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Il picco della globalizzazione. E un dato in controtendenza

Il protezionismo dovuto alla crisi Covid-19 ha abbattuto la connessione tra le economie. La globalizzazione della scienza, però, sembra continuare.

di Luca De Biase, giornalista

La Cina è meno dipendente dalle esportazioni di quanto non fosse una decina d’anni fa. Ne hanno scritto, per esempio, Nicholas R. Lardy e Tianlei Huang di Peterson Institute for International Economics (Piie). La quota di export sul Pil cinese nel 2008 era circa il 31%: ora non è che il 17% (fonte: http://www.stats.gov.cn/english/).

In ogni caso, dalla crisi del 2008, il rapporto tra il commercio mondiale e il Pil globale è in diminuzione.

Sicuramente una spinta alla definizione di una nuova fase della globalizzazione è stata data dalla politica dell’amministrazione americana dopo il 2016. Ma secondo Piie la pandemia ha accelerato una tendenza  in atto. Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che «il coronavirus cambierà la natura della globalizzazione, anche se era chiaro che quel tipo di globalizzazione era arrivato alla fine del suo ciclo». Il protezionismo unito al crollo del turismo, dei viaggi di lavoro e degli scambi di merci, ha abbattuto la connessione tra le economie. E ha messo in discussione la complessità intricatissima delle filiere produttive internazionali. Scott Morrison, primo ministro dell’Australia, ha detto in parlamento: «Il libero commercio è stato al centro della nostra prosperità per secoli. Ma oggi dobbiamo ripensare attentamente a come mantenere la nosrta sovranità economica». Anche il Giappone ha iniziato a studiare tutti I moti utili per ridurre la dipendenza della sua suppy-chain dalla Cina per produrre di più in casa.

Sovranismi di ogni tipo pervadono l’Europa che comunque sembra in difficoltà a mantenere una rotta unitaria e appare aperta al rischio di tornare a credere soprattutto alle politiche statali.

Secondo molti osservatori come Joachim Schuster di International politics and society questo è il momento di abbandonare la politica di austerità europea: «l’alternativa è un ritorno alla mentalità degli staterelli europei».

Ma è proprio a quella mentalità che sembra essere condannato il dibattito sul futuro della politica fiscale europea. I due o tre stati che praticano il dumping fiscale, Olanda in testa, generano una perdita di entrate fiscali negli altri paesi di circa 27 miliardi, secondo Tax justice network.

Ne approfittano gli americani. E ci perde l’Europa. Che non potrà cambiare le regole se non all’unanimità. Ma in questa materia l’unanimità significherebbe che anche l’Olanda dovrebbe votare contro la sua stessa politica: che attira qualche soldo nel suo territorio, distruggendone molti di più altrove.

Un dato in controtendenza è molto significativo però.

Secondo Pedro Parraguez di Dataverz, una startup che si occupa di analisi dei dati a Copenhagen, ha trovato che 407 paper scientifici pubblicati sul coronavirus sono stati firmati insieme da scienziati americani e cinesi, su un totale di 7.770 paper pubblicati nei due paesi. La globalizzazione della scienza sembra continuare.

di Luca De Biase, giornalista

lunedì 4 maggio 2020