Il governo dei talebani si gioca la sua sopravvivenza sulla guerra dell’acqua
Analisi del New York Times: la popolazione afgana, già provata da guerre e povertà, è particolarmente esposta al surriscaldamento dell’atmosfera.
di William Valentini
Nelle ore in cui vengono diffuse dall’esercito degli Stati Uniti le immagini del maggiore Chris Donahue che sale sull’ultimo cargo C-17 nella notte di Kabul, mettendo ufficialmente fine alla presenza statunitense nel Paese, sono molte e nerissime le nubi che si addensano sul futuro della popolazione afgana.
Al di là della crisi umanitaria che si è consumata intorno all’aeroporto di Kabul; al di là delle notizie di violenze e soprusi perpetrati dai talebani nelle province, esistono altre ipoteche che gravano sulla sicurezza di uomini, donne e bambini afgani che, dopo decenni di conflitti, sono tra le popolazioni più fragili al mondo. Ne ha scritto Somini Sengupta, reporter di guerra per il New York Times, spiegando come “parti dell'Afghanistan si sono riscaldate il doppio della media globale”, mentre le piogge primaverili, normalmente abbondanti, sono andate diminuendo, il che ha colpito soprattutto alcune delle aree agricole più importanti del Paese. “La siccità è sempre più frequente”: negli ultimi tre anni si sono verificati due fenomeni importanti di mancanza di pioggia. Al momento, la siccità è in atto anche nel nord e nell’ovest del Paese. In altre parole, l’Afghanistan attraversa una crisi climatica.
I dati a disposizione non sono molti, ma una recente analisi del Word food program suggerisce che il calo delle piogge primaverili ha interessato gran parte del Paese, ma ha colpito in modo più acuto le province del Nord, dove agricoltori e pastori si affidano quasi interamente alle piogge per coltivare e abbeverare le greggi. Secondo l’analisi, alla base di questi stravolgimenti ci sono le emissioni climalteranti al quale, peraltro, gli afgani non contribuiscono: un afgano medio produce 0,2 tonnellate di anidride carbonica all'anno, rispetto alle quasi 16 tonnellate di uno statunitense medio e alle sette tonnellate di un italiano.
Negli ultimi 60 anni nel Paese le temperature medie sono aumentate nettamente: di 1,8 gradi rispetto al 1950 nel Paese nel suo insieme e di oltre 2 gradi Celsius nel Sud. "Il cambiamento climatico renderà estremamente difficile mantenere - per non parlare di aumentare - i profitti e lo sviluppo ottenuto finora in Afghanistan", hanno avvertito le Nazioni unite in un report del 2016. "Siccità e inondazioni sempre più frequenti e gravi, la desertificazione accelerata e la diminuzione dei flussi d'acqua nei fiumi dipendenti dai ghiacciai del Paese influenzeranno direttamente i mezzi di sussistenza rurali - e quindi l'economia nazionale e la capacità del Paese di alimentarsi".
Questo è il rischio più grande, ha affermato Noor Ahmad Akhundzadah, professore di idrologia all’università di Kabul, intervistato da Somini Sengupta.
A causa dei conflitti, un numero via via crescente di piccoli agricoltori non è stato più in grado di piantare nei tempi dovuti, in modo da ottenere un raccolto sufficiente, mentre la siccità in atto impatterà fortemente anche sul raccolto di quest'anno. Il Programma alimentare mondiale afferma che il 40% dei raccolti è andato perduto. Questo contesto produttivo ha fatto alzare il prezzo del grano del 25%, mentre le scorte alimentari potrebbero esaurirsi entro la fine di settembre. Oggi due milioni di bambini afgani sono malnutriti. Infatti,
“la combinazione di guerra e riscaldamento aggrava i rischi che affrontano alcune delle persone più vulnerabili del mondo -si legge nell’articolo: secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia, l'Afghanistan è il 15° paese più rischioso al mondo per i bambini, a causa dei rischi climatici, come il caldo e la siccità, e un mancanza di servizi essenziali, come l'assistenza sanitaria”.
Tuttavia, come ha segnalato Marshall Burke, professore della Stanford University ascoltato dal New York Times, il cambiamento climatico “non può essere incolpato per nessuna singola guerra, e certamente non per quella in Afghanistan”. Tuttavia, la convergenza dei rischi climatici e dei conflitti aggrava ulteriormente l'insicurezza alimentare ed economica e le diseguaglianze nell’accesso ai servizi essenziali, indebolendo la capacità di governi, istituzioni e società di fornire supporto alle popolazioni già esposte.
Gli effetti del riscaldamento dell’atmosfera agiscono come quelli che gli analisti militari chiamano moltiplicatori di minacce, amplificando i conflitti per l'acqua, togliendo lavoro alle persone dove si vive in gran parte di agricoltura, senza dimenticare che il conflitto stesso consuma risorse. A questo proposito, spiega Akhundzadah, “per dieci anni, oltre il 50 per cento del bilancio nazionale è stato destinato alla guerra”.
Un altro aspetto del problema, che coinvolge in pieno anche lo scenario internazionale, è la coltivazione di papavero da oppio, diffusissima nel Paese. “Gli analisti hanno affermato che i talebani cercheranno di utilizzare un divieto alla coltivazione di papavero per ottenere legittimità da potenze straniere, come il Qatar e la Cina. Ma è probabile che subiranno il rifiuto dei coltivatori, che hanno poche alternative poiché le piogge diventano meno affidabili”. Il cambiamento climatico, dunque, complicherà anche la capacità dei talebani di mantenere la promessa chiave. I papaveri, infatti, richiedono molta meno acqua rispetto, ad esempio, al grano o ai meloni, e sono molto più redditizi. Secondo le Nazioni unite, la coltivazione di papavero impiega circa 120mila afgani e porta un fatturato stimato di 300-400 milioni di dollari all'anno, a sua volta arricchendo il movimento degli studenti coranici. Pertanto, il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce anche per i talebani, osserva il New York Times: la gestione dell'acqua sarà una questione fondamentale per garantire la legittimità del futuro governo presso la cittadinanza, ed è probabile che sarà anche una delle questioni più importanti nelle relazioni dei talebani con i loro vicini.