Evento nazionale Futura network: una nuova alleanza tra i giovani e gli anziani
Il dibattito ha mostrato la necessità di occuparsi in modo integrato del tema dell’inclusione sociale in un Paese che invecchia e fa sempre meno figli. La visione della Chiesa e il nodo della sostenibilità previdenziale.
di Andrea De Tommasi
L’evento nazionale “Giovani e anziani nell’Italia del 2050”, nell’ambito del Festival dello sviluppo sostenibile, si è tenuto lunedì 11 ottobre presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma e in diretta streaming, e si è aperto con l’introduzione di Donato Speroni, giornalista e responsabile del progetto Futura network. “Il nostro è un sito nato oltre un anno fa con l’obiettivo di guardare oltre il 2030, per promuovere la scelta del futuro migliore e sostenibile. Un punto di riferimento abbastanza preciso è la demografia: ci è sembrato giusto dedicare il nostro incontro all’Italia del 2050 partendo dalle previsioni demografiche, per arrivare ad analizzare le conseguenze sociali e previdenziali. Particolare attenzione va alla valorizzazione degli anziani e al contributo dei giovani: come fare in modo che la popolazione anziana continui a contribuire per il benessere collettivo? E come vedono i giovani il futuro?”
Speroni, moderatore del primo panel, ha dato la parola ad Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale presso l'Università Cattolica di Milano, che ha illustrato le prospettive demografiche dell’Italia di metà secolo. La sua relazione è partita dalla bassa fecondità nel nostro Paese: il numero medio di figli è sceso sotto due a fine anni Settanta, sotto 1,5 verso la metà degli Ottanta e non è mai più risalito. L’immigrazione è stata sempre meno in grado di compensare il saldo naturale negativo tra decessi e nascite, ha aggiunto Rosina. “La questione vera non è l’ammontare della popolazione, ma gli squilibri che si producono quando la popolazione anziana aumenta e quella giovanile precipita. L’Italia deve prepararsi a uno scenario in cui entro il 2050 gli over 65 aumenteranno di circa sei milioni”. Ha quindi sottolineato che la riduzione della popolazione in età attiva incide sia sul Pil sia sul benessere. Le leve su cui si deve agire sono l’adozione di flussi migratori adeguati (“circa 300 mila persone l’anno in una previsione di crescita del Paese”), un’inversione di tendenza sui tassi di natalità e l’allungamento della vita attiva (“mettere i senior nelle condizioni di avere un ruolo economico e sociale”). Rosina ha richiamato, infine, l’importanza del contributo dell’occupazione femminile (da favorire con strumenti di conciliazione lavoro-famiglia) e il ruolo delle nuove generazioni (potenziamento dei percorsi formativi e professionali).
Roberto Mazzotta, politico e banchiere, ex presidente di Cariplo e di Banca popolare di Milano, ha evidenziato la necessità di creare un’idea diversa di futuro: “Noi viviamo in un’angosciosa situazione in cui le famiglie non si formano o durano poco, e la natalità precipita”. Mazzotta ha poi invitato a occuparsi in modo integrato del tema dell’inclusione sociale nella vita attiva, che riguarda sia gli anziani che i giovani. “Stiamo entrando nel pieno della Terza rivoluzione industriale, in grado di sostituire le capacità umane e anche intellettuali. Un cambiamento d’epoca formidabile dal quale possono nascere opportunità infinite e nuove esclusioni che occorre anticipare e combattere”. Ha quindi richiamato il concetto di “economia della solidarietà”, un modello che al netto dei suoi limiti di misurabilità può affiancare l’economia di mercato con lo scopo di risolvere problemi sociali e generare ricchezza. Secondo Mazzotta, gli enti locali, in particolare i comuni, avranno il compito di misurare i problemi sociali, coinvolgendo giovani e anziani su progetti di inclusione. Mazzotta ha ripreso così un tema che era stato affrontato in un articolo del giornalista Ezio Chiodini su futuranetwork.eu, che invitava a mettere l’esperienza degli anziani qualificati al servizio delle comunità locali trasformandoli in “collaboratori civici”.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, ha proposto una riflessione sul “continente” anziani e la tragedia causata dal Covid-19: “Gli anziani hanno pagato al Covid il prezzo più amaro in termini di morti. Non siamo stati attenti ai richiami che i demografi ci facevano già dopo la guerra. È nato un nuovo continente di cui dobbiamo comprendere il senso e la prospettiva. Noi vivremo venti o trent’anni in più, ma per fare cosa? Non lo sa nessuno”. Paglia ha rilevato che negli anni anche la Chiesa non si è occupata adeguatamente del tema degli anziani, ma ci sono segnali che fanno ben sperare. “La Commissione per la riforma dell’assistenza agli anziani, creata dal ministro Speranza e da me presieduta, ha presentato al presidente Draghi un progetto per supportare i milioni di anziani che vivono nel nostro Paese”. La Commissione ha proposto che l’assistenza agli anziani punti ad essere il più possibile domiciliare e territoriale, con la formazione di 100 mila nuovi operatori specializzati. “Il futuro dell’Europa sarà quello di una nuova alleanza tra i giovani e gli anziani”.
