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La corsa all’oro continuerà nel 2026 e potrebbe modificare gli equilibri geopolitici

Tra guerre commerciali e crisi internazionali, il bene rifugio per eccellenza sta registrando numeri record. Le banche centrali corrono all’acquisto, mentre il dollaro perde colpi come riserva ufficiale. Le criptovalute sono il nuovo “oro digitale”?

martedì 16 dicembre 2025
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Il 2025, lo sappiamo bene, è stato un anno molto teso, anche sul piano economico. L’amministrazione Trump ha intrapreso una guerra commerciale contro la Cina (ma non solo), inaugurando una fase di tensione i cui effetti si sentiranno anche nel 2026. Se a questo si aggiungono guerre, tracollo del multilateralismo, cambiamento climatico, intelligenza artificiale (con la sua possibile bolla), si capisce per quale motivo i mercati abbiano ballato parecchio. E perché, in particolare quest’anno, ci sia stata una corsa al bene rifugio per eccellenza: l’oro. A ottobre 2025, il metallo giallo ha raggiunto un valore record di 4mila dollari l’oncia (circa 28 grammi), mentre nel 2026 potrebbe toccare i 5mila dollari.

Ma perché l’oro è così importante?

Quando i mercati tremano, questo metallo prezioso resta ancora un porto sicuro. A differenza degli asset finanziari convenzionali, non comporta rischi di credito e conserva un valore reale nel tempo, soprattutto in contesti inflazionistici o di turbolenza geopolitica.

Facciamo qualche esempio. Dopo l’11 settembre 2001, il prezzo passò da circa 270 a 320 dollari l’oncia, e durante la crisi del 2008 compì un ulteriore salto, da 650 dollari nel 2007 a 1.900 dollari nel 2011, quasi triplicando il proprio valore. Durante il Covid-19, l’oro ha superato per la prima volta i 2mila dollari, ma è stato con la guerra dei dazi che ha raggiunto il suo picco, toccando quota 4mila.  

Questo andamento crescente è frutto della relativa indipendenza dell’oro dai mercati azionari. Come ricostruisce il Riformista, in tempi normali la correlazione tra i due “è piuttosto bassa, intorno a 0,1, suggerendo che l’oro segua una logica di prezzo distinta rispetto agli altri asset finanziari. Tuttavia, nei momenti di grave instabilità, la correlazione diventa fortemente negativa, raggiungendo valori attorno a -0,6, segno che mentre i mercati crollano l’oro tende a salire, consolidando il suo ruolo di scudo contro il rischio sistemico”.

Quindi arriviamo al 2024, quando l’oro ha consolidato la sua posizione come riserva strategica, in particolare negli Stati emergenti. Secondo la Banca centrale europea, nel 2024 l’oro è diventato la seconda riserva ufficiale del mondo dopo il dollaro, superando l’euro. Rappresenta infatti circa il 20% delle riserve globali, contro il 16% dell’euro e il 46% della moneta statunitense.

E l’Ispi conferma. Lo scorso 7 ottobre l’oro ha superato lo “strabiliante” prezzo di 4mila dollari l’oncia e salirà ancora. In un momento in cui le borse continuano a gonfiarsi per gli investimenti nell’intelligenza artificiale, c’è chi, “fiutando il pericolo di una nuova dot-com, sta già correndo verso il bene rifugio per eccellenza”.

I record dell’oro sono dovuti ai timori per le mosse predatorie del governo Trump e delle aziende tech, ma non solo. Ken Griffin, Ceo di Citadel, uno dei più grandi fondi di investimento al mondo, ha dichiarato che le persone “cominciano a vedere l’oro come un porto sicuro nei confronti del dollaro. Stiamo assistendo a una sostanziale fuga di chi è in cerca di un modo per ‘de-dollarizzare’”. Ma ci sono anche altre crisi in corso. Molte banche centrali hanno ad esempio incrementato l’acquisto del metallo giallo dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. O gli investitori, temendo l’instabilità della politica economica dei propri Paesi, si sono messi al sicuro. Per tutti questi motivi nel 2024 le banche centrali di tutto il mondo hanno comprato più di mille tonnellate d’oro per il terzo anno consecutivo, arrivando a detenere un quinto di tutto il metallo giallo mai estratto.

