Senza politiche adeguate la crisi climatica impoverirà l’Italia
Dissesto idrogeologico, aumento delle diseguaglianze, minori possibilità di sviluppo, incremento delle malattie: l’Italia non è ancora dotata di un Piano di adattamento per far fronte a conseguenze ormai inevitabili.
di Andrea De Tommasi
Il Pianeta si sta riscaldando e l’allarme è particolarmente grave in Italia, dove le temperature stanno aumentando più velocemente della media globale. I cambiamenti climatici non sono più un’ipotesi sul futuro, ma riguardano l’Italia di oggi, con frequenti trombe d’aria, piogge alluvionali, grandinate che abbiamo davanti ai nostri occhi anche in queste settimane. In dieci anni, secondo una stima di Legambiente, ci sono stati nel nostro Paese oltre 500 fenomeni estremi e oltre 50 mila persone evacuate. Questi numeri, se da una parte dimostrano l’urgenza di intervenire per ridurre le emissioni di gas serra, che sono la causa dei cambiamenti climatici, dall’altra dovrebbero spingere il Paese a cambiare strada, a partire dall’approvazione di un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno fatto gli altri Paesi europei, in modo da coordinare le politiche di riduzione del rischio sul territorio.
I cambiamenti climatici, ci ha ricordato di recente il rapporto “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, pubblicato a settembre dalla Fondazione Centro Euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), sono un acceleratore del rischio per molti ambiti dell’economia e della società: “possono costare fino all’8% del Pil pro capite, acuire le differenze tra Nord e Sud, tra fasce di popolazione più povere e più ricche, insistere su una serie di settori strategici per l’Italia”. Perciò ritardare l’azione di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici espone l’Italia a impatti sempre più negativi e rischi sempre più accentuati. A dire il vero, l’Italia non è il solo Paese che deve invertire la rotta: i dati dell'Ufficio delle Nazioni unite per la riduzione del rischio di disastri (Undrr) indicano che le nazioni ricche hanno fatto poco per contrastare emissioni legate alle minacce climatiche che costituiscono oggi la maggior parte dei disastri. Però negli ultimi vent’anni la probabilità del rischio per quanto riguarda gli eventi estremi è aumentata in Italia del 9%. E in termini di dissesto idro-geologico, secondo dati Ispra circa il 90% dei comuni italiani si trova a rischio di frane o alluvioni.
Il report del Cmcc è costruito su cinque capitoli nei quali vengono illustrati gli scenari climatici attesi per l’Italia: l’analisi di rischio aggregato; l’analisi di rischio per l’ambiente urbano, il sistema geo-idrologico, le risorse idriche, l’agricoltura, le foreste e gli incendi boschivi; costi, strumenti e risorse per la valutazione economica degli impatti; alcune iniziative di adattamento. I diversi modelli climatici[1] sono stati concordi nel valutare . Si prevede un aumento delle precipitazioni a Nord e un calo (con conseguente siccità) a Sud, con numerose giornate e notti calde, un rischio tangibile per la salute di anziani e soggetti a rischio. Le zone costiere, importantissime da un punto di vista alimentare, economico e sociale, sono quelle in assoluto più a rischio. Il dissesto idrogeologico è destinato a peggiorare: la deforestazione, con lo scioglimento delle nevi e dei ghiacci, causerà problemi enormi, con il calo della disponibilità di acqua per scopi agricoli e zootecnici. D’altronde studi scientifici recenti hanno attribuito al ghiacciaio della Marmolada non più di 15 anni di vita: il gigante delle Dolomiti ha ormai perso oltre l'80% del proprio volume passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali. Altra conseguenza sarà l’aumento degli incendi boschivi per numero e intensità, con impatti drammatici su persone, beni ed ecosistemi esposti alle aree più vulnerabili.
Dall’analisi del Cmcc si evince che la capacità di adattamento e la resilienza sono temi che interessano l’intero territorio italiano da Nord a Sud. Anche se più ricche e sviluppate le regioni del Nord non sono immuni agli impatti dei cambiamenti climatici, né sono più preparate per affrontarli. Certamente lo scenario peggiore riguarda i centri urbani, che sono i più suscettibili all’aumento delle temperature a causa di superfici impermeabili e scarsità di elementi naturali. Rispetto alle zone rurali, possono registrare differenze anche di 5°-10°, con conseguenze drammaticamente dirette: “Sono attesi incrementi di mortalità per cardiopatie ischemiche, ictus, nefropatie e disturbi metabolici da stress termico e un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra i fenomeni legati all’innalzamento delle temperature in ambiente urbano (isole di calore) e concentrazioni di ozono (O3) e polveri sottili (PM10)”. Conseguenze anche sulle disuguaglianze economiche tra regioni: gli impatti economici negativi tendono ad essere più elevati nelle aree relativamente più povere. “Ad esempio, in uno scenario Rcp8.5, gli indicatori di ‘uguaglianza’ peggiorano del 16% nel 2050 e del 61% nel 2080”. Infine, tutti i settori dell’economia risultano impattati negativamente dagli effetti del clima, ma le perdite maggiori si registrano nelle reti e nella dotazione infrastrutturale del Paese.
