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Le nuove opportunità dell’età liquida

La stagione matura si beffa delle previsioni e non si conforma alle aspettative. Per chi riesce a capirla, si apre un grande mercato potenziale oggi sotto-servito. 08/03/21

di Odile Robotti

La rivincita della mezza stagione. Meteorologicamente estinta, la mezza stagione ha la sua rivincita nella vita. Milioni di baby-boomer stanno entrando in uno stadio della vita intermedio tra età adulta e vecchiaia che prima non esisteva. È l’età adulta matura o super-adulta che convenzionalmente facciamo coincidere con un intorno, di ampiezza imprecisata, dell’età pensionabile. La vecchiaia, fino al secolo scorso, iniziava appena finita l’età adulta: il senso da dare a questi anni di vita aggiunti dalla longevità lo dovranno definire i baby-boomer, la prima generazione a goderne.

"The times they are a-changin’". La nuova stagione intermedia non è l’unica novità. Eccone un’altra: la vita non segue più la sequenza rigida di un tempo, in cui nella prima fase della vita ci si istruiva, nella seconda si lavorava e nella terza ci si riposava. La stagione che si è aggiunta è caratterizzata dal fatto che vi si possono svolgere attività un tempo riservate ad altre fasi, oltre a dedicarsi a quelle considerate tipiche della propria. Chi offre corsi di aggiornamento professionale, chi vende mountain bike o chi gestisce siti di dating commette un errore se si dimentica degli adulti maturi. E mentre è difficile vendere una crociera costosa o un abbonamento a teatro a dei giovani, molti sessantenni sono pronti ad acquistare prodotti e servizi tradizionalmente associati ad età precedenti. Perché i 60 sono i nuovi 50, 40 e 30, tutto insieme.

Personaggi in cerca di autore. Oggi avere 60 anni può voler dire trovarsi in molte situazioni professionali e personali diverse. Un ultrasessantenne può essere ancora occupato, in pensione, in un limbo tra occupazione e pensione, in cerca di una nuova occupazione o in fase di avvio di un’iniziativa imprenditoriale (sta fiorendo la seniorpreneurship cioè il fenomeno dell’imprenditorialità intrapresa da adulti maturi dopo altre carriere). Anche da un punto di vista personale, con l’aumento dei divorzi, dei secondi e terzi matrimoni e con le tecniche di riproduzione assistita, una persona di 60 anni può essere in situazioni completamente differenti. Potrebbe, per esempio, avere figli teenager (o più giovani, nel caso degli uomini), oppure avere nipoti di quell’età (o entrambe le cose). Anche desideri, interessi e look sembrano essersi liberati dalla camicia di forza dell’età anagrafica. Questa, privata del suo significato univoco, risulta notevolmente indebolita e lascia spazio a un interessante caleidoscopio di “età situazionali”.

L’età fluida. Non solo l’età ha perso il suo valore predittivo e prescrittivo, ma è anche diventata schizofrenica. Dato che ognuno di noi ha molte identità (professionale, genitoriale, legata a interessi, passioni e hobby), può succedere di “avere età differenti” a seconda dell’identità che viviamo in quel momento. Ed ecco spiegato come durante la giornata ci si possa sentire in stadi della vita differenti. Un ipotetico sessantenne potrebbe sentirsi giovane la mattina presto, mentre si allena per correre la maratona, poi, arrivato in ufficio, sentirsi anziano, perché messo da parte, mentre il pomeriggio, rientrato a casa, potrebbe sentirsi di mezza età perché aiuta i figli adolescenti nei compiti e la sera potrebbe tornare giovane grazie al corso di ballo sudamericano che segue con gli amici. La tirannia dell’età è sovvertita e la “legge di gravità anagrafica” è capovolta: possiamo sentirci più giovani la sera di come ci sentissimo la mattina e nulla vieta che i sessantenni si sentano nel fiore degli anni più dei trentenni. Non sorprende quindi l’evidenza emersa nel recente studio di McCann worldgroup “Truth about Age”: le persone che hanno più paura della morte sono i ventenni e chi teme di più l’invecchiamento sono i trentenni, non i settantenni.

