono più avanti e restano un fornitore da cui non si può prescindere. Il vantaggio tecnologico deriva perciò anche dalla partecipazione alla Nato. L’autonomia strategica dell’Europa si misurerà anche su questo: capacità industriali, di ricerca e di innovazione.