Alberto Brambilla, presidente Centro studi e ricerche itinerari previdenziali, ha sottolineato: “Il sistema pensionistico italiano è sostenibile almeno fino al 2030 ma servono correttivi, si pensi alla bassa età di pensionamento che grava sulla collettività. Negli ultimi decenni imprese, sindacati e politica non si sono occupati della riorganizzazione del mercato del lavoro. Occorre correlare età e funzione dei lavoratori, solo così potremo alzare l’età di pensionamento”. Brambilla ha evidenziato la mancanza di una normativa per la non autosufficienza e il gap italiano sull’occupazione, in particolare relativo a donne e giovani, che può essere invertito solo con politiche attive sulla formazione professionale e continua. “Se facciamo tutto questo, il sistema pensionistico in Italia sarà sostenibile per le future generazioni anche dopo il 2040”.
Il primo panel si è concluso con l’intervento di Carla Collicelli, sociologa del welfare e della salute e referente del Gruppo di lavoro ASviS per il Goal 3, che ha sottolineato il carattere dirompente dei cambiamenti che abbiamo di fronte: “Le poche certezze dalle quali partire sono la demografia, l’epidemiologia e la globalizzazione. Ma ci sono molte scelte che dobbiamo compiere nella direzione che riteniamo opportuna. Penso al fantasma dello scontro generazionale che è spesso sulle prime pagine dei giornali: in realtà i dati dicono che la soddisfazione per la vita familiare e gli aiuti degli anziani nei confronti dei giovani sono all’ordine del giorno. Il disagio giovanile o il fenomeno dei neet sono reali, ma quanti giovani impegnati abbiamo oggi? E ancora, la fragilità degli anziani è un dato di fatto incontrovertibile ma a questo si contrappongono l’invecchiamento attivo e l’associazionismo degli anziani”. Collicelli ha citato l’ultimo libro di Zygmunt Bauman, “Retrotopia”, affermando che il rischio da evitare è quello di tornare agli assetti precedenti: “la nostalgia della tribù, il ritorno alle disuguaglianze, la guerra del tutti contro tutti. Se riusciremo a scrollarci dalle spalle le nostalgie del passato, il rapporto tra giovani e anziani al 2050 possiamo immaginarlo migliore di come appare oggi”.
La successiva tavola rotonda, dal titolo “La risposta dei giovani sugli scenari di metà secolo”, è stata moderata da Anna Rita Ceddia, membro del Gruppo di lavoro trasversale dell’ASviS “Organizzazioni giovanili”. Claudia Cioffi dell’Osservatorio delle politiche giovanili Fondazione Bruno Visentini si è soffermata sulle vulnerabilità che riguardano la provenienza geografica, il genere o il background socio-economico. “I giovani hanno riportato molte cicatrici all’indomani della precedente crisi finanziaria. Pensiamo solo al tasso di disoccupazione di un under 35, che è doppio rispetto alla media, alla dispersione scolastica, al fenomeno dei ragazzi e delle ragazze che non studiano e non si formano (neet)”. Cioffi ha citato un’indagine della Fondazione Visentini rivolta ai giovani delle scuole secondarie, da cui emerge che autonomia finanziaria e aspettative dal mondo del lavoro sono gli ostacoli principali.
Francesco Marchionni, consigliere di presidenza del Consiglio nazionale giovani, si è soffermato sulla visione “integrata del problema giovani”, cioè su come le diverse generazioni possono interfacciarsi. Ha poi riconosciuto l’importanza della proposta di inserire il principio di giustizia intergenerazionale in Costituzione, auspicando che entri nel lessico politico e nelle nuove riforme del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Katia De Luca, coordinatrice Giovani Alleanza delle cooperative italiane, ha declinato il tema dal suo punto di osservazione: “La transizione di ruolo all'interno delle imprese è un esempio di processo costruito nel tempo da generazioni diverse. Le aziende devono chiedersi quanto sono attrattive nei confronti di chi si sta formando. I giovani vogliono sentirsi parte attiva di un processo economico e questo principio è il punto di partenza di tante idee imprenditoriali che stiamo vedendo negli ultimi anni”.
Silvia Visca di Wwf young ha ricordato il recente Youth4Climate, in cui i giovani impegnati per il clima hanno avanzato le loro proposte. “Come Wwf ci siamo sempre impegnati nel coinvolgere i giovani, per farli sentire partecipi delle decisioni prese a livello internazionale. I ragazzi devono essere in grado di monitorare le scelte politiche. Crediamo debba essere istituito un meccanismo di monitoraggio delle scelte dei governi”.
Le conclusioni sono state affidate al ministro delle Infrastrutture della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini: “Gli interventi di questa mattina fanno capire che non possiamo guardare solo a una generazione. Lo squilibrio intergenerazionale è il frutto di una modalità con la quale la società prende le decisioni. Siamo al punto in cui arrivano insieme diverse crisi: economica, ambientale e sociale. I giovani grazie al movimento Fridays for future hanno fatto sentire la loro voce in modo forte, come non avveniva da decenni”. Giovannini ha proseguito ricordando “il modello che anni fa la professoressa Agar Brugiavini elaborò sul tema pensionistico, in cui si mostrava come in una società che invecchia diventa ogni giorno più difficile fare una riforma per i giovani”. Ha, infine, richiamato la necessità che le generazioni più giovani siano chiamate a esprimersi su tanti temi, a partire dalle disuguaglianze: “La politica non si ferma con il Piano di ripresa e resilienza. Il mio suggerimento, rivolto anche all’ASviS, è di rilanciare molte riflessioni che non sono state necessariamente realizzate nel Pnrr. Credo anche che l’opinione pubblica italiana debba dedicare più spazio alla Conferenza sul futuro dell’Europa, e in questo i giovani potrebbero avere un ruolo particolarmente accentuato”.
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di Andrea De Tommasi