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Tra slam poetry e riuso, storie di volontariato climatico

Mentre il volontariato italiano è in crisi, l'attivismo climatico continua a coinvolgere i giovani. Abbiamo parlato con loro di lotta per il futuro.

di Giovanni Peparello

martedì 21 maggio 2024
Tempo di lettura: min

Il volontariato italiano è in crisi, i volontari diminuiscono e aumenta l’età media. In questo contesto, continuano a resistere forme di volontariato e attivismo giovanile che lottano contro la crisi climatica. Abbiamo raccolto le testimonianze di quattro giovani volontarie e attiviste climatiche per cercare di capire, attraverso il loro esempio, come è possibile mettere a disposizione il proprio tempo e la propria creatività per il futuro dell’umanità. Tra nuovi record di temperatura e aumento di eventi estremi, anche la sensibilizzazione e la lotta allo spreco diventano una forma di protezione civile.

Per un’idea di futuro, contro l’indifferenza
Questo tipo di impegno giovanile parte sempre da uno sguardo incrollabile rivolto al futuro. “La verità è che la più profonda matrice dell’attivismo risiede nel convinto e accorato bisogno di futuro, un bisogno a cui la società e chi governa non hanno saputo rispondere, di fronte al quale non è possibile restare indifferenti” ci racconta Lotta, artivista climatica, che fa della musica il veicolo delle proprie battaglie di sensibilizzazione.

Lotta: l’attivismo, la musica, la voce ascoltata
“Spesso l’impegno civico che l’attivismo porta avanti è letto con un occhio carico di pregiudizi, perché capita che le azioni delle attiviste e degli attivisti risultino divisive”, racconta Lotta, spiegando la propria esperienza. Per Lotta “fare attivismo” vuol dire “direzionare le proprie ambizioni e le proprie passioni verso un fine che travalica il quotidiano, per proiettarsi sul futuro dell’intera umanità, della nostra e delle future generazioni”. Tanti attivisti hanno scelto la via dell’arte: da qui il concetto di artivismo climatico, che Lotta si dice “fiera di poter rappresentare”. Questo è valido per lei, ma anche per chiunque scelga altri tipi di impegno, connaturati alle loro attitudini e alle loro capacità. “La sfida è trovare anche la propria realizzazione personale nella battaglia in cui siamo chiamati”. La capacità di Lotta è stata quella di riuscire a capire di poter unire la sua passione per la musica alla missione di combattere la crisi climatica. “Mi sono accorta che gridando non venivo ascoltata – ha raccontato – e appena ho iniziato a cantare sono riuscita a catturare anche gli sguardi più diffidenti, trasformando l'indifferenza in attenzione, perché lavorare sulle emozioni prima che sulla razionalità è incredibilmente più efficace per veicolare un messaggio”.

Niente deve andare sprecato
Letizia Baldetti ci ha raccontato l’esperienza di Clothest, di cui è fondatrice e coordinatrice, un progetto che nasce con l’idea di vendere i vestiti usati per sostenere gli ospiti della Casa Famiglia di Montevarchi (AR). “L’idea di questo progetto per me è venuta abbastanza normalmente – spiega Baldetti – insieme al gruppo di giovani con cui facevamo volontariato”. 

Clothest: l’usato diventa patrimonio sociale
“Avevamo praticamente un’intera stanza di vestiti usati che arrivavano in Caritas e non erano adatti alla distribuzione ai poveri”, racconta Baldetti. Sciarpe, foulard di seta, vestiti di paillette: in generale il vestiario è una di quelle cose che se avanza o invecchia viene buttata, senza possibilità di riutilizzo. “Ci siamo interrogati per capire se riuscivamo a sfruttare tutto – spiega Baldetti – quindi ci è venuta l’idea di prendere i capi migliori e di rivenderli, e di dare il ricavato alle persone povere che già stavamo aiutando”. Il ricavato di ogni vendita, al netto delle spese di lavanderia e spedizione, viene donato alla Casa Famiglia di Montevarchi, che accoglie circa una quarantina di persone. Un processo che ha portato a una riflessione su quanto e come si consuma. Sempre per questo motivo Clothest ha scelto di vendere online e di non avere un negozio fisico. “Volevamo diffondere e incoraggiare l’idea di avere nell’armadio almeno un capo second hand a stagione”. Il cambio di ottica è che ogni cosa può essere riutilizzata, diventando un patrimonio sociale. Perché un capo non indossato e rivenduto può diventare una bolletta pagata o un pasto caldo per qualcuno. “Ora dobbiamo riuscire a dare lavoro alle stesse persone che poi aiutiamo – racconta Baldetti – e il nostro sogno sarebbe quello di sostenere qualche tipo di attività anche in carcere”. Perché niente deve andare perduto, neanche le vite delle persone. 

La parola e il teatro al servizio del clima
Giuliano Logos si occupa di poesia performativa, cioè un tipo poesia che combina scrittura e performance teatrale, in cui le parole sono tanto importanti quanto il modo in cui le si pronuncia, e la performance fisica che le accompagna. Logos si occupa di temi ampi, che spaziano anche verso la crisi climatica, e nel 2021 è stato il primo italiano a vincere la coppa del mondo di poetry slam. 