Il Rapporto ha fornito inoltre una stima dei costi economici degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia nei diversi scenari. In uno scenario in cui l’aumento della temperatura rimanesse al di sotto dei 2°C rispetto al periodo preindustriale, “le perdite economiche per il Paese sarebbero ragionevolmente contenute, pur presentando costi comunque non trascurabili (circa lo 0,5% del Pil nazionale)”, mentre aumenterebbero in modo esponenziale in caso di livelli di temperatura più elevati, “con perdite di PIL pro capite superiori al 2,5% nel 2050 e tra il 7-8% a fine secolo, considerando lo scenario climatico ad alte emissioni di gas serra e, di conseguenza, con cambiamenti climatici maggiori”. Il Rapporto propone anche soluzioni economiche, come la creazione di Partenariati pubblico-privati (Ppp), Green bond, Social bond e Sustainability bond. Investire, insomma, nello sviluppo sostenibile seguendo il modello indicato dal Green Deal europeo: “Un’occasione da non perdere né rimandare: è il momento migliore in cui nuovi modi di fare impresa e nuove modalità per una gestione sostenibile del territorio devono entrare a far parte del bagaglio di imprese ed enti pubblici, locali e nazionali”.
Nonostante questi dati allarmanti sugli effetti dei cambiamenti climatici, l’Italia è partita in ritardo rispetto agli altri Paesi europei: “Se la Finlandia ha avviato politiche di adattamento già nel 2005”, ha dichiarato Francesca Giordano di Ispra al convegno nazionale “Clima ed energia nel Green deal per la ricostruzione dell’Italia”, “in Italia soltanto nel 2012 è stata predisposta la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Snac), un documento strategico che propone un quadro di riferimento sugli impatti futuri del clima proponendo alcune azioni per l’adattamento”. L’Italia, però, ha successivamente iniziato il processo di definizione di un piano che realizzasse gli obiettivi programmatici della Snac: è stato così sviluppato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), non ancora formalmente approvato dal governo, ma la cui bozza è stata già sottoposta a due consultazioni pubbliche nel 2017. Un ritardo sui cui si è espresso anche il Rapporto 2020 dell’ASviS, che ha osservato come “sull’onda dei recenti disastri di Genova, Venezia, Palermo e di tanti altri luoghi, vada rapidamente approvato un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici rafforzato dagli orientamenti del Green Deal europeo. Appare ormai evidente a tutti la relazione tra queste tematiche e quella della protezione della salute, che hanno in comune i fattori organizzativi, le finalità e anche le origini, spesso legate alla violazione degli assetti e degli ecosistemi naturali e degli habitat degli organismi viventi”.
Nelle proprie raccomandazioni, anche il Cmcc chiede di approvare il prima possibile lo Pnacc, che per la curatrice del Rapporto, Donatella Spano, rappresenta “una solida base scientifica e informativa a disposizione delle amministrazioni regionali e locali che stanno intraprendendo il percorso di pianificazione dell’adattamento. Il Piano fornisce infatti un’analisi climatica ad elevata risoluzione per l’Italia, identificando sei macroregioni climatiche sulla base del clima attuale e le rispettive proiezioni climatiche attese secondo due differenti scenari, un’analisi del rischio per il territorio italiano a livello provinciale nonché gli impatti e i rischi attesi per i 18 settori già precedentemente identificati dalla Snac”.
“In attesa dell’approvazione del Piano nazionale”, ha notato Giordano, “a livello locale si sono mosse le Regioni e le città: la Lombardia ha predisposto la sua strategia di adattamento e mitigazione nel 2014, seguita dall’Emilia Romagna e dalla Sardegna. Tra le città, Ancona ha varato per prima una strategia di adattamento, seguita dai comuni di Bologna, Roma e Milano. Purtroppo le città faticano ancora a intraprendere questi percorsi, che finora sono stati implementati soltanto quasi solo grazie a fondi europei. È fondamentale che gli amministratori vengano dotati di strumenti concreti per ripensare i quartieri e gli spazi naturali, per vietare che le persone frequentino o vivano in zone a rischio, per delocalizzare edifici collocati in aree pericolose, per mettere in sicurezza le infrastrutture urbane. Occorre creare spazi pubblici sul modello di quanto stanno facendo le città europee: piazze, parcheggi, vasche di accumulo e trattenimento di acqua”.
Come ha ricordato il Wwf, il 2020 sarà un anno strategico per i Paesi firmatari dell'Accordo di Parigi, che potranno evitare la catastrofe climatica rivedendo gli obiettivi dei loro contributi nazionali (Ndc) e presentando strategie a lungo termine (Lts)avvicinare il mondo all'obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale. Tuttavia, Mariagrazia Midulla responsabile Clima ed Energia Wwf Italia, ha ricordato allo stesso convegno nazionale che “se si continua a pensare che adattamento voglia dire tornare come eravamo prima, vuol dire che non si capisce l’epoca in cui stiamo vivendo”. Non bisogna infatti solo mettere in sicurezza i territori dissestati, ma comprendere come trasformare il Paese per garantire un ambiente pulito. “È fondamentale un cambio di paradigma, fare sistema, porsi paletti e obiettivi, pensare a lungo termine: questa è la sfida che ci aspetta nel futuro”.
[1] I Modelli climatici regionali (Rcm) – Cosmo-Clm ed Euro-Cordex hanno una precisione elevatissima: arrivano a una risoluzione anche di 8-12 chilometri su scala nazionale.
di Andrea De Tommasi