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Le guerre di domani: numerose, frammentate, etniche o combattute da milizie mercenarie

Nonostante l’aggressione all’Ucraina, sono in diminuzione i conflitti tra Stati e gli atti di terrorismo, ma aumentano le violenze per contendersi i territori. La crisi climatica è una ulteriore miccia.

di Andrea De Tommasi

Dallo Yemen alla Siria, dall’Etiopia alla Somalia, fino all’Afghanistan e al Nagorno Karabakh. Guerre civili e conflitti prolungati, escalation di violenze, crescenti crisi umanitarie con milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case. Non c’è solo la guerra in Ucraina: in molte parti del mondo si combattono ancora quelle che possono essere descritte come “guerre dimenticate”. Questi conflitti si consumano in gran parte nel sud del mondo e spesso ricevono scarsa attenzione internazionale. Vent’anni fa il commissario europeo per lo sviluppo e gli aiuti umanitari Poul Nielson li ha definiti “fuori dalla mappa”.

Più conflitti, con meno vittime

Il Conflict Data Program dell’università svedese di Uppsala (Ucdp) ha registrato 56 conflitti nel 2020 (l’ultimo anno per cui i dati sono disponibili), il numero più alto dal 1946, per un totale di 81.447 vittime. “Questo fa sembrare che siamo nella peggiore situazione in cui il mondo si sia mai trovato, ma ovviamente le cose non sono sempre come sembrano”, ha detto il direttore della ricerca Aas Rustad. Il numero di persone uccise, infatti, era al minimo dal 2011 e quel numero è in diminuzione dal 2014. Tuttavia, riporta l’Ucdp, diversi conflitti che erano rimasti inattivi per molto tempo si sono nuovamente intensificati e ce ne sono stati di nuovi nel 2020, come quando l’Is (Stato Islamico) in Mozambico ha attraversato il confine con la Tanzania, sfidando il governo nazionale. C’è stato anche un numero crescente di attori che prendevano di mira direttamente i civili.

Lo Yemen è inghiottito da una guerra civile che dura da sette anni. Un conflitto combattuto tra le forze ribelli del gruppo huthi, sostenuto dall'Iran, e le forze governative, sostenute da una coalizione a guida saudita, con un bilancio di circa 400 mila morti. Oltre due milioni di bambini non vanno a scuola a causa del conflitto in corso, mentre circa quattro milioni di persone sono sfollate all'interno del Paese. Inoltre, oltre 16 milioni persone soffrono di fame acuta. Dopo il rinnovo della tregua raggiunta in aprile, molti osservatori intravedono per il Paese la prospettiva della pace.

La guerra civile in Siria si è leggermente affievolita nel 2020. Iniziata nel 2011 come protesta contro il regime di Assad, è rapidamente degenerata in una guerra civile di vaste proporzioni. Il governo siriano ha ottenuto il sostegno di Russia e Iran, mentre i ribelli hanno il supporto di Arabia Saudita e Turchia. Il conflitto continua ancora oggi, con tentativi di risoluzioni diplomatiche che si sono rivelate infruttuose e metà della popolazione che è stata sfollata.

Il Myanmar, scrive l’Ucdp, ha avuto diversi conflitti intrastatali, nonché violenze unilaterali contro i civili da parte del governo. Circa un terzo del territorio della Birmania è controllato da diversi gruppi di ribelli. Nel febbraio 2021, poi, il colpo di stato delle forze armate birmane. Alcune fonti hanno documentato abusi diffusi compiuti dalle forze di sicurezza, che hanno bombardato le aree popolate con attacchi aerei e armi pesanti e prendendo di mira i civili. L’economia è in caduta libera e i sistemi sanitari ed educativi hanno subito effetti devastanti. In Afghanistan la prima metà del 2021 ha visto un numero record di vittime civili poiché i talebani hanno intensificato la loro offensiva militare in coincidenza con il ritiro delle truppe internazionali. Il crollo del governo afgano ha innescato un esodo di massa dei profughi dal Paese e ha esacerbato una già terribile crisi umanitaria. Oltre all’azione dei talebani, l’Afghanistan deve affrontare una minaccia da parte dello Stato Islamico nel Khorasan (Iskp), un’altra organizzazione islamica radicale, che ha ampliato la sua presenza in diverse province orientali, ha attaccato Kabul e preso di mira i civili con attacchi suicidi. In Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell’Azerbaigian, il cessate in fuoco del novembre 2021 ha raffreddato il conflitto armato tra le forze azere e quelle armene per il controllo del territorio. La stabilità si è tuttavia rivelata fugace e negli ultimi mesi diversi incidenti tra le due parti in lotta hanno avuto un impatto diretto sulla vita delle persone. La situazione è tesa, ma difficilmente sfocerà in guerra aperta, tra Marocco e Algeria, protagonisti di una rivalità lunga decenni: il Marocco rivendica la sovranità sul Sahara occidentale come una causa nazionale non negoziabile, mentre l'Algeria sostiene il Fronte Polisario indipendentista. Si teme, invece, una nuova escalation di violenze tra israeliani e palestinesi intorno alla Striscia di Gaza. Lo scorso aprile ci sono stati lanci di razzi di gruppi armati palestinesi e bombardamenti dell’esercito israeliano. 

Poi c’è l’Etiopia, dove i combattimenti, iniziati nel novembre 2020, sono il risultato di una disputa tra il governo federale del primo ministro Abiy Ahmed Aly e il Tpfl, il partito politico dominante del Tigray. Lo scorso dicembre, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione per avviare un’indagine indipendente sulle atrocità commesse dalle due parti in conflitto, ma il governo etiope si è opposto affermando che la risoluzione fosse uno strumento di pressione politica. Gli esperti stimano che negli ultimi 16 mesi circa 500 mila persone siano morte a causa di guerra e carestie nella regione del Tigray. Dalla fine degli anni ’80, la Somalia è stata coinvolta in una lotta di potere tra clan in competizione per il controllo del governo. Negli ultimi anni un esecutivo federale sostenuto a livello internazionale ha iniziato a fare qualche progresso nella ricostruzione del Paese e militanti islamisti sono stati espulsi dalla maggior parte delle grandi città. Hassam Sheikh Mohamud, il presidente eletto dal parlamento nel maggio 2022, dovrà ora affrontare le sfide da parte dei ribelli e dei jihadisti di al-Shabab. In Africa i militanti islamisti hanno esteso la loro influenza sul Sahel e hanno conquistato terreno su nuovi fronti come la Repubblica democratica del Congo. La situazione è critica anche ad Haiti, dopo l’assassinio del presidente Moïse, un terremoto devastante e bande violente sempre più radicate.

Le tendenze

Nonostante l’escalation del conflitto in luoghi come Yemen, Nagorno Karabakh e più recentemente l’Ucraina, il numero di conflitti in tutto il mondo è diminuito dalla fine della Guerra Fredda e pochi di questi sono rimasti scontri tra Stati. La maggior parte dei conflitti contemporanei si manifesta sotto forma di insurrezioni e guerre civili. A dominare il panorama sono ora attori non statali quali milizie politiche, criminali e gruppi terroristici. Allo stesso tempo, i conflitti stanno diventando più frammentati. Se queste tendenze rappresentino fenomeni temporanei o un cambiamento permanente rimane una questione aperta. Nel complesso, i risultati suggeriscono che, nonostante il dramma dell’invasione russa in Ucraina, il conflitto interstatale continuerà a diminuire nel prossimo futuro, o almeno rimanere a livelli storicamente bassi. Molti dei fattori che sono stati identificati come importanti per il declino delle guerre vere e proprie sembrano essere relativamente stabili, ad esempio l’aumento globale della ricchezza e del commercio. Tuttavia l’accettazione di questa ipotesi è vincolata a una serie di potenziali sviluppi. Resta da capire il ruolo che assumerà nei prossimi anni l’estremismo violento. I gruppi jihadisti transnazionali, come Is e al-Qaeda, hanno avuto un forte impatto sui livelli crescenti di violenza negli ultimi dieci anni in molti Paesi, dal Medio Oriente all’Africa. La dichiarata sconfitta dello Stato Islamico in Siria e Iraq è un dato rilevante: ha portato il numero di vittime della violenza organizzata al livello più basso dallo scoppio della guerra civile siriana nel 2011. Tuttavia, i ricercatori sono preoccupati per le recenti tendenze in Africa. "Possiamo vedere che l’Is continua a dominare la tendenza”, ha affermato Therese Pettersson, coordinatrice del Conflict Data Program. “La riduzione dell'escalation in Siria è controbilanciata dall'aumento della violenza in Africa, poiché l’Is e altri gruppi jihadisti transnazionali hanno trasferito lì i loro sforzi”.

L’ultimo trend osservato dall’Onu nel 2020 sull’impatto dell’estremismo violento sui conflitti parlava di un terrorismo che rimane “diffuso” diventando però “meno letale”.A livello globale, nel 2020 (ultimi dati disponibili) il numero di decessi attribuibili al terrorismo è sceso per il terzo anno consecutivo sotto quota 19mila. “Gli attacchi sono diventati meno letali mentre i governi intensificano gli sforzi antiterrorismo, il coordinamento regionale e internazionale e i programmi per prevenire e contrastare l’estremismo violento”. In Europa occidentale, le morti legate al terrorismo sono diminuite drasticamente negli ultimi anni, ma il numero di episodi è aumentato. D’altra parte mai come oggi i gruppi estremisti “riescono a raggiungere un vasto pubblico attraverso internet, consentendo reclutamenti e una propaganda più efficaci, nonché l’acquisto di armi e trasferimenti di denaro non regolamentati”. Non sorprende allora l’escalation di attacchi informatici utilizzati per minare la pace e la sicurezza internazionali: “Il numero di attacchi informatici è raddoppiato nella prima metà del 2019 rispetto alla seconda metà del 2018, la maggior parte dei quali rivolta a produttori, compagnie petrolifere e del gas e istituti di istruzione”, dice ancora l’Onu. Non si può neppure sottovalutare il potenziale impatto dei cambiamenti climatici sulla pressione sulle risorse vitali come cibo e acqua, che in casi estremi potrebbe portare a un crescente conflitto tra gli Stati. Queste pressioni dovrebbero essere avvertite in modo più forte dai Paesi con alti tassi di crescita della popolazione.

martedì 7 giugno 2022