E l’oro italiano, dove si trova? L’Italia detiene 2.452 tonnellate del metallo, il che la rende il terzo Paese al mondo per riserve auree, dopo Germania e Stati Uniti. Il 44,86% si trova nei caveau della Banca d’Italia, mentre la parte restante è distribuita tra Bank of England (5,76%), Banca Nazionale Svizzera (6,09%) e Stati Uniti (43,29%). Non a Fort Knox, però, come spesso si dice, ma a New York, in un caveau di Manhattan, a venticinque metri sotto terra. Un deposito che non appartiene tecnicamente alla Federal Reserve, ma dove la banca americana agisce da custode. 

Questo trasferimento all’estero è avvenuto nel secondo dopoguerra, quando l’Italia è diventata un Paese esportatore e ha accumulato grandi quantità di dollari, poi convertite in oro, come avevano fatto altre economie occidentali. “Tra gli anni cinquanta e sessanta la Banca d’Italia acquistò la maggior parte del metallo oggi in suo possesso”, si legge su Linkiesta. “È in questa fase che il caveau della Federal Reserve di New York divenne, insieme a Londra, la destinazione naturale del metallo europeo: gli Stati Uniti erano la potenza egemone del sistema di Bretton Woods, il dollaro era convertibile in oro, le piazze anglosassoni garantivano liquidità immediata, sicurezza e una cornice politica stabile”.

Data però la forte instabilità politica del governo americano, in molti stanno spingendo per un ritorno dell’oro in patria. A parlarne ultimamente è stato l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi: “Resto un amico degli Stati Uniti ma con l’acqua e con l’oro non si sa mai: bisogna essere prudenti e preparati. Lo dico da buon padre di famiglia, quando la situazione politica è ballerina come negli Usa, bisognerebbe pensare a riportare l’oro in Italia, come ha fatto la Francia. Solo così potremo costruire davvero il nostro futuro”. Ipotesi che era stata già sostenuta nel 2019 dall’attuale premier Giorgia Meloni, posizione oggi ridimensionata dati gli stretti rapporti con Trump. Niente a che vedere comunque con la richiesta di emendamento alla Legge di Bilancio, proposta da Fratelli d’Italia e sostenuta dal ministro Giorgetti, di rivendicare la proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia. Dopo i pareri contrari espressi dalla Banca centrale europea, si è raggiunto un accordo: l’oro resta contabilizzato nel bilancio di Bankitalia, ma la legge affermerà esplicitamente che le riserve auree “appartengono al popolo italiano” (appartenenza che comunque avviene nel rispetto degli accordi internazionali).

L’importanza dell’oro è così centrale, in Italia come altrove, che potrebbe modificare gli equilibri geopolitici a seconda di chi lo detiene. Saxo, piattaforma di trading online, nel suo rapporto annuale “Outrageous prediction”, ha inserito tra le sue proposte provocatorie per il 2026 proprio questa variabile. La Cina potrebbe sorprendere il mondo annunciando riserve auree molto più vaste di quelle dichiarate fino al 2025, sufficienti a superare quelle degli Stati Uniti. Poco dopo, Pechino potrebbe compiere una mossa ancora più dirompente, dichiarando che lo yuan offshore (quello che gira fuori dalla Cina) sarà parzialmente coperto dall'oro, rafforzando la valuta cinese. E questo “yuan dorato” trasformerebbe i caveau di Shanghai, Shenzhen e Hong Kong nell’epicentro di un nuovo sistema monetario globale.

Dalla colonizzazione dello spazio all’oro cinese, le previsioni “oltraggiose” di Saxo per il 2026

La piattaforma di trading online ha elencato le wild card che potrebbero scombinare il prossimo anno. Animali a dieta, intelligenze artificiali come Ceo, boom delle nascite e computer quantistici che minacciano la sicurezza digitale globale.

I nuovi cercatori d’oro

Non tutto l’oro però è stato ancora trovato. Motivo per cui negli ultimi anni è tornata in auge una professione otto-novecentesca, quella dei cercatori del prezioso metallo. Nel suolo della California, e in particolare a nord-ovest, nella miniera della Grass Valley, c’è ancora tanto oro, come fa notare Undark. “La miniera in questione, che si trova nella contea di Nevada, fu chiusa nel 1956, non perché l’oro fosse finito ma per ragioni di economia politica. Nel 1944 gli accordi di Bretton Woods avevano creato un nuovo sistema monetario internazionale per dare stabilità ai tassi di cambio. Come parte di quello sforzo, si decise di fissare il prezzo dell’oro a 35 dollari per oncia (28 grammi). A causa di questo cambiamento, l’estrazione dell’oro diventò poco redditizia”.

Tralasciando il fatto che in poco più di ottant’anni il prezzo dell’oro è salito da 35 dollari a 4mila, la situazione è cambiata anche per un altro motivo: il costo del metallo giallo non è più fisso e le tecnologie per estrarlo sono diventate più sofisticate. Nel sottosuolo statunitense riposerebbero infatti ancora circa 63mila tonnellate d’oro, circa un terzo di quello estratto finora. Solo che questo metallo si trova molto più in profondità rispetto a prima, e per tirarlo fuori le aziende devono sobbarcarsi un bel po’ di costi, tra cui lo smaltimento di materiali di scarto come arsenico, mercurio, piombo e altre sostanze tossiche. E alcune volte potrebbe risultare economicamente svantaggioso, oltre che rischioso per la salute. “Gli abitanti della Grass valley stanno ancora facendo i conti con i danni causati dalla precedente corsa all’oro”, ha sottolineato Undark.

Anche in Italia non siamo da meno. Nel Cremasco, e nello specifico lungo il fiume Serio, c’è ancora chi va a caccia di oro, un manipolo ristretto di appassionati o speranzosi. “Ci sono tuttora cinque o sei persone che per hobby si divertono a cercare le pagliuzze d’oro nel fiume”, ha dichiarato Basilio Monaci, presidente del Parco del Serio. “Qualche anno fa era venuta un’associazione di cercatori d’oro di Pavia, che aveva anche fatto una dimostrazione”. Le persone che si dedicano a questa attività sono diminuite nel corso del tempo, perché serve molto tempo per imparare le tecniche base e i risultati sono tutt’altro che sicuri. Ma c’è ancora chi tiene viva la tradizione.

Oltre l’oro

Non esiste solo il metallo giallo. Nel suo report annuale “Precious Metals Outlook”, la Deutsche Bank ha messo in evidenza che, nonostante la crescita dell’oro sia indiscussa, altri metalli preziosi stanno subendo un’accelerata. L’argento, ad esempio. Il suo sviluppo è legato all’innovazione (in particolare nel settore fotovoltaico), essendo parte integrante dei componenti elettronici. Oppure il platino, che beneficia della crescente domanda di tecnologie a idrogeno. O il palladio, che risente invece del rallentamento dell’industria automobilistica tradizionale.

Nel frattempo c’è chi punta verso altri lidi. I bitcoin, insieme alle altre criptovalute in circolazione, sono considerati da qualcuno un bene rifugio, tanto da esser stati definiti “il nuovo oro digitale”, anche se non hanno la stessa stabilità del metallo giallo. Ci sono anche i diamanti, che hanno però perso valore dopo l’arrivo di pietre di alta qualità realizzate in laboratorio.

Se ve lo steste chiedendo, hanno provato a rendere artificiale anche l’oro. Un gruppo di ricerca cinese ha “bombardato” atomi di rame, generando una trasformazione nella loro struttura che li fa comportare come un metallo nobile. Il risultato? Simile all’oro ma non uguale, motivo per cui non potrà essere considerato un valido sostituto. Verrà invece utilizzato per scopi industriali (realizzare dispositivi elettronici) o per sofisticati processi chimici, che hanno bisogno del metallo prezioso per trasformare il carbone in una risorsa più utile e pulita.

Magra consolazione per chi pensava già di poter vivere di rendita tutta la vita.

Copertina: Scottsdale Mint/unsplash