La crescita della finanza verde e lo sprint che serve all’Europa
L’Ue ha avviato con forza una politica di finanza sostenibile ma non è chiaro se il cambiamento possa avvenire alle dimensioni e alla velocità desiderabili per rispondere alle crisi del nostro tempo.
di Andrea De Tommasi
Dice l’Ngfs, la rete di banche centrali e autorità di vigilanza finanziaria, che il cambiamento climatico, a differenza della pandemia, è una minaccia di cui non si vede la luce in fondo al tunnel. In un report pubblicato a marzo, il network ha rilevato che la crisi climatica rappresenta un rischio crescente per la stabilità finanziaria. In tutti i possibili scenari, si ritiene che i rischi legati al clima avranno conseguenze per le prospettive economiche, per il sistema finanziario in cui operano le banche centrali e, quindi, per la conduzione della politica monetaria. La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha affermato a margine del rapporto che “il cambiamento climatico non è la responsabilità primaria delle banche centrali, ma allo stesso modo penso che nessuno possa ottenere un lasciapassare” su questa emergenza.
Diversi studi indicano che il tema della sostenibilità è sempre più presente nell’agenda di investitori e policy maker. Non è chiaro però se le banche trovino stimoli sufficienti per orientarsi spontaneamente verso i criteri Esg (Environmental, social governance) o sia necessario “forzarle” con prescrizioni normative. Occorre ricordare che il Parlamento europeo, con una risoluzione adottata il 13 novembre, ha formulato precise proposte normative per allargare il flusso di investimenti destinati al Green Deal. Uno studio pubblicato ad aprile dall’Università La Sapienza ha provato a fare chiarezza sulle motivazioni che muovono le banche ad attuare scelte in favore dell’ambiente e del sociale. Tre ricercatori dell’ateneo hanno raccolto i dati provenienti da 43 banche rappresentative di 14 Paesi europei. I risultati indicano che, nella fase attuale, l’input delle autorità di vigilanza rischia di essere il motore principale per spingere le banche a sostenere la transizione green.
A che punto è l’Unione europea?
Il contributo dell'Unione europea alla sfida globale della crisi climatica consiste nel ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e per raggiungere la neutralità climatica in tutto il continente entro il 2050. Un impegno che richiede anche notevoli risorse finanziarie.
Ma come si sta muovendo l’Europa per promuovere la finanza sostenibile?
L’impressione di molti osservatori è che l’iniziativa della Commissione europea sia entrata in una fase di limbo. Il regolamento sulla tassonomia conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati. Questi definiscono criteri di vaglio tecnico per stabilire l’elenco effettivo delle attività sostenibili per ciascun obiettivo del regolamento. In sostanza, non è sufficiente che un’organizzazione dimostri che una determinata attività riduca le emissioni di gas serra: l’iniziativa deve risultare coerente con gli obiettivi indicati nel regolamento. ll principio di coerenza è stato adottato anche come regola per accedere ai fondi del piano Next generation Eu.
A che punto è l'iniziativa europea? La tabella di marcia prevedeva che gli atti delegati che riguardano la mitigazione (obiettivo 1 del regolamento) e l’adattamento (obiettivo 2) fossero adottati entro dicembre 2020, ma i tempi non sono stati rispettati. Alla base di questo rallentamento potrebbe esserci la discussione avviata dalla Commissione sull’opportunità di includere o meno l’energia nucleare nella tassonomia delle attività sostenibili dal punto di vista ambientale. Secondo un documento riservato visionato da Euractiv, la Commissione europea starebbe riconsiderando la posizione dei combustibili fossili nella sua tassonomia della finanza verde, in particolare per il loro ruolo di backup durante i picchi di domanda di elettricità. Un’ipotesi che ha sollevato la preoccupazione dei gruppi ambientalisti. Ora, secondo le ultime informazioni disponibili, l’adozione degli atti in subdelega da parte della Commissione sembra prevista per il 21 aprile.