Non ho l’età. Gli adulti maturi, che secondo una classificazione obsoleta ma ostinatamente resistente sono etichettati come “anziani”, non si riconoscono nella categoria. Secondo la ricerca condotta dall'Associazione osservatorio senior e dal Laboratorio Trail dal titolo “Un ritratto dei nuovi senior: generazioni a confronto”, nella fascia tra i 65-74enni solo il 15% circa degli uomini e il 29% circa delle donne dichiara di sentirsi (abbastanza o molto) anziano. Il 44% e il 38% rispettivamente di uomini e donne non si sente anziano per nulla. Non solo: la maggioranza delle persone in questa fascia ritiene che anche “gli altri” non li considerino vecchi. Gli ultrasessantenni si sentono in condizioni migliori e con potenzialità maggiori rispetto all’etichetta di “anziani”, nella quale la maggioranza non si riconosce. Ma qualcuno li sta ascoltando? Sembra di no.

I miliardi mancanti. Secondo l’indagine della società GlynnDevins  “Advertising targeting older adults: how the audience perceives the message”, su 400 persone di 70 anni e oltre solo il 20% dichiarava di gradire la pubblicità indirizzata specificatamente alla propria fascia di età. Nello stesso studio, addirittura metà del campione giudicava la pubblicità poco rispettosa e oltre il 30% riteneva che li rappresentasse in modo poco realistico. Contemporaneamente, la ricerca Nielsen “The age gap: as global population grows older, its needs are not being met” confermava che, a livello mondiale, il 51% degli over-60 non si identificavano nemmeno nelle pubblicità rivolte al pubblico generale, probabilmente perché smaccatamente indirizzate a un target di età molto più giovane.

Passando ad aspetti più pratici, le persone over-60 possono desiderare porzioni più piccole e confezioni più facili da aprire, possono avere esigenze nutrizionali particolari e difficoltà maggiori nella lettura di caratteri molto piccoli sulle etichette. Sempre secondo la già citata indagine Nielsen, il 45% di loro dichiarava di non trovare prodotti che rispondessero alle loro esigenze dietetiche e il 44% di non trovare confezioni di dimensione adeguata. In Europa (in cui si trovano nove dei dieci Paesi più longevi del mondo), il 61% della popolazione over-60 lamenta difficoltà nel leggere le etichette dei prodotti e il 45% ritiene che il layout dei negozi non sia adatto alle esigenze della popolazione anziana (corridoi troppo stretti e poco illuminati, scaffali irraggiungibili, ecc.).  

Se la pubblicità si rivolge a questo segmento solo per prodotti specifici della terza età (in modo non gradito perché stigmatizzante) e il design dei servizi e prodotti (e della loro confezione) non tiene conto delle loro esigenze, cosa possiamo aspettarci?  Lo spiega bene lo studio dell’International longevity centre dal titolo “The missing billions” (i miliardi mancanti): gli adulti maturi sotto-consumano per mancanza di offerta. E miliardi di sterline (lo studio calcolava l’impatto nel Regno Unito), che potrebbero alimentare la crescita economica, non vengono spesi.

La terza economia mondiale. Nel 2020 si prevede che il mercato globale degli adulti over-60 varrà 15 migliaia di miliardi di dollari. Se fosse un Paese, si collocherebbe al terzo posto nella classifica mondiale, dopo Cina e Usa e prima dell’India. La società di consulenza Boston consulting group stima che oltre metà della crescita nei consumi verrà dal “segmento d’argento” (con punte dell’86% in Germania e del 67% in Giappone), non solo perché in aumento numerico, ma anche in quanto titolare di buona parte della ricchezza e attualmente sotto-servito. Tutto questo sembrerebbe sufficiente per scatenare una “corsa all’argento”. E invece no.

