Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Il mercato dei capitali per la sostenibilità d'impresa

Le aziende possono meglio utilizzare questo strumento anche per la loro transizione verso lo sviluppo sostenibile.

di Renato Chahinian

venerdì 2 maggio 2025
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Pure in presenza di tante incertezze e di molteplici eventi contrari, che fanno sempre più allontanare la meta dello sviluppo sostenibile e gli Obiettivi dell’Agenda 2030, le opportunità di mercato per intraprendere azioni socialmente ed ecologicamente valide non mancano e forse sono più accessibili di un tempo, proprio perché languono i nuovi investimenti nell’economia reale e non ci sono attraenti prospettive a breve di guadagni speculativi. D’altro canto, molte imprese avevano già avviato interventi sostenibili nel recente passato ed ora, anche se in prudente attesa, non ritengono affatto di sconfessare i percorsi iniziati.

In un precedente articolo (“Finanza sostenibile per le imprese, le prospettive sono positive” del 29 gennaio u.s.) avevamo ipotizzato un movimento dal basso di persone e imprese consapevoli, decise a proseguire nelle proprie strategie, anche se le classi dominanti avevano mutato idee ed atteggiamenti. Al riguardo, avevamo pure individuato le aperture favorevoli nel ricorso al credito bancario, quale strumento di finanza sostenibile proprio per le PMI, anche senza incentivi pubblici.

Se ciò può essere sufficiente per le aziende di modeste dimensioni, per quelle più strutturate servono ulteriori fonti finanziarie per gli investimenti sostenibili, soprattutto se si tratta di imprese con processi produttivi energivori.

Ma anche i mercati dei capitali, ove la finanza sostenibile si è affermata in passato, non sono drasticamente tramontati, sebbene soffrano di una domanda un po’ carente per una minore propensione verso l’investimento sostenibile. Tale atteggiamento, tuttavia, non deriva da tracolli inaspettati o da insolvenze di attività sostenibili (analogamente a quanto succede nel finanziamento di attività speculative), ma soltanto da una presa d’atto di un minor interesse pubblico verso questa categoria di titoli, per alcuni mutamenti di opinione immotivati. Infatti, è sempre stato dimostrato da numerose indagini che la finanza sostenibile ha guadagnato di più nel lungo termine, proprio perché esente da molti rischi cui invece sono soggetti gli investimenti non sostenibili. Detti rischi sono ancor più presenti attualmente, quando un imperante clima di incertezza non permette nemmeno di individuarli, mentre le attività sociali ed ambientali ridurranno per definizione proprio quegli stessi eventi negativi futuri derivanti da tensioni socio-politiche ed ecologiche. Tali argomentazioni sono già state individuate a livello macro nell’editoriale di Andrea De Tommasi della Newsletter ASviS del 20 febbraio.

Il capitale di credito

Il mercato dei capitali non bancari può suddividersi nei capitali di credito ed in quelli di rischio.

Per quanto riguarda i primi, varie forme di credito concesso da intermediari non bancari o da investitori istituzionali privati assumono il nome generico di private debt, il quale permette di meglio personalizzare le esigenze finanziarie aziendali. Ma se si vuole allargare significativamente la base degli investitori, bisogna ricorrere ai social bond ed ai green bond (a seconda dell’oggetto del finanziamento), che sono dei prestiti obbligazionari, cioè rappresentati da titoli di credito trasferibili. Per agevolare la compravendita delle obbligazioni, però, serve un mercato efficiente che è costituito dalla Borsa Valori.

La quotazione in Borsa, sia delle obbligazioni che delle azioni, non è comunque molto diffusa, in quanto, oltre a vari oneri previsti per effettuare la complessa operazione (tra cui l’IPO: offerta pubblica iniziale per la creazione del flottante, oltre che costanti requisiti informativi e di trasparenza), non sempre il mercato si comporta razionalmente e quindi i titoli di società anche sostenibili possono venir travolti da tendenze speculative al rialzo od al ribasso, senza motivazioni oggettive. E’ questo in realtà uno dei nodi principali del mancato sviluppo dei mercati borsistici e costituisce, parallelamente, una strozzatura che non permette il finanziamento di molte valide iniziative. Occorrerebbe un comportamento più razionale da parte degli operatori (basato soprattutto sull’ analisi fondamentale della situazione aziendale, piuttosto che sull’analisi tecnica delle tendenze di mercato) ed una maggiore regolamentazione per contenere le tensioni speculative.

