Dagli interessi degli azionisti a quelli della società intera: la via per un capitalismo inclusivo
Una raccolta di saggi su Hbr Italia, ridefinisce gli obiettivi aziendali. Tra questi, lotta al riscaldamento globale, uguaglianza di genere, sostengo dei valori democratici. Gli interventi di Joly, Gates, Mazzuccato.
di Flavio Natale
“Il capitalismo è per natura sostanzialmente squilibrato e ingiusto. Ma è quello che abbiamo, e le possibili alternative sono peggio. Dunque, facciamo di tutto per renderlo più inclusivo, giusto e sostenibile. Niente di più. Niente di meno”. Enrico Sassoon, direttore responsabile di Harvard Business Review Italia, introduce così il libro Per un capitalismo inclusivo (StrategiQs Edizioni), un’opera che raccoglie i saggi di numerosi esperti del mondo dell’economia e della finanza, pubblicati negli ultimi due anni sulla rivista. La raccolta, curata da Sassoon, prova a tracciare le vie da perseguire per promuovere un cambiamento epocale nel mondo delle imprese: il passaggio da un’economia che privilegi la creazione di valore per gli azionisti a una che abbracci il perseguimento equilibrato degli interessi degli stakeholder.
Questo rinnovamento, spiega Sassoon, riguarda tanto la ridefinizione degli obiettivi delle imprese – e la distribuzione delle ricchezze che producono, quanto la percezione che ne ha l’opinione pubblica, la quale ha a lungo identificato questi settori economici come luoghi dove si creano ricchezza e benessere in modo iniquo e diseguale.
Oggi, invece, “sempre più si tende a dare per scontato che l’impresa debba proporsi uno scopo (purpose) che vada ben al di là della creazione del profitto e dell’attribuzione della maggior parte di esso ai suoi azionisti”. Ma non è sempre stato così: basti pensare che per l’economista Milton Friedman, già dagli anni ‘70 del Novecento, l’idea di una responsabilità d’impresa che andasse oltre la generazione di profitto era inconcepibile. In questi ultimi anni si parla invece di “Csr”, corporate social responsibility, e di shared value, quel “valore condiviso” coniato da Michael Porter nel 2011, con cui l’economista definiva i compiti e gli scopi dell’attività d’impresa in termini di utilità per tutti i soggetti afferenti – i cosiddetti portatori d’interesse, o stakeholder, come dipendenti, clienti, fornitori, territori, ambiente e società.
Dopo un inizio lento – e a volte ostracizzato – questi termini sono entrati nel linguaggio e nei programmi delle aziende globali, diventando efficaci strumenti di cambiamento o, al contrario, slogan pubblicitari privi di una correlazione effettiva con un mutamento degli obiettivi societari – il cosiddetto greenwashing o woke washing.
Ma quali sono, effettivamente, le strade che si possono percorrere per un mutamento del sistema economico?
In questa raccolta di saggi, se ne delineano varie. Hubert Joly, uomo d’impresa e membro di Harvard Business School, propone una “dichiarazione di interdipendenza”, capace di rifondare un’idea di business orientata a un futuro sostenibile. Paul Polman, ex presidente di Procter & Gamble per l'Europa, lancia un manifesto per l’impresa “positiva netta”, per raggiungere gli stessi obiettivi individuati da Joly. L’imprenditore e filantropo statunitense Bill Gates chiede alle imprese di condurre uno sforzo comune per contrastare il cambiamento climatico. La Business Roundtable e il World Economic Forum presentano a loro volta dei manifesti, volti a promuovere la lotta contro il riscaldamento globale e le diseguaglianze. Melinda Gates, imprenditrice informatica statunitense, si concentra sulla rottura degli schemi di genere, e sulla giusta collocazione delle donne nella nostra società. Mariana Mazzuccato, economista e accademica italiana, esorta le imprese ad assumersi la responsabilità di un processo di cambiamento non rinviabile, coadiuvato da una maggiore capacità d’azione degli Stati. Rebecca Henderson, economista americana, richiede un maggior impegno delle imprese nella politica, non solo attraverso il passaggio da un approccio che privilegi gli shareholder (azionisti) a uno che favorisca gli stakeholder (i portatori d’interessi), ma a un sistema che implichi la disponibilità a promuovere e sostenere i valori democratici.
Bisogna andare “ben oltre il business as usual”, conclude Sassoon, nonostante la sfiducia e lo scetticismo che imperversano nelle piazze. “La strada per la credibilità è lunga e le generazioni al comando hanno da dimostrare molto per recuperare errori passati ed esitazioni presenti”.
di Flavio Natale