In cerca di attenzioni. Secondo un’indagine dell’Intelligence unit dell’Economist, meno del 50% delle aziende ha elaborato una strategia per affrontare il cambiamento demografico e solo il 31% dichiarava di aver preso in considerazione l’incremento della longevità nella pianificazione delle vendite. Non solo gli adulti maturi risultano quasi invisibili per chi si occupa di marketing dell’offerta destinata al pubblico generale, ma anche chi segue quella specificatamente destinata a loro non li tratta benissimo. Secondo Joseph Coughlin, questa popolazione viene vista, attraverso la lente del vecchio stereotipo declinista, come un “cumulo di problemi”. Di conseguenza, ci si rivolge ad essa per soddisfare i bisogni alla base della piramide di Maslow (quelli legati alla sopravvivenza) e nessuna attenzione a bisogni più alti, come quello di auto-realizzazione. È un po’ come se il marketing nei confronti dei teenager si concentrasse sulle creme anti-brufoli. Eppure sappiamo che le persone spendono volentieri per ciò che desiderano, più ancora che per ciò di cui hanno bisogno. Cosa sta succedendo?

Pregiudizi e poca inclusione costano cari. La prima spiegazione è che siamo collettivamente vittime di un pregiudizio giovanilista che vede l’allungarsi della vita come un peso (con relativa enfasi su tutto quello che può alleviarlo) e non una benedizione (che porterebbe a concepire prodotti e servizi per coglierne le nuove possibilità con soddisfazione). La seconda spiegazione va cercata nella bassa età media delle persone che lavorano nelle funzioni di marketing. Ancora una volta, la mancanza di diversità e inclusione presentano il conto, salatissimo, sotto forma di opportunità perse. Joseph Coughlin nel suo libro più recente The longevity economy: unlocking the world’s fastest growing most misunderstood market mette a confronto apparecchi acustici e occhiali da vista. In fondo, entrambi hanno lo scopo di rimediare a un difetto. Ma le similitudini finiscono qui. Gli apparecchi acustici vengono usati solo dal 20% di chi ne ha bisogno, nonostante la tecnologia si sia molto evoluta e funzionino benissimo. Inoltre, una percentuale tra il 5 e il 24% di coloro che li possiedono non li usa. Perché, si chiede, non succede lo stesso con gli occhiali da vista, che invece sono accessori desiderati?

È il marketing, stupido. Perché nel primo caso, dato che il prodotto è indirizzato a persone di una certa età, il marketing enfatizza l’aspetto funzionale, mentre nel secondo, rivolgendosi alla popolazione generale, l’occhiale è presentato come l’opportunità per rendere il viso più interessante, darsi un tocco di classe ed esprimere individualità. Il marketing ha creato due mercati completamente diversi, uno molto più sviluppato dell’altro sulla base di una falsa premessa: quella che agli adulti maturi importi solo risolvere i loro problemi di invecchiamento.

Non sono un numero! Si vive più a lungo, più pienamente e anche in modo più fluido. Un adulto maturo, giustamente, pretende di continuare a essere trattato come individuo con desideri articolati e differenziati e non come un numero, quello della propria età. Fino ad ora, purtroppo, il marketing è quasi sempre stato complice di una visione piatta e spersonalizzata degli ultra-sessantenni. Ma i baby-boomer in questa rappresentazione non si identificano: la me-generation, esigente, individualista e ribelle, è pronta a rompere lo schema. Molti scommettono che sarà pioniera di un nuovo modello di invecchiamento che rovescerà il paradigma dell’anziano dipendente e bisognoso. Chi prevede che sarà il grande motore dei consumi si sta preparando a soddisfarne le esigenze pratiche ma anche i desideri.

