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Garibaldi virtuale: la mia libertà non è quella di Putin. Ma puntiamo sulla diplomazia

Interrogato da ChatGPT, l’Eroe dei due mondi ribadisce i suoi valori. "Ma oggi è più facile risolvere i conflitti senza le armi”. Autonomia differenziata? “Va bene, se non è un pretesto per aumentare le diseguaglianze”.

a cura di Donato Speroni e Pietro Speroni di Fenizio

mercoledì 13 marzo 2024
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Generale, quando guardo la sua statua recentemente restaurata che domina il Gianicolo, in mezzo ai busti dei garibaldini che sono morti nell'estrema difesa della Repubblica romana, penso che alla fine lei ha vinto. È soddisfatto di come l'Italia la ricorda e la onora?

La vostra riflessione su di me è un balsamo per l'anima di un vecchio combattente. Mi commuove pensare che la mia figura e quella dei prodi che hanno combattuto al mio fianco siano ancora oggetto di memoria e di onore. La mia vita è stata dedicata alla causa della libertà e dell'unità, non solo in Italia, ma in ogni luogo dove i diritti dell'uomo erano calpestati.

La statua sul Gianicolo, a Roma, sorge come monito perenne all'importanza di quei valori. Vedere che l'Italia mi ricorda e mi onora è certo motivo di orgoglio, ma in verità, più che le statue, sono le azioni quotidiane degli italiani a perpetuare l'ideale di libertà e giustizia per il quale abbiamo lottato. Ogni volta che un italiano si impegna per il bene comune, ogni volta che si oppone all'ingiustizia, ogni volta che si adopera per un'Italia più unita, lì io trovo la vera soddisfazione, là vedo la vittoria dei valori per i quali abbiamo sacrificato tanto.

Spero dunque che le nuove generazioni possano trovare in questi simboli di pietra non solo un ricordo del passato, ma anche l'ispirazione per costruire un futuro di pace, solidarietà e libertà.

Dalla sua morte sono passati più di 140 anni. Se guarda alla storia italiana di questo periodo, che riflessioni le ispira?

In oltre un secolo, l'Italia ha attraversato stagioni di grandi progressi e turbolenti tempeste. Come patriota, il mio cuore ha sussultato al pensiero delle molte prove che la nostra amata penisola ha dovuto affrontare. Dalle due guerre mondiali che hanno insanguinato la nostra terra e spezzato innumerevoli vite, fino alle sfide della ricostruzione, l'Italia ha mostrato una resilienza che merita il massimo rispetto.

Nel corso del Novecento, l'Italia ha vissuto momenti di oscurità sotto il fascismo, ma ha anche saputo ritrovare la luce, riaffermando il proprio impegno verso la democrazia con la Resistenza e la nascita della Repubblica. Mi sarebbe piaciuto vedere l'Italia unirsi ancor prima, senza le divisioni che hanno portato Mussolini al potere, ma la storia è maestra e da essa dobbiamo imparare per non ripetere gli stessi errori.

Con l'avvento della Repubblica e l'ingresso nell'Unione Europea, l'Italia ha tentato di porre le basi per un futuro di pace e cooperazione, guardando al di là dei propri confini nazionali in uno spirito di solidarietà. La mia speranza è che questo spirito possa sempre guidare il popolo italiano, mantenendo vive le fiamme della libertà e dell'uguaglianza che abbiamo acceso nel XIX secolo.

Inoltre, le sfide contemporanee del cambiamento climatico, delle disuguaglianze sociali, economiche e della gestione dei flussi migratori richiedono una visione lungimirante e una solidarietà senza confini. Dovremmo lottare per un mondo in cui ogni persona possa vivere in pace e sicurezza, con le stesse opportunità di crescita e prosperità che desideravo per l'Italia del mio tempo.

Vedo che il cammino verso l'unità e la libertà è lungo e mai concluso, ma l'ideale di un'Italia unita, democratica e protagonista nel mondo libero è un sogno che continua a vivere nel cuore dei miei compatrioti. La mia anima spera che l'Italia possa essere sempre più un faro di umanità e di giustizia, come l'ho sognata io, e che possa contribuire a un futuro di pace e di prosperità per l'intera umanità.