Se ciò avvenisse, si avrebbe la quotazione di tutte le società di una certa dimensione (dalle medie alle grandi), che potrebbero finanziarsi più profittevolmente sul mercato, indirizzando verso la sostenibilità più ampi investimenti. Infatti, in questa sede potrebbero emergere ancor più palesemente la capacità di credito e la riduzione dei rischi da parte degli impieghi sostenibili, perché tali peculiarità sarebbero incorporate in un prezzo di quotazione più corretto. Lo stesso rating, che in questo caso deve essere pubblicizzato, dovrebbe contenere conformi criteri di valutazione. Inoltre, nel panorama delle obbligazioni sostenibili, potrebbero pure avere maggiore diffusione i sustainability linked bond, i quali sono perfettamente in linea con i predetti concetti, prevedendo una remunerazione aggiuntiva al creditore se il debitore non consegue gli obiettivi sostenibili previsti nell’emissione obbligazionaria, in quanto ciò significa che il primo ha subito di fatto un rischio maggiore di insolvenza del secondo per tutta la durata del prestito.

Nell’attuale situazione di tassi decrescenti, poi, si avrebbe pure l’agevolazione di un minor costo del denaro, pur in presenza di una situazione economica densa di incertezze.

Il capitale di rischio

Anche il capitale di rischio è una fonte importante per finanziare gli investimenti sostenibili e può avvenire in due modi: con il reinvestimento dei profitti (cioè rinunziando parzialmente o totalmente alla loro distribuzione), oppure con un aumento del capitale sociale. Nel primo caso, l’azienda rimane con la medesima compagine sociale (che però investe di più), mentre nel secondo, quando non sono gli stessi soci a conferire nuovo capitale, si verifica un conferimento da parte di terzi, che, a sua volta, può avvenire attraverso l’entrata di nuovi singoli investitori (nell’ambito delle relazioni di private equity) oppure con un’offerta al pubblico nei mercati borsistici.

In quest’ultimo caso, ovviamente, le difficoltà sono quelle già segnalate per le obbligazioni, ostacoli che si manifestano ancor più in presenza di azioni per le maggiori tensioni speculative che le caratterizzano. Attualmente esistono pure raccolte di fondi appositamente dedicate all’iniziativa che si intende finanziare (soprattutto il cosiddetto crowdfunding), operazioni che hanno conseguito un successo iniziale anche in Italia, ma la recente normativa al riguardo è ancora poco collaudata e pertanto si presenta prudenzialmente restrittiva e con qualche incertezza interpretativa.

Ma anche qui bisogna fare qualche considerazione sul rischio. Innanzi tutto, la connotazione del capitale di rischio rispetto a quello di credito, interpretata da sempre in maniera unilaterale, spesso non porta a scelte coerenti. Certamente, nell’ambito di una stessa società, prima si pagano i creditori e poi, se rimane qualcosa, si remunerano gli azionisti e quindi per quest’ultimi è presente un rischio maggiore. Ma già in questa ottica si può prevedere in anticipo che le imprese molto redditizie remunerino maggiormente gli azionisti rispetto ai creditori.

Se poi confrontiamo il capitale di credito di un’impresa in difficoltà con il capitale di rischio di un’ottima azienda in sviluppo, certamente non possiamo affermare che il primo capitale è meno rischioso del secondo.

Queste semplici e sintetiche riflessioni ci fanno comprendere che il rischio dipende principalmente dall’attività aziendale e da come questa viene gestita, soprattutto in termini di competenze (capitale umano) e di resilienza (impegno nel superare le incombenti difficoltà di tanti contesti esterni sfavorevoli). Se, pertanto, investiamo in un’impresa maggiormente capace in tal senso, il nostro rischio sarà inferiore, sia che impieghiamo capitale di rischio, sia che usiamo capitale di credito. Ovviamente la manifestazione di eventuali fatti negativi può avvenire più o meno a lunga scadenza e quindi la differenza del rischio può non essere colta nel breve termine, ma ormai sappiamo quanto velocemente ed imprevedibilmente si verificano nuovi eventi negativi (o, più raramente, anche positivi).

A questo punto, si può estendere il discorso alle attività sostenibili di un’impresa di qualsiasi settore (in quanto derivate da un razionale ed efficace processo di miglioramento) ed affermare che l’investimento nel capitale di rischio in simili iniziative (meno rischiose per il controllo della loro sostenibilità) verrà ripagato a lunga scadenza dalla riduzione di tante tensioni negative che si manifesterebbero nel corso del tempo, qualora il medesimo non si attuasse. Ma, per meglio evidenziare tale assunto, giova qualche specificazione degli impatti conseguenti alle iniziative sociali ed ambientali.

L’impatto dell’investimento sostenibile

Come si è già accennato in precedenti articoli, l’impatto finale economico dell’investimento sostenibile è sempre positivo (se pianificato e gestito con adeguato capitale umano), sia per l’impresa che per gli stakeholder e la comunità di riferimento.

Per quanto riguarda le strategie sociali, le aziende for profit hanno l’obiettivo principale (n. 8 dell’Agenda 2030) di assicurare un lavoro dignitoso per tutti i propri lavoratori (dipendenti ed autonomi), ovviamente mantenendo un equo risultato economico per remunerare i conferimenti di capitale. Anche se inizialmente tale risultato può essere problematico per i maggiori costi che comportano la predisposizione di salari e condizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori, lo sforzo verrà ricompensato da una maggiore e migliore produttività aziendale, sia per il coinvolgimento dei lavoratori, sia per le accresciute efficienze interne, sia infine per il miglioramento reputazionale e relazionale con il contesto esterno. La stessa comunità locale beneficerà di un maggiore valore aggiunto e di effetti moltiplicatori ulteriori.

Chi non offre lavoro dignitoso, al contrario, subirà un rischio crescente di tensioni interne dei lavoratori discriminati, di un clima aziendale sempre più litigioso e di pesanti sanzioni pubbliche o nei mercati di riferimento, senza contare le conseguenti esternalità negative.

Se consideriamo poi le strategie ambientali, con riferimento ai prioritari obiettivi n.7 (energia pulita) e n. 13 (cambiamento climatico), le opportunità sono ancora superiori. Infatti non si tratta soltanto di evitare i rischi derivanti dalle emissioni di gas serra e di rimanere soggetti passivi in un mercato di combustibili fossili sempre più soggetto a prezzi volatili (per lo più affetti da insopportabili aumenti) ed a forniture incerte e condizionanti, ma anche di ottenere nel lungo termine vantaggi certi di risparmio, proprio sui costi dei predetti combustibili. Le valutazioni contrarie affermate da molti possono essere facilmente smontate con le seguenti constatazioni:

  • il costo iniziale dell’investimento in energie rinnovabili va ammortizzato negli anni di utilizzo del medesimo (i pannelli fotovoltaici, ad esempio, possono arrivare ad una durata di ben 25 anni);
  • il risparmio nei costi di luce, gas e carburanti (se si arriva a coprire con impianti autonomi l’intero fabbisogno energetico) con i prezzi attuali non supera i 7 – 8 anni per coprire interamente il costo iniziale delle rinnovabili, per cui si possono ottenere due alternative comunque favorevoli: conseguire guadagni differenziali fin dall’avvio degli impianti (con l’ammortamento di lunga durata), oppure ottenere risultati neutri nei primi anni (con un ammortamento più breve) e guadagni pieni da risparmi energetici per molti altri anni ancora;
  • i guadagni dalla riduzione di effetti catastrofici, anche se non si possono completamente evitare se il mondo intorno a noi continua nelle usuali emissioni, risultano comunque rilevanti se si considerano gli effetti territoriali dannosi dei gas serra (polveri sottili, sostanze nocive, isole di calore ed altro), che impattano proprio su chi direttamente inquina.

Quindi, in una valutazione aziendale per la scelta dell’investimento più conveniente, si dovrebbero prevedere tutti questi flussi futuri monetari (i quali dovrebbero essere tenuti presenti nelle imprese sostenibili ed invece considerati come rischi nelle altre).

Se poi gli accordi futuri tra i Paesi europei per scongiurare la politica dei dazi dovessero concretizzarsi nell’impegno politico di acquistare maggiori quantità di gas liquido statunitense e di destinare maggiori fondi pubblici agli armamenti, i vantaggi per una politica energetica rinnovabile risulterebbero ancora maggiori, perché chi non la adotterà sarà ancor più soggetto a rischi ambientali ulteriori nel corso del tempo.  

* L'autore è consulente e ricercatore in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile