Il Congo e il mercato illegale dei “blood minerals”
Nel quadro di instabilità politica, corruzione, contrabbando di risorse, terribili condizioni umane e l’incalzante ricerca di giacimenti da parte dei maggiori stakeholder, i minerali insaguinati del Congo hanno inevitabili conseguenze economiche e geopolitiche.
di Stefania Ledda
Le origini dei blood minerals nella RDC
Gli obiettivi di sostenibilità votati all’energia pulita e all’innovazione dei governi di tutto il mondo mirano all’abbandono dei carboni fossili e incrementano – rispetto alle tradizionali alternative – la sempre maggiore domanda di metalli e minerali critici, fondamentali per la fabbricazione di tecnologie a vocazione verde. L’assenza di controllo nelle aree più ricche dei depositi congolesi ha fatto sì che nel corso degli ultimi venti anni l’estrazione e il commercio illegale di minerali venisse incentivato, facendo scoppiare conflitti, generando violente ripercussioni sulle comunità e repentini cambiamenti del mercato, diffondendo così la pratica dei “blood minerals”.
La Repubblica Democratica del Congo costituisce un esempio emblematico di un Paese con potenziali risorse territoriali ma pessima gestione di governo, di fronte alla quale i mercati internazionali devono fronteggiare e arginare le imprevedibili ripercussioni economiche. La Repubblica Democratica del Congo – insieme al Congo – è il maggiore luogo di estrazione delle 3TG, ossia tantalio, stagno, tungsteno e oro. Si tratta di uno dei paesi più ricchi di risorse estrattive al mondo, in particolare, rame, diamanti, litio, oro, cobalto e platino (70%), nichel, tungsteno, argento, zinco, tantalio e coltan grezzo, ossia minerali fondamentali per la costruzione di batterie per i veicoli elettrici e di tecnologie alimentate con energie rinnovabili.
Tuttavia, le condizioni socio-economiche di un paese si riflettono quasi sempre sulle sue esportazioni. Tenendo in considerazione le guerre regionali degli anni ‘90, nel 2022 i ribelli di etnia Tutsi del ‘Movimento del 23 marzo’ (M23) sono ricomparsi dopo cinque anni di inattività, riconquistando ampie strisce della provincia del Kivu Nord nel luglio del 2023. Nel dicembre dello stesso anno le nuove elezioni in Congo hanno scatenato nell’area orientale nuovi scontri tra l’M23 e l’esercito delle Forze alleate democratiche (ADF) – gruppo militare affiliato all’Isis. Le violenze perpetrate sono peggiorate nel febbraio 2024, fino a diventare tra le peggiori crisi umanitarie. Inoltre, tra aprile e maggio di quest’anno l’M23 è riuscito a impossessarsi del preziosissimo giacimento di tantalio di Rubaya.
L’impatto della guerra sull’economia e sui rapporti internazionali
L’Unione europea – mirante alla continua espansione del suo bacino di risorse minerali e minerarie, il che la rende una grande competitor della Cina – è accusata di inasprire il conflitto nel Congo orientale, che ha già provocato la morte di 6 milioni di persone. Le accuse derivano soprattutto da un accordo sul commercio di minerali firmato il 19 febbraio dalla Commissione europea con il Rwanda, confinante a ovest con la Repubblica Democratica del Congo, che potrebbe incrementare le entrate in esportazioni dai 373 milioni nel 2017 a 1,5 miliardi di dollari di quest’anno. L’accordo prevede la creazione di reti sostenibili per lo scambio di materiale grezzo; la cooperazione alla produzione responsabile di materiali grezzi e critici, inclusa la tracciabilità e la lotta al traffico illegale; lo sviluppo di fondi per la costruzione di infrastrutture necessarie allo sviluppo delle reti di scambio e la cooperazione alla ricerca nel settore tecnologico. Non a caso, l’accordo europeo rientra nell’iniziativa del Global Gateway, che prevede di mobilitare 300 miliardi di investimenti nei Paesi in via di sviluppo, in chiara risposta alla Nuova via della seta cinese.