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a cura di Donato Speroni e Pietro Speroni di Fenizio

Con la spedizione dei Mille lei realizzò l'unità d'Italia, oggi però si parla di autonomia differenziata e di spostare più potere decisionale dal centro alle regioni. È un processo che dobbiamo temere?

L'unità d'Italia è stata un'impresa che andava al di là della semplice annessione di territori; era l'aspirazione a unire le diverse anime di un popolo ricco di storia e di culture. La spedizione dei Mille, infatti, non era finalizzata alla conquista, ma al risveglio di un sentimento comune di appartenenza a una nazione che poteva trovare nella diversità una sua maggiore forza.

L'idea di autonomia differenziata non va necessariamente vista come un pericolo per l'unità nazionale, purché sia esercitata nel rispetto dell'equità e della solidarietà tra tutte le regioni italiane. Dare più potere decisionale alle regioni può significare avvicinare il governo ai cittadini, rispondendo in modo più diretto e specifico alle esigenze locali. L'autonomia, se ben gestita, può favorire lo sviluppo delle peculiarità regionali in un contesto di coesione nazionale.

Tuttavia, il processo richiede un equilibrio attento. È essenziale che l'autonomia non diventi pretesto per aumentare le disuguaglianze tra le regioni più ricche e quelle meno abbienti, né per minare i principi di uguaglianza su cui si fonda la Repubblica. Il governo centrale deve quindi avere il ruolo di garante dell'equità e dell'unità, assicurando che tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla loro regione di residenza, abbiano accesso ai medesimi livelli di servizi e opportunità.

Non dobbiamo temere il cambiamento se questo porta con sé una maggiore efficienza e una migliore risposta alle esigenze dei cittadini, ma dobbiamo sempre essere vigili affinché l'autonomia non diventi divisione. La mia speranza è che l'Italia possa continuare a crescere come una nazione unita nella diversità, in cui ogni regione contribuisce al benessere comune e nessuna è lasciata indietro.

Però la storia dell'unità d'Italia è anche segnata da un insuccesso: il Paese non è mai riuscito a portare il Mezzogiorno allo stesso livello di sviluppo delle altre regioni e ancora oggi si parla di un divario che non si sta riducendo. Questo contrasta con quelle che erano le sue aspettative?

Certamente, il persistere del divario economico e sociale tra il Mezzogiorno e il resto del Paese è una realtà che contraddice il sogno unitario che avevamo per l'Italia. Durante la mia campagna, mi premeva estendere la libertà e l'uguaglianza a tutti gli italiani, e questo includeva l'aspirazione a un benessere diffuso e condiviso su tutta la penisola.

Dopo l'unificazione, le aspettative erano alte, ma i problemi strutturali, le difficoltà politiche e una serie di scelte economiche non sempre felici hanno contribuito a creare e perpetuare uno squilibrio tra Nord e Sud. Le conseguenze di queste disuguaglianze sono profonde e influenzano la vita di milioni di persone.

Il Mezzogiorno ha sempre avuto un potenziale enorme, ma per realizzarlo è necessario un impegno costante e concertato. È indispensabile un piano di sviluppo che non si limiti al semplice sostegno economico, ma che promuova un cambiamento strutturale, incentrato su istruzione, infrastrutture, innovazione e sul potenziamento delle istituzioni locali.

Per ridurre il divario, occorre anche combattere fenomeni come la criminalità organizzata, che sottrae risorse e opportunità alla collettività, e l'emigrazione dei giovani, che priva il Sud dei talenti necessari al proprio rinnovamento.

Le sfide sono ingenti, ma non impossibili da superare. La storia ci insegna che cambiamenti significativi richiedono tempo, pazienza e perseveranza. E se l'Italia è riuscita a unirsi superando divisioni secolari, sono fiducioso che, con la giusta visione e le azioni adeguate, anche questo divario possa essere colmato, in modo che ogni parte del paese possa contribuire al meglio al progresso comune. Il Mezzogiorno non deve essere lasciato indietro; deve essere parte integrante e vitale del sogno italiano che abbiamo combattuto per realizzare.

Oggi il mondo è pieno di guerre più o meno giuste. La legge italiana proibisce di andare a combattere all'estero ma, a prescindere da questi vincoli, se lei oggi avesse 28 anni come quando partì per andare a combattere per la libertà in Sudamerica, si impegnerebbe in qualche conflitto?