I pionieri. La casa automobilistica Ford ha dotato i propri team di progettisti (recentemente usciti dall’università) di un “completo da terza età”, cioè di un insieme di apparecchi (scafandro, guanti, occhiali, cuffie, ecc.) che indossati replicano le condizioni in cui si trova un ultra-settantenne (difficoltà nel muoversi e nel piegarsi, artrite e leggero tremore alle mani, difficoltà di udito e di vista, ecc.), in modo che possano “mettersi nei panni” degli automobilisti più anziani. Pare che l’accensione col pulsante sia nata dalla constatazione di quanto sia difficile un gesto semplice come infilare e girare la chiave nel cruscotto dell’automobile con mani artritiche che magari tremano anche un po’. Questo è un esempio del valore del design inclusivo, cioè di prodotti servizi progettati per soddisfare tutti: si semplifica la vita a tutti.

A livello di marketing è ancora più semplice andare incontro alle esigenze degli adulti maturi: a volte basta sostituire nomi suggestivi della vecchiaia con altri evocativi di situazioni dinamiche, come hanno fatto i produttori di vasche da bagno statunitensi. Resisi conto che gli over 60 non comperavano le vasche con maniglia di appiglio in quanto “da vecchi”, hanno iniziato a commercializzare la maniglia col nome Beley (è sempre un appiglio, ma è un termine tecnico che si usa nell’arrampicata alpinistica).

Anche sul fronte pubblicità si vede qualche cambiamento positivo. I produttori di dispositivi per l’incontinenza o di apparecchi acustici stanno timidamente iniziando a ringiovanire i volti che compaiono nei loro spot. Riferiscono di essere stati all’inizio restii nell’ingaggio di attori cinquantenni per pubblicizzare i loro prodotti in quanto temevano che la pubblicità risultasse poco credibile. Ma quando le immagini sono state mostrate ai focus group di over-sessantenni, questi hanno gradito e non hanno obiettato nulla, evidentemente identificandosi nell’immagine più giovanile.  

Non conta quanto si è vecchi, ma come. Lo disse, oltre 100 anni fa, Jules Renard. La profezia si è avverata: l’età è diventata un concetto relativo e dinamico che lascia all’individuo maggiore libertà nel decidere come avanzare negli anni. La longevità ha aggiunto molti anni in buona salute alla vita, rendendo obsolete le vecchie concezioni di cosa fosse possibile o opportuno fare ad ogni età e, forse, svuotando l’età stessa del suo significato. Ci spiegano infatti gli studiosi i nostri comportamenti sono determinati non dall’età ma dall’aspettativa di vita residua e ancora di più dall’aspettativa di vita residua in salute. E, grazie al progresso della scienza, questa è diventata un orizzonte mobile.

La vendetta dell’età. Eppure, nonostante tutto, l’età ha ancora un ruolo importante che sarà difficile le venga sottratto. La nostra età determina univocamente il momento storico in cui siamo nati, cioè a quali esperienze collettive significative siamo stati esposti negli anni in cui ci siamo formati. In futuro potremo cancellare completamente le rughe, fare sport spericolati a 60 anni, tornare sui banchi a 70 anni ed essere quasi indistinguibili da persone di 20 o 30 anni più giovani. Ma non riusciremo ad annullare le differenze tra essere cresciuti negli anni del boom economico o della recessione, tra aver ascoltato ossessivamente i Beatles o Lady Gaga, tra aver considerato indispensabile alla propria socializzazione il motorino o l’iPhone. Le esperienze distintive di ogni generazione continueranno a influenzarne gli atteggiamenti, le preferenze e le aspirazioni anche quando avremo abolito le candeline dalle torte di compleanno.

 

di Odile Robotti, amministratore unico di Learning edge, la cui divisione talent edge si occupa di ottimizzazione del talento organizzativo.

Questo articolo è stato pubblicato di recente su Harvard business review Italia.

lunedì 8 marzo 2021