Per l’Unione europea questa partnership rappresenta un’opportunità economica irrinunciabile, capace di assicurarle una notevole scorta di materiali grezzi – in particolare, i minerali critici delle terre rare – in quanto elementi indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di energia pulita. Tuttavia, l’estrazione di tali minerali è appunto messo a rischio dai profitti che continuano a trarne in modo illegale i gruppi armati regionali, protagonisti di fenomeni di violenza e violazioni di diritti umani, che hanno già costretto alla fuga 7 milioni di persone, oltre alla pessima governance e alla corruzione politica.
Nonostante l’Unione europea abbia già firmato un simile accordo con la Repubblica Democratica del Congo durante il Global Gateway del 26 ottobre 2023, il Presidente della RDC, Félix Tshisekedi, ha definito l’accordo come una provocazione di pessimo gusto. Alla luce delle rispettabili iniziative dell’Ue, ci si chiede però se la promessa di una produzione responsabile sia effettivamente garantita nel contesto di ingiustizia che caratterizza i contrasti tra Congo e Rwanda. A suo dire, l’Unione europea ritiene che proprio la trasparenza e la tracciabilità di tali accordi possano garantire un maggiore controllo sullo scambio dei minerali ed evitare che l’illegalità alimenti i conflitti e perpetri le violazioni dei diritti. Ha quindi invitato alla de-escalation dei conflitti e si è impegnata ad aumentare gli aiuti umanitari.
Domanda, prezzi di mercato e regolamentazione del commercio di minerali
Le critiche fatte all’Unione europea di mettere in secondo piano i diritti umanitari pur di soddisfare la sua domanda di minerali derivano anche dal timore che l’accordo crei un contesto favorevole al contrabbando di minerali fuori dal Congo, anche e in virtù delle accuse fatte al Rwanda di sostenere il gruppo di ribelli dell’M23 e agevolare il finanziamento delle loro operazioni armate. Queste dinamiche influenzano senza dubbio le fluttuazioni dei mercati, la regolamentazione e la disponibilità delle risorse “legali” nel paese.
Tra le più importanti risorse congolesi vi è il tantalio, un metallo molto raro, resistente al calore e alla corrosione, isolante, in grado di contenere cariche elettriche. Quindi, lo si trova nei condensatori e in tutti i dispositivi mobili. Secondo le stime dello US Geological Survey, nel 2023 sia il Congo che il Rwanda fornivano più del 60% del tantalio mondiale.
Negli ultimi vent’anni, il commercio annuale di minerali critici a scopo energetico è aumentato da 53 a 378 miliardi di dollari nel 2022. Ad esempio, ogni batteria di un’automobile elettrica richiede circa 200kg di tali minerali; da qui, il settore delle batterie è responsabile del 70% della domanda globale di cobalto. Insomma, nelle due ultime decadi il commercio di minerali critici ha avuto una crescita media annuale del 10%. Nello specifico, dal 2017 al 2022, il settore energetico ha fatto triplicare la richiesta di litio, aumentare quella del cobalto del 70% e quella del nichel del 40%.
In sostanza, l’aumentata richiesta di metalli e minerali e l’incremento dei prezzi hanno fatto sì che il mercato della transizione energetica si espandesse, raggiungendo nel 2022 i 320 miliardi di dollari. Inoltre, un report del 2022 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) prevede che la domanda di metalli e minerali aumenterà di 6 volte entro il 2040; ridotta del 10% qualora si optasse per il loro riciclaggio. La maggior parte delle operazioni di riciclaggio vengono eseguite in Cina, sebbene nuove infrastrutture siano in corso d’opera sia in Europa che negli Stati Uniti.
Allo stato attuale, il prezzo di mercato del rame – utilizzato per l’elettrificazione delle reti, i veicoli elettrici, i pannelli solari, l’energia eolica e i data center – ha visto negli ultimi 18 anni picchi elevati non indifferenti, di cui i due più elevati nel marzo del 2022 e nel maggio di quest’anno, raggiungendo i 51.000 dollari circa per libbra. Invece, la sospensione dei bonus statali per l’acquisto di veicoli elettrici in Cina continua nell’ultimo anno a frenare il prezzo del litio, scendendo fino a 10.500 dollari a tonnellata. Anche il cobalto – impiegato per produrre acciai inossidabili, metalli aerospaziali, batterie ricaricabili e materiali magnetici e medicinali – vede una continua discesa dal maggio del 2022, toccando i 24.300 dollari a tonnellata. Metalli come il litio, il nichel, il cobalto, il manganese e il grafite sono fondamentali per garantire la durata e la potenza delle batterie; dagli elementi provenienti dalle terre rare derivano i magneti utili alla costruzione delle turbine eoliche e i motori dei veicoli elettrici, così come il rame e l’alluminio servono per la costruzione di reti elettriche e tecnologie innovative.
Import ed export
Invece, il 90% degli elementi delle terre rare sono estratte soprattutto in Cina e negli Stati Uniti, mentre l’Unione europea è il principale produttore a livello globale di magnesite e barite.
I due maggiori importatori di tali minerali sono la Cina e il Giappone, che insieme costituiscono il 72% delle importazioni mondiali di rame – solamente la Cina ne rappresenta il 60%. Allo stesso tempo, nel 2022 la Cina è stata il maggiore importatore di minerali critici – per il 33% del totale globale – seguita dall’Unione europea (16%), dal Giappone e dagli Stati Uniti (11%). Inoltre, la Cina produce circa l’80% dei pannelli solari nel mondo e tra il 60 e l’80% dei veicoli elettrici, delle turbine eoliche e delle batterie alimentate agli ioni di litio.
Per quanto riguarda le esportazioni, il Cile è il protagonista indiscusso per circa l’11% delle esportazioni globali nel 2022, seguito dal Sudafrica (10%), Australia, Perù e Federazione russa (tutti al 6%). In particolare, il Cile è il primo esportatore di rame per circa un quarto delle esportazioni globali.
Non vi è dubbio che numerosi paesi traggono beneficio dall’estrazione di risorse minerali nell’Africa centrale. La Cina si trova inserita all’interno del mercato africano già da tempo e controlla ampiamente il settore minerario del Congo, oltre a importare grandi quantità di cobalto per assicurarsi una continua fornitura. Mentre l’Unione europea è in costante competizione con la Cina e fa del suo meglio per ottenere vaste nicchie di risorse minerali nel continente.
Oltre alle diatribe intergovernative, non mancano gli scontri nel dibattito pubblico con i grandi colossi della tecnologia. Infatti, nel mese di aprile, oltre ad aver sollecitato un embargo internazionale delle esportazioni di minerali del Rwanda, il Congo ha minacciato di portare la Apple in tribunale a causa dell’estrazione di “minerali insanguinati” provenienti dalle aree del conflitto.
Dalla gestione di grandi giacimenti di minerali non possono non derivare grandi responsabilità. Difatti, per garantire uno stoccaggio adeguato e sostenibile è necessario adottare delle politiche economiche e ambientali in grado di regolamentare il commercio di minerali. Lo IEA Critical Minerals Policy Tracker ha individuato quasi 200 tra policies e regolamenti in tutto il mondo. Un esempio è il Critical Raw Materials (CRM) Act della Commissione europea, che mira alla creazione di partnership commerciali con Paesi del terzo mondo ricchi di minerali e risorse estrattive. Invece, la International Tin Supply Chain Initiative è un meccanismo stabilito più di dieci anni fa per garantire che la commercializzazione di minerali provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo non derivi dalle zone di guerra.