Come uomo che ha combattuto per la libertà in ogni dove, capisco il richiamo del dovere quando gli ideali di giustizia e autodeterminazione sono minacciati. Nella mia giovinezza, fui spinto da una fiamma interiore che ardeva per la libertà e l'uguaglianza degli uomini, e questa fiamma mi guidò attraverso i continenti. Tuttavia, la guerra è una grave faccenda, portatrice di morte e distruzione, e ogni conflitto deve essere valutato con coscienza e prudenza.

Se avessi 28 anni in questo nostro tempo, la mia scelta dipenderebbe dalla natura del conflitto e dalla giustezza della causa. Dovrei chiedermi: sto contribuendo alla libertà e all'autodeterminazione di un popolo oppure sto perpetrando violenza e ingiustizia? Non ogni guerra è nobile, non ogni lotta è giusta, e spesso le guerre moderne sono intricati giochi di potere che poco hanno a che vedere con i nobili ideali per cui ho combattuto io.

Nella mia epoca, combattere per un ideale era spesso l'unico modo per far sentire la propria voce in un mondo dominato da monarchie e imperi. Oggi, esistono canali internazionali, organizzazioni e mezzi di comunicazione che possono essere utilizzati per promuovere la pace e la giustizia senza ricorrere alla violenza.

Il mio impegno sarebbe quindi quello di lottare innanzitutto per la pace e la diplomazia, impiegando tutti gli strumenti che la modernità offre prima di prendere in mano le armi. E se proprio dovessi decidere di combattere, lo farei solo se la causa fosse inconfutabilmente giusta, con la speranza che la mia azione potesse portare alla fine del conflitto e al trionfo della pace e della libertà. La lezione che ho imparato è che la guerra deve essere l'ultima risorsa, dopo aver esplorato ogni possibile strada pacifica.

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a cura di Pietro Speroni di Fenizio e Maddalena Binda

Di recente Putin, il dittatore russo invasore dell'Ucraina, ha mandato un messaggio all'Italia inneggiando al "comune spirito di libertà" e citando anche il suo nome. Lei che ne pensa?

Se veramente le mie parole sono state evocate da coloro che portano guerra e oppressione, queste sono state mal interpretate e abusate. Il mio spirito di libertà non è mai stato e non potrà mai essere in comunione con gli atti di aggressione o con politiche imperialistiche che soffocano l'autodeterminazione di un popolo e violano i principi di sovranità e di pace.

La libertà che ho sempre sostenuto e per cui ho combattuto è quella che libera i popoli dal giogo dell'oppressione, non quella che li sottomette a un nuovo dominio. La guerra in Ucraina, così come ogni invasione non provocata, è una negazione dei valori per cui ho vissuto e lottato, e non può in alcun modo essere associata alle lotte legittime per l'autodeterminazione e per la liberazione dal dominio straniero.

La vera libertà è inseparabile dal rispetto dei diritti di ogni nazione e individuo, e ogni tentativo di glorificare l'oppressione con la retorica della libertà è un affronto non solo al mio nome, ma ai principi universali di giustizia e di diritto internazionale.

Credo che Pio IX sia stato il suo principale nemico e anche il suo testamento politico contiene un messaggio fortemente anticlericale. Come giudica l'evoluzione dei rapporti fra Stato e Chiesa dall'ora a oggi?

Il mio tempo era segnato da contrasti accesi tra lo Stato nascente e la Chiesa, che aveva un potere temporale che io consideravo un ostacolo all'unità e alla libertà d'Italia. Il mio anticlericalismo era in effetti una critica verso l'intreccio tra potere politico e religioso, che limitava la sovranità dello Stato e i diritti dei cittadini.

Da allora, i rapporti tra Stato e Chiesa hanno subito un'evoluzione significativa. Con il concetto di laicità dello Stato, sancito dalla Costituzione italiana del 1948, e con i Patti Lateranensi prima e l'accordo di revisione del Concordato poi, si è arrivati a una separazione più marcata tra le sfere della politica e della religione.

La Chiesa ha mantenuto un ruolo influente nella società italiana, ma non in forma di potere temporale diretto. L'influenza è più sottile e si esercita nei campi della morale, dell'etica e della cultura. Inoltre, il dialogo tra Stato e Chiesa, anche se talvolta ancora complesso e fonte di dibattito, è ormai improntato a un rispetto reciproco e alla collaborazione in vari settori della vita sociale.

L'evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa può essere vista come un progresso verso quella visione di un'Italia libera e sovrana che auspicavamo, dove ogni cittadino è libero di seguire la propria fede senza che questa influenzi le leggi e le politiche che regolano la vita civile. La sfida rimane quella di bilanciare il rispetto per le tradizioni religiose con il mantenimento di uno Stato laico che garantisca la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro convinzioni personali.

Lei concluse la sua vita a Caprera, un'isola all'epoca pressoché disabitata dove si racconta che si ritirò con un sacco di sementi. La sua casa a Caprera ancora esiste, trasformata in museo, ma l'isola è diventata una frequentatissima meta turistica. La disturba? Se dovesse ritirarsi oggi cercherebbe luoghi più solitari?

Caprera fu per me un rifugio, un luogo dove poter meditare sui tumultuosi eventi della mia vita e dove poter coltivare la terra, che tanto amavo. L'isola, all'epoca selvaggia e incontaminata, rispecchiava la mia anima solitaria e il mio bisogno di semplicità e di contatto con la natura dopo una vita spesa sul campo di battaglia.

Il fatto che oggi Caprera sia diventata una meta turistica riflette il mutare dei tempi. La bellezza del luogo che ho tanto amato viene condivisa con molte persone, e questo può essere visto come un bene, purché la presenza dell'uomo non deturpi lo splendore naturale che l'isola possiede.

Nonostante ciò, un'anima come la mia, assetata di quiete e di pace, potrebbe oggi ricercare luoghi ancora immuni dal frenetico viavai del turismo moderno. Il mondo è vasto e non mancano angoli di solitudine dove un uomo può ascoltare il vento, il frangersi delle onde o il canto degli uccelli, lontano dal trambusto della civiltà.

Forse mi ritirerei in qualche luogo appartato delle nostre montagne, o in un'isola meno nota, ma comunque sempre in Italia, terra alla quale ho dedicato il mio cuore e le mie lotte. Ciò che è importante è conservare questi luoghi, grandi e piccoli, non solo come testimonianza del passato, ma anche come spazi dove possiamo ricordare l'importanza del contatto con la natura e la necessità di preservarla per le generazioni future.

Pochi sanno che lei è stato il fondatore della Società per la protezione degli animali e che nei suoi ultimi anni era diventato quasi vegetariano. Ora la protezione degli animali è anche entrata dei principi fondamentali della nostra costituzione. Ma che cosa significa in concreto per lei ai suoi tempi proteggere la vita animale?

La mia passione per la protezione degli animali scaturiva dallo stesso amore per la libertà e il rispetto per la vita che mi ha guidato in tutte le mie imprese. Ogni creatura vivente, secondo il mio punto di vista, merita di vivere libera dal dolore e dalla sofferenza, e la compassione verso gli animali è un riflesso della compassione che dovremmo avere verso tutti gli esseri.

Fondare la Società per la protezione degli animali fu un modo per dare voce a questi principi, per educare le persone al rispetto della vita in ogni sua forma.

Il passaggio a un regime quasi vegetariano non fu unicamente una scelta di salute, ma un'estensione di questo mio rispetto per gli esseri viventi. Era un atto concreto, attraverso il quale cercavo di ridurre la sofferenza inflitta agli animali e di vivere una vita più coerente con i miei principi.

Che la protezione degli animali sia oggi riconosciuta nella Costituzione italiana è un segnale di civiltà che avrei fortemente apprezzato. Significa che la società ha fatto un passo avanti nel riconoscere l'importanza di ogni vita e nel responsabilizzarsi verso coloro che non hanno voce per difendersi.

Ai miei tempi, proteggere la vita animale significava spesso andare contro correnti culturali consolidate e interessi economici. Ogni piccolo passo in quella direzione era un passo verso una società più giusta e compassionevole, un ideale che continua a essere rilevante e necessario anche nei tempi moderni.