Il futuro in bilico di due grandi Stati africani
Con un debito pubblico pari all’89% del Pil e l’aumento dell’inflazione, l’economia dell’Egitto è sempre più in crisi. In Senegal, invece, centinaia di manifestanti protestano per il rinvio delle elezioni presidenziali.
La guerra tra Israele e Hamas sta aggravando la situazione economica dell’Egitto, alle prese con l’aumento dell’inflazione e del debito. Gli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi nel Mar Rosso contro le navi commerciali hanno ridotto di circa il 50% il traffico nel Canale di Suez, il cui controllo contribuisce al 2% del Pil dell’Egitto. “Se il Paese crollasse potrebbe destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente” scrive il settimanale inglese The Economist.
L’economia del Paese sembra appesa a un filo. Il debito pubblico è pari all’89% del Pil, quello estero al 37%. L’Egitto è il secondo Paese per debiti nei confronti del Fondo monetario internazionale (Imf) dopo l’Argentina ed è già stato salvato quattro volte dall’Imf. Dall’invasione russa in Ucraina la sterlina egiziana è stata svalutata del 50% rispetto al dollaro; nel 2023 l’inflazione è stata del 23,5%, in confronto all’8,5% dell’anno precedente.
Il presidente Abdel-Fattah Al-Sisi “si è dimostrato un terribile amministratore per l’economia”, osserva l’Economist. L’economia è stata legata agli interessi dell’esercito e alle spese per megaprogetti, come lo spostamento della capitale amministrativa nel deserto o la realizzazione di un treno senza conducenti. Gli investimenti statali sono giustificati dal governo come uno strumento per creare posti di lavoro e mantenere la stabilità sociale. A dicembre 2023 Al-Sisi ha vinto le elezioni presidenziali con quasi il 90% dei voti, ottenendo un terzo mandato che durerà altri sei anni.
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Come sottolinea il settimanale inglese, il peggioramento dell’economia potrebbe portare a proteste di massa, a cui il governo potrebbe rispondere con repressioni violente. I disordini interni ridurrebbero la capacità dell’Egitto di mediare tra Israele e Hamas. La soluzione, suggerisce ancora l’Economist, è che “il mondo si tappi il naso e salvi di nuovo l’Egitto”. Al Paese serviranno almeno dieci miliardi di investimenti a breve termine per ridurre il debito e le conseguenze della svalutazione della sterlina egiziana.
La crisi in Senegal
C’è un altro Paese africano in bilico, anche se non per motivi economici: il Senegal. Il 3 febbraio il presidente senegalese Macky Sall ha annunciato l’abolizione del decreto di convocazione alle urne, rimandano le elezioni presidenziali previste per il prossimo 25 febbraio. Secondo Sall il Paese sta attraversando una crisi istituzionale che non permetterebbe lo svolgimento delle elezioni: alcuni giudici del consiglio costituzionale, che ha deciso le nomine dei candidati, sono stati accusati di corruzione. Sall ha anche ribadito l’impegno a non candidarsi. A gennaio il Consiglio costituzionale aveva escluso dalla lista dei candidati alcuni membri dell’opposizione: Karim Wade, figlio di Abdoulaye Wade, presidente tra il 2000 e il 2012, del Partito democratico senegalese, e Ousmane Sonko, leader del partito PASTEF e attualmente in carcere. L’Assemblea nazionale ha approvato la decisione del presidente senegalese, rimandando le elezioni al 15 dicembre.
Da inizio febbraio centinaia di persone hanno manifestano per il rinvio delle elezioni, scontrandosi con la polizia; l’accesso a Internet è stato limitato. Le tensioni continuano ad aumentare e tre persone sono state uccise nelle proteste. I manifestanti e le opposizioni accusano il presidente Sall, che sarebbe dovuto rimanere in carica fino al 2 aprile, di voler imporre una svolta autoritaria al Paese.
“La posta in gioco è la sopravvivenza dell’idea di repubblica, cioè la volontà di vivere insieme e di reinventare periodicamente la società. È inaccettabile voler compromettere a vantaggio di un uomo, di un partito, di un gruppo di cortigiani d’altri tempi il futuro di una nazione che, il 19 marzo 2000, ha conosciuto la sua prima alternanza politica democratica, dimostrando la ferma volontà d’inventare un presente e un futuro di democrazia, giustizia, libertà, equità e convivenza armoniosa”, si legge nell’appello di centinaia di intellettuali senegalesi, tradotta e pubblicata da Internazionale. Il Senegal sta vivendo una situazione anomala: dal 1960, anno dell’indipendenza del Paese, le elezioni non sono mai state rimandate. Il Senegal, inoltre, è considerato un modello di democrazia in Africa occidentale e non ha mai subito colpi di Stato, a differenza di molti Paesi confinanti.
Immagine di copertina: Spencer Davis/pexels