Giuliano logos: la poesia e la divulgazione
L’esperienza di Logos è partita dal rap e è arrivata fino alla poesia performativa. Inizialmente il collettivo rap di Logos aveva interesse a scrivere di cose che uscivano un po’ dalle classiche tematiche affrontate dalla scena rap. Poi è arrivato il poetry slam, la poesia performativa. Da lì è partito tutto: la fondazione del collettivo pugliese, la fondazione del collettivo romano di cui attualmente Logos è presidente. “Ci occupiamo del format del poetry slam ma non solo, utilizziamo la poesia performativa per poter veicolare tematiche di tipo sociale e ambientale, che spaziano a 360 gradi in tutto ciò che sentiamo essere importante”. Logos ha un background in giurisprudenza, in relazioni internazionali e comunicazione d’impresa, ha lavorato in uno studio legale internazionale del dipartimento energia rinnovabile, ma anche per una Ong che si occupa di tutela dell’ambiente e delle oasi in Nordafrica. “Tutto questo ha fatto in modo che in me si depositasse una costellazione di informazioni vario tipo. A me piace molto avere un approccio che unisce dati e componente emotiva, veicolandoli raccontando storie o cercando di portare l’ascoltatore attraverso la voce poetica a riflettere su determinate tematiche, in modo che rimangano impresse”. 

Plastic Free: basta plastica monouso
Plastic Free è un’associazione onlus che propone la sensibilizzazione contro la plastica monouso a livello nazionale attraverso diverse attività, come la raccolta della plastica monouso, la sensibilizzazioni nelle scuole di ogni ordine e grado, il salvataggio delle tartarughe marine, che vengono curate nei centri in Puglia, in Sicilia e in Emilia-Romagna. A monte di tutto c’è il costante dialogo con le istituzioni: non solo le amministrazioni comunali, ma anche altri enti come l’aeroporto di Bologna, che è diventato il primo al mondo a installare erogatori di acqua potabile gratuita. Angelica Pantarelli è la coordinatrice regionale di Plastic Free in Emilia-Romagna, e ci ha raccontato la sua esperienza di volontaria, che si è sviluppata quasi in parallelo con la crescita della onlus. 

Il coinvolgimento della cittadinanza
Plastic Free ha la capacità di riuscire a coinvolgere la cittadinanza, anche se dipende moltissimo dal tipo di territorio: come ci ha spiegato Pantarelli, a volte bisogna necessariamente collaborare con altre associazioni. Con alcune realtà collaborare “è bellissimo”; per esempio, racconta Pantarelli, “in Sicilia abbiamo fatto un patto di collaborazione con l’Avis, quindi ogni volta che noi creiamo un evento di raccolta delle plastiche monouso l’Avis viene con il suo gazebo per divulgare sulla donazione del sangue e sui suoi benefici”. 

Qui non c’è nessuna Cassandra: l’ottimismo della volontà
C’è poi spazio anche per considerazioni sulle affinità e le differenze tra volontariato e attivismo climatico. “Io credo moltissimo in quello che facciamo – spiega Angelica Pantarelli – ma spesso sono tentata di conoscere di più il mondo dell’attivismo, come Ultima Generazione o Fridays For Future. Plastic Free in pochissimo è cresciuta esponenzialmente anche per via del tipo di ottimismo che cerca di instaurare nei suoi volontari e nelle sue attività”. L’ottimismo e la positività forniscono un’energia di cui bisogna avere cura costante, perché può aiutare cambiare anche la prospettiva di chi ignora il problema. Ma il punto di vista dell’attivismo è ugualmente valido, e anzi per Pantarelli è addirittura “un po’ più importante”: “Noi volontari troviamo il tempo per andare a raccogliere le plastiche monouso; mentre gli attivisti giustamente mettono il focus sul fatto che di tempo non ce n’è più. Io sono convinta che tra qualche decennio città come Roma e Venezia non saranno più vivibili, o posti come le Maldive scompariranno. Eppure continuo la mia attività”. Questo contrasto paradossale tra ottimismo e pessimismo, o meglio tra ottimismo e realismo, Pantarelli lo vive ogni giorno. Un po’ come nel celebre motto di Antonio Gramsci, secondo cui bisogna agire con “il pessimismo dell’intelligenza” e “l’ottimismo della volontà”. Questo tipo di lotta politica può essere sovrapposto alla lotta climatica di cui abbiamo parlato: nessuna forza radicale di trasformazione può essere ottimista di fronte allo stato del mondo, alle condizioni materiali e alle catastrofi che ci attendono in fondo al decennio, ma ciò non significa che dobbiamo limitarci a essere delle Cassandre che annunciano il disastro a braccia incrociate. Bisogna essere pessimisti, realisti rispetto allo stato del mondo, ma continuare a organizzarci e ad agire, come ci dimostrano la forza e l’esempio delle organizzazioni, degli attivisti e delle volontarie climatiche che abbiamo ascoltato.

Copertina:  Angelica Pantarelli, via Facebook