Reuters: Facebook, WhatsApp e Telegram sono i principali canali di fake news
Durante il Coronavirus, la fiducia nei media classici è aumentata, ma gli abbonamenti online restano bassi. La pandemia ha accelerato la scomparsa dei giornali stampati.
di Flavio Natale
“A più di un anno dal suo inizio, la pandemia di Coronavirus continua a gettare una nuvola oscura sulla salute delle nostre comunità, nonché su quella dell'industria dell'informazione”. Il Reuters institute for the study of journalism ha recentemente pubblicato il rapporto “Digital news report 2021”, in cui ha intervistato 92mila consumatori distribuiti su sei continenti e 46 mercati sugli argomenti centrali del mercato dell’informazione, che vanno dall'impatto della pandemia sul giornalismo al progresso dell’informazione digitale a pagamento, dalla fiducia nelle notizie alla disinformazione.
“La crisi, completa di blocchi e altre restrizioni, ha accelerato la scomparsa dei giornali stampati, incidendo ulteriormente sui profitti di molte società di media un tempo indipendenti”. Secondo Reuters, infatti, nuovi modelli di business (come l'abbonamento) sono stati accelerati dalla crisi, ma nella maggior parte dei casi questo cambio di rotta non è ancora riuscito a compensare la voragine economica perduta altrove.
“L’informazione mainstream si è trovata totalmente spiazzata”, ha spiegato a FUTURAnetwork Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore e oggi editorialista del quotidiano di via Solferino, dopo l’uscita di un altro rapporto Reuters sul futuro e sulle principali tendenze attese nel giornalismo per il 2021. “Per troppo tempo ha compiuto l’errore di dare i contenuti gratuitamente sulla rete. Oggi non solo fatica a farseli pagare assai poco, forse con l’unica eccezione di Rupert Murdoch in Australia. Ma con l’effetto negativo di aver reso difficile l’accettazione dell’idea che un’informazione di qualità debba essere pagata. Questo ha generato in un pubblico vasto l’attesa che l’informazione sia una sorta di commodity priva di valore e che debba essere fruita a ogni angolo della strada, senza porsi il problema se quell’informazione sia attendibile o meno”.
Eppure, secondo il rapporto, questa crisi ha anche mostrato il valore di informazioni accurate e affidabili: “In molti Paesi vediamo il pubblico rivolgersi a fonti attendibili, oltre ad attribuire una maggiore fiducia ai media in generale”.
Naturalmente, queste tendenze non sono universali e il rapporto ha attestato profonde disuguaglianze nel consumo e nella fiducia nell’informazione tra giovani, donne, persone appartenenti a minoranze etniche ed estremisti politici. “La rivolta di Capitol Hill negli Stati Uniti e la diffusione globale di false informazioni e teorie del complotto sul Coronavirus hanno spostato il discorso sull’attendibilità delle notizie e sulle fonti, motivo per cui il rapporto ha intrapreso una ricerca dettagliata per comprendere il ruolo giocato dai social network”.
La fiducia nelle notizie è cresciuta, in media, di sei punti percentuali (sulla scia della pandemia di Coronavirus), con il 44% del campione che afferma di fidarsi della maggior parte delle notizie diffuse dai media. Ciò inverte, in una certa misura, i recenti cali di fiducia, riportando i livelli a quelli del 2018. La Finlandia rimane il paese con il più alto livello di fiducia complessiva (65%), mentre gli Stati Uniti detengono il record per il livello più basso (29%) registrato.
Allo stesso tempo, la fiducia nelle notizie provenienti dai social è rimasta sostanzialmente stabile. “Ciò significa che il pubblico sembra dare un premio maggiore a fonti di notizie accurate e affidabili”.
Riguardo i contenuti delle notizie, la maggior parte degli intervistati (74%) ha affermato di preferire ancora quelle che riflettono una serie di punti di vista e consentono di “decidere cosa pensare”. Un’altra consistente maggioranza ha sottolineato anche che i notiziari dovrebbero cercare di essere neutrali su ogni questione (66%), sebbene alcuni gruppi più giovani pensino che l’imparzialità potrebbe non essere appropriata o desiderabile in alcuni casi (ad esempio, sulle questioni di giustizia sociale).