Da parte sua, il Congo tenta di rendere trasparenti le procedure per la commercializzazione legale dei suoi minerali attraverso il Mining Code della Repubblica Democratica del Congo e il Manual of the Regional Certification Mechanism (RCM) of the International Conference on the Great Lakes Region (ICGLR), che intende garantire una migliore gestione e trasparenza e quindi combattere lo sfruttamento illegale delle risorse naturali estratte nel Paese.
Anche il governo rwandese, accusato di agevolare il contrabbando di minerali, ha iniziative volte a regolamentare lo scambio legale, ma tali politiche non sembrano ovviare alla mancanza di trasparenza negli scambi. Infatti, solo una piccola parte delle esportazioni del Rwanda arrivano dal Rwanda stesso, poiché la maggior parte di questi in realtà attraversa il confine con il Congo, il Rwanda e il Burundi, finendo nei più importanti mercati internazionali e in pratica formalizzando il traffico illegale di minerali.
L’impatto ambientale e umano
Se le prospettive commerciali dei settori estrattivo e metallurgico sono promettenti, ciò non vale per la flora, la fauna e le popolazioni dei territori in cui viene eseguita l’estrazione. Se l’obiettivo dell’Unione europea è quello di diversificare le proprie risorse a causa di ben conosciute ragioni geopolitiche e raggiungere le zero emissioni entro il 2050 attraverso la firma di partenariati strategici – già arrivati a 13 -, questo non vuol dire che l’elettrificazione delle reti e la produzione di tecnologie e basse emissioni non presentino all’ambiente il conto da pagare.
Nel mese di luglio, l’Unione europea ha firmato un accordo sui minerali con la Serbia – per via dei suoi depositi di litio – nonostante il rilascio delle licenze di estrazione nel 2022 fossero già state motivo di malcontento locale con la conseguente revoca del governo, accusato di ignorare i rischi ambientali dell’impresa. Alla fine, però, una causa legale intentata da una società di estrazione ha rilasciato i permessi, scatenando la rabbia degli ambientalisti.
In un territorio così ampio e con un contesto così complesso come quello dell’Africa centrale, gli scontri hanno causato deforestazione e distruzione di habitat, inquinamento delle acque derivante dalle attività estrattive e lo spostamento di 7 milioni di persone, che impedisce loro l’accesso a servizi essenziali quali cibo, acqua e servizi sanitari.
Anche le Nazioni Unite hanno dichiarato che le società che acquistano metalli e minerali dall’est della Repubblica Democratica del Congo contribuiscono a finanziare le operazioni dei gruppi ribelli locali – coinvolti nella violazione dei diritti umani -, fomentando ancora di più il conflitto.
Il commercio illegale alimenta anche lo sfruttamento umano. Se il settore secondario e le industrie occidentali godono della ricchezza derivante dal commercio di tali minerali, in realtà nemmeno una parte di essa confluisce nelle tasche della popolazione locale (secondo l’OECD, si tratta di un caso su cinque). Il fenomeno dello sfruttamento minorile, ormai diffuso nella regione e che vede bambini e giovani all’interno di giacimenti estrattivi privi delle norme di sicurezza e di igiene; senza dimenticare la situazione avversa delle donne, che subiscono episodi di aggressione e abuso sempre nel contesto del lavoro illegale. Tutto questo si verifica con la consapevolezza che molto spesso i progetti di estrazione vengono avviati senza nemmeno informare le comunità in maniera adeguata, ancora meno se si tratta di chiedere loro il permesso.
Se le radici del conflitto non fossero così intricate e se (forse) le multinazionali che si riforniscono di tali minerali si impegnassero a creare scambi commerciali nel nome della minimizzazione dell’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni, di pratiche responsabili miranti alla trasparenza e all’etica, questi minerali non sarebbero ricoperti dal sangue delle popolazioni locali. Avviare delle iniziative in grado di promuovere una transizione energetica equilibrata, stabilità e sviluppo economico nell’area potrebbe contribuire a ridurre la dipendenza di questo paese dalle attività estrattive quale principale fonte economica.
Copertina: MiningWatch Portugal/Unsplash