I temi sono molti. Tutti intrecciati con le strategie di sviluppo sostenibile. Il terzo punto degli accordi di Parigi indicava la necessità di rendere i flussi finanziari coerenti con gli obiettivi di mitigazione e adattamento. Da quel principio è discesa la strategia europea per la finanza sostenibile. La Commissione sta anche preparando la strategia rinnovata per la finanza sostenibile, prevista per il terzo trimestre del 2021. Gli stessi orientamenti del principio del “non nuocere all’ambiente”, condizione necessaria per ottenere i finanziamenti del Next generation Eu, si rifanno alla tassonomia europea. Come spiegato nella rubrica ASviS “Europa e Agenda 2030” del 15 febbraio, ‘Il regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza stabilisce che “nessuna misura inserita in un piano per la ripresa e la resilienza debba arrecare danno agli obiettivi ambientali ai sensi dell'articolo 17 del regolamento Tassonomia (regolamento (Ue) 2020/852 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili, tramite la definizione di un sistema di classificazione delle attività economiche ecosostenibili”, rinviando all’adozione da parte della Commissione d’indicazioni specifiche. Gli orientamenti adottati il 12 febbraio 2021 sono di assoluta importanza, poiché determinanti nel processo di formazione e valutazione dei Pnrr.
L’impatto della pandemia
Il momento per la finanza verde sembra propizio. La pandemia ha spinto gli investitori a scegliere prodotti di investimento eticamente corretti e socialmente responsabili. Il primo motivo risiede nel fatto che la crisi del Covid-19 ha dato una forte spinta alle tematiche legate alla sostenibilità. In secondo luogo, in un periodo di incertezza i fondi sostenibili hanno svolto il ruolo di “bene rifugio” all’interno dei mercati azionari. Non è un mistero che le grandi società di investimento puntino ormai alla finanza verde. Dall’obiettivo di Microsoft di diventare carbon neutral entro il 2030, all’impegno di BlackRock a smettere di investire in società con elevati rischi legati alla sostenibilità, le organizzazioni sono sempre più responsabili delle loro azioni.
Ha scritto il Ceo di BlackRock, Larry Fink, nella sua lettera annuale agli investitori, che il mondo finanziario sta vivendo l’inizio di una transizione lunga ma in rapida accelerazione: “Oggi siamo all'apice di un'altra trasformazione. Tecnologia e dati migliori consentono ai gestori di asset di offrire portafogli di indici personalizzati a un gruppo di persone molto più ampio, un’altra capacità una volta riservata ai maggiori investitori. Man mano che sempre più investitori scelgono di orientare i propri investimenti verso società incentrate sulla sostenibilità, il cambiamento radicale a cui stiamo assistendo accelererà ulteriormente”.
Tuttavia le sfide per l’affermazione della finanza verde non sono trascurabili. Intanto perché il mercato sembra ancora preferire i rendimenti rispetto ai fondi Esg, come ha mostrato un’analisi di 102 titoli italiani monitorati con il filtro green da Refinitiv. Come ha spiegato Vitaliano D'Angerio sul Sole 24 Ore Plus del 10 aprile, “i titoli green hanno raggiunto performance a due cifre durante la pandemia”, ma “non si accoppiano sempre i massimi punteggi sostenibili. Anzi. I rendimenti sono ancora le àncore degli investimenti piccoli e grandi, e la narrazione Esg per il momento resta tale”.
A livello istituzionale, poi, l’applicazione della tassonomia richiederà dati da aziende e Paesi che attualmente non sono sempre disponibili. Sarà indispensabile incrementare la trasparenza del mercato per combattere il greenwashing e coltivare la fiducia degli investitori. Le organizzazioni dovranno darsi obiettivi più ambiziosi e implementare la formazione dei propri dirigenti. Secondo uno studio di Engie Impact, condotto su 200 dirigenti di grandi multinazionali, solo uno su 25 (4%) dei Chief financial officer ha attualmente la responsabilità di sviluppare e monitorare gli obiettivi di sostenibilità aziendale. I dirigenti hanno invece indicato i Chief sustainability officer (26%) e i chief operation officer (25%) come incaricati di tale responsabilità.
Sarebbe auspicabile che la finanza post-Covid fosse sempre più “finanza per lo sviluppo sostenibile”. Una serie di valide proposte sul tema sono contenute in un paper pubblicato lo scorso ottobre dal Gruppo di lavoro dell’ASviS dedicato alla finanza sostenibile: piani d’investimento pubblici e privati di medio-lungo periodo, emissioni di obbligazioni finalizzate al finanziamento di progetti in campo ambientale e sanitario e in linea con gli SDGs, finanziamenti con garanzia pubblica per progetti in ambito sociale (soprattutto socio-sanitario) anche attraverso l’attivazione di partnership pubblico-privato, investimenti in infrastrutture sociali, green bond legati alla rigenerazione del territorio e del patrimonio immobiliare pubblico. I governi, gli investitori e le aziende possono e devono fare un passo in avanti.
di Andrea De Tommasi