L'uso dei social media per la fruizione di notizie rimane pervasivo, soprattutto tra i giovani e quelli con livelli di istruzione inferiori. Le app di messaggistica come WhatsApp e Telegram sono diventate particolarmente popolari nel Sud del mondo, creando maggiore preoccupazione quando si tratta di diffondere disinformazione sul Coronavirus. “Coloro che utilizzano i social media hanno maggiori probabilità di affermare di essere stati esposti a disinformazione sul Covid-19 rispetto ai non utenti”, dichiara Reuters, specificando che Facebook è visto come il canale principale per la diffusione di disinformazione in buona parte del mondo, mentre le app di messaggistica come WhatsApp sono un problema più significativo nel Sud del pianeta, in nazioni come Brasile e Indonesia.
“I nostri dati suggeriscono che le principali fonti giornalistiche attirano l'attenzione sulle notizie prodotte tramite Facebook e Twitter, ma sono spesso eclissate da influencer e fonti alternative in rete come TikTok, Snapchat e Instagram”. TikTok raggiunge attualmente un quarto (24%) degli under35 a livello globale, con il 7% che utilizza la piattaforma per le notizie, in particolare nelle zone dell'America Latina e dell'Asia.
“Abbiamo registrato aumenti significativi nei pagamenti per le notizie online in un piccolo numero di Paesi occidentali più ricchi, ma la percentuale complessiva di persone che pagano per le notizie online rimane bassa”, si legge nel rapporto. La Norvegia continua a guidare la strada con il 45% (+3%) dei fruitori di giornali online che paga gli abbonamenti, seguita da Svezia (30%), Stati Uniti (21%), Finlandia (20%), Paesi Bassi (17%), Svizzera (17%) e Italia (13%). Minori progressi in Francia (11%), Germania (9%) e Regno Unito (8%).
“L'accesso alle notizie risulta sempre più diversificato”. In tutti i mercati, solo un quarto (25%) preferisce iniziare il proprio viaggio nelle notizie con un sito Web o un'app. Le persone di età compresa tra 18 e 24 anni hanno quasi il doppio delle probabilità di preferire l'accesso alle notizie tramite social media, aggregatori o avvisi su mobile. Proprio questi aggregatori di notizie hanno una posizione di rilievo in molti mercati asiatici: in India, Indonesia, Corea del Sud e Thailandia, una serie di app come Daily Hunt, Smart News, Naver e Line Today stanno svolgendo un nuovo ruolo importante nella diffusione delle notizie in questo senso.
“In un certo numero di Paesi europei il consumo di notiziari televisivi è stato significativamente più alto rispetto a un anno fa, quando non erano in vigore restrizioni alla circolazione”, registra Reuters. “Ciò non sorprende, dato che così tante persone sono rimaste bloccate a casa, ma ha riaffermato l'importanza di un mezzo che sia accessibile, facile da consumare, che raggiunga un'ampia gamma di pubblico e sia perlopiù affidabile”.
Nel Regno Unito, ad esempio, la percentuale che ha selezionato i telegiornali come fonte principale è salita al 36% (+7 punti percentuali) e in Irlanda al 41% (+8 punti percentuali). “Sarebbe sbagliato enfatizzare eccessivamente qualsiasi aumento temporaneo del consumo televisivo dato il passaggio a lungo termine verso le fonti digitali, ma è un promemoria della continua attrazione per la narrazione televisiva e della forza dei marchi di notizie tradizionali”.
Infine, adottando una prospettiva più a lungo termine, il rapporto ha registrato un calo d’interesse per le notizie in molti Paesi. “La percentuale che si dice molto o estremamente interessata è diminuita in media di cinque punti percentuali dal 2016 – con un calo di 17 punti percentuali in Spagna e Regno Unito, 12 punti in Italia e Australia e otto in Francia e Giappone”. L'interesse per le notizie negli Stati Uniti è diminuito di 11 punti percentuali nell'ultimo anno, raggiungendo solo il 55%. “In una certa misura questo non ci sorprende, poiché il nostro sondaggio è stato condotto dopo i turbolenti eventi a Capitol Hill a gennaio e la partenza di Donald Trump”. Molti ex sostenitori di Trump, infatti, hanno mostrato segnali che vanno verso un totale abbandono dell’informazione. “Da gennaio, le reti televisive di destra negli Stati Uniti come Fox News hanno perso una fetta significativa del loro pubblico, ma anche le testate liberali come la Cnn”. Alcuni commentatori hanno predetto da tempo che “l'urto di Trump del giornalismo potrebbe lasciare il posto a un crollo”.
La sfida per le aziende dei media, conclude Reuters, è dunque quella di “trovare il modo per riconquistare l'interesse senza ricorrere al sensazionalismo, che a sua volta potrebbe danneggiare ulteriormente la fiducia nelle fonti”.
di Flavio Natale