Il problema dell’Ue con la plastica: la produzione aumenta e il riciclo non funziona
Un’inchiesta di Investigate Europe mette in luce le difficoltà sugli obiettivi di economia circolare, mentre cresce il mercato nero. Esistono però alcuni casi di successo.
di Tommaso Tautonico
Era il 2015 quando l’Ue ha presentato per la prima volta il “Circular economy action plan”. Ma a distanza di sette anni, l’inchiesta “Wasteland” lanciata da Investigate Europe, la rete europea di giornalisti d’inchiesta, mette in luce i fallimenti europei per tentare di chiudere il cerchio della plastica.
Ad oggi il 60% dei rifiuti di imballaggi in plastica in Europa non viene riciclato. Milioni di tonnellate finiscono nelle discariche e negli impianti di incenerimento. Solo in Polonia, denominata la “discarica d’Europa” ci sono piani per realizzare 39 nuovi impianti, finanziati con 1,3 miliardi di euro della Banca europei per gli investimenti. Nella Repubblica Ceca sono previsti cinque nuovi impianti.
Tuttavia, l'attività di incenerimento potrebbe diventare meno redditizia a partire dal 2028, quando l'Ue includerà gli impianti nel sistema europeo di scambio di quote di emissione, costringendoli a pagare le loro emissioni di gas serra. Ma sino ad allora, gli impianti di incenerimento continueranno a bruciare plastica.
Fra vasetti di yogurt, cartoni del latte, flaconi di shampoo e tubetti di dentifricio, evidenzia l’inchiesta, gli europei producono in media 35 kg di rifiuti di imballaggi in plastica all'anno. Secondo l'Ocse, il consumo di plastica triplicherà entro il 2060. Imballaggi e buste della spesa accumulati nella vita quotidiana non vengono riciclati e finiscono nelle discariche o negli inceneritori.
La mancanza di riciclaggio è accompagnata da un'enorme domanda di nuova plastica, con conseguenze drammatiche per l’ambiente. Alcuni ricercatori statunitensi prevedono che la produzione e lo smaltimento della plastica saranno responsabili, entro il 2050, del 15% delle emissioni globali di CO2.
Ogni anno 11 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono negli oceani. Entro il 2030, questa quantità potrebbe raddoppiare se i politici, le imprese e le persone non passano all’azione.
Traffici illeciti
Per diversi anni, i Paesi europei hanno spedito all’estero i propri rifiuti plastici, ma da quando i Paesi asiatici, in particolare la Cina nel 2018, hanno vietato le importazioni, la plastica viaggia in tutta Europa. Nonostante le lacune nei dati ufficiali, i Paesi dell'Ue hanno spedito, nel 2021, circa 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Rifiuti che non finiscono negli impianti di riciclaggio, ma in discariche illegali, con un prezzo decisamente più economico rispetto ai percorsi legali verso gli impianti di riciclaggio.
La responsabilità del produttore e il design circolare
Mentre le operazioni illecite legate al riciclo dei rifiuti plastici sono spesso difficili da individuare a causa del ridotto personale ispettivo, i produttori di materie plastiche continuano ad aggravare il problema dei rifiuti, nonostante la responsabilità estesa del produttore (Extended producer responsibility, Epr), un meccanismo che sanziona chi inquina lungo l'intero ciclo di vita del prodotto. Germania, Francia, Italia e Paesi Bassi hanno adottato questo principio alla fine degli anni '90, ma si sono concentrate quasi esclusivamente sul fine vita, e non essendoci obiettivi obbligatori o sanzioni per coloro che utilizzano un mix di materie plastiche diverse nelle loro bottiglie o scatole, molti prodotti sono non riciclabili.
Il motivo per cui spesso solo una parte della plastica può essere riciclata negli impianti specializzati è il design. Una bottiglia di ketchup o di shampoo, ad esempio, può essere composta da tre o quattro tipi di plastica diversa. Questi non possono essere fusi insieme, poiché hanno punti di fusione diversi. Di conseguenza, possono essere solo inceneriti o inviati in discarica. Per chiudere il ciclo, la progettazione della confezione deve essere modificata. Ma finora sta accadendo il contrario. Secondo la società di consulenza Changing Markets, i produttori di materie prime hanno aumentato la quantità di plastica economica, flessibile e multistrato, rendendo impossibile il riciclo di molti prodotti a fine vita.
La Direttiva del 2019 sulla riduzione dell’uso di plastica prevede restrizioni di mercato e impone ai produttori degli imballaggi che il materiale usato per produrre i contenitori debba ricorre ad una determinata percentuale di plastica riciclata. L'industria sta protestando contro questi obiettivi obbligatori proposti dalla Commissione Ue, ma anche se le misure dovessero prevalere, secondo Helmut Maurer, ex esperto di materie plastiche della Commissione europea, potrebbero non essere sufficienti. Secondo Maurer il prezzo dell'imballaggio dovrebbe essere aumentato, riflettendo il suo impatto climatico e ambientale, incentivando le persone a produrre meno rifiuti possibile.
Il futuro potrebbe essere il Deposit return system?
I programmi in cui i clienti sono incentivati a riciclare sono un grande successo nelle nazioni del nord Europa, ma non è così ovunque. Il Deposit return system (Drs), sistema in base al quale i consumatori che acquistano un prodotto pagano una somma aggiuntiva di denaro (deposito cauzionale) che verrà rimborsata al momento della restituzione del contenitore presso un punto di raccolta, è attivo sin dal 2007 in 13 Paesi europei: Svezia, Islanda, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Estonia e Croazia. In particolare, la Norvegia è un modello mondiale per il recupero e il riciclaggio di contenitori per bevande, con un’infrastruttura efficiente e un valore di deposito competitivo. Nei successivi quattordici anni, solo la Lituania ha aderito al sistema, tornato sotto i riflettori dopo la Direttiva sulla plastica monouso del 2019, che fissa un obiettivo del 77% di raccolta differenziata delle bottiglie di plastica entro il 2025 e del 90% entro il 2029. Slovacchia, Lettonia e Malta hanno implementato un Drs nel 2022, mentre Portogallo, Romania, Irlanda, Ungheria e Austria lo faranno entro il 2025. I tre maggiori Paesi del sud Europa, Francia, Italia e Spagna, al momento non risultano aver preso una decisione al riguardo. L'Italia ha effettivamente fornito un Drs per i contenitori per bevande monouso nel 2021, ma manca ancora il decreto attuativo per rendere effettiva la legge. Secondo un rapporto del 2020 della Corte dei conti europea, le nazioni che hanno adottato un Drs hanno raccolto in media più dell'80% delle bottiglie in pet rispetto al 58% in tutta l'Ue.
Un Drs, evidenzia l’inchiesta, aumenta anche la purezza del materiale raccolto e quindi la qualità di quanto si recupera. La purezza è fondamentale per raggiungere l'obiettivo di circolarità della plastica stabilito nella Direttiva del 2019, che impone che le bottiglie in pet nell'Ue contengano almeno il 25% di plastica riciclata entro il 2025 e il 30% entro il 2030. Tuttavia, il Drs non ha solo vantaggi. Ha costi operativi importanti, legate all’acquisto o al leasing delle macchine e al lavoro di raccolta e trasporto dei rifiuti.
L’approccio alternativo dell’Italia. In Italia il Consorzio nazionale imballaggi (Conai), afferma che il sistema Drs è “un'inutile duplicazione di costi economici e ambientali”. L'alternativa proposta da Conai è “affiancare sistemi di raccolta tradizionali e differenziati”. Quest'ultimo è stato avviato in Italia da Coripet, un consorzio che riunisce i produttori di imballaggi in pet, che dal 2021 ha installato oltre 800 ecocompattatori “bottle in one” dove gli