Gap retributivo: le donne lavorano gratis 51 giorni all’anno
Una direttiva europea, approvata di recente, pone rimedio al gender pay gap. Ma la sua applicazione è prevista entro il 2026.
di Annamaria Vicini
La differenza di retribuzione, a parità di lavoro, tra uomini e donne è una realtà in tutta (o quasi) l’Unione europea. Una realtà che dovrebbe farci riflettere e anche preoccupare, considerato che per ogni punto percentuale in meno del divario si avrebbe un aumento dello 0,1% del Prodotto interno lordo.
La classifica Ue a questo riguardo è a prima vista abbastanza sorprendente: se la media Ue è del 12,7%, il Paese con il divario maggiore risulta essere l’Estonia (20,5%), seguita da Austria (18,8%), Germania (17,6%), Ungheria (17,3%), Slovacchia (16,6%). I Paesi in cui il divario risulta minore sono invece Romania (3,6%), Slovenia (3,8%), Polonia (4,5%), Italia (5,0%), Belgio (5,0%). L’unico che ha colmato il divario retributivo di genere è il Lussemburgo.
Dietro a questi numeri, che a prima vista possono suscitare qualche perplessità, si nascondono in effetti alcune difficoltà di interpretazione.
Innanzitutto va detto che il calcolo viene effettuato sui compensi orari lordi di uomini e donne e per le aziende con 10 o più dipendenti: resta quindi esclusa tutta la miriade di micro imprese che in Italia sono la maggioranza. Secondo i dati Istat le microimprese nel nostro Paese sono quasi 4 milioni e rappresentano il 94,8% delle imprese attive.
È stato calcolato che in media, a parità di mansioni, le donne guadagnano il 15% in meno dei colleghi maschi: in altre parole, lavorano gratis 51 giorni all’anno!
Diverse le cause che determinano il gender pay gap:
- il maggior ricorso al lavoro part-time (30% delle donne contro l’8% degli uomini);
- maggiori interruzioni di carriera per l’accudimento dei figli o altri obblighi famigliari (3% contro 1,3%);
- maggiore presenza femminile in settori a bassa qualificazione;
- minore presenza di donne in posizioni dirigenziali: solo il 34% nel 2020 le donne manager, che comunque risultano essere le più svantaggiate, in quanto guadagnano il 23% in meno rispetto ai colleghi maschi.
Va detto poi che in generale il divario aumenta con l’aumentare dell’età anagrafica, mentre è minore a inizio carriera, il che comporta un maggior rischio per le donne in età avanzata di povertà ed esclusione sociale. Durante l’età pensionistica, infatti, il gap praticamente raddoppia, arrivando a toccare il 30%.
A fronte di questa situazione il Parlamento europeo ha recentemente stabilito l’obbligo per le aziende di divulgare informazioni sulle retribuzioni di entrambi i generi, in modo che sia più facile fare un confronto. Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all'autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all'interno della propria organizzazione, mentre per le imprese con più di 100 dipendenti l'obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale. Qualora il divario superasse il 5%, le imprese sono tenute a effettuare una valutazione delle retribuzioni insieme alle rappresentanze dei propri dipendenti.
Ai singoli Paesi spetta l’onere di stabilire le penalità per i datori di lavoro che non rispettino le regole stabilite, così come viene riconosciuto il diritto delle lavoratrici a chiedere un risarcimento in caso di violazione delle norme. Qualora poi la controversia approdasse in Tribunale, l’onere della prova spetterà al datore di lavoro.
Tutto bene dunque?
In realtà la Direttiva Ue 2023/970 approvata il 10 maggio di quest’anno non è immediatamente applicabile: gli Stati membri dell’Unione hanno tempo per conformarsi fino al 7 giugno 2026. È importante quindi mantenere alta l’attenzione affinché tutto non finisca, come purtroppo spesso accade, nel dimenticatoio.
Come detto all’inizio, non si tratta solo di ingiustizia nei confronti del genere femminile, ma di un problema che riguarda la nostra economia e la nostra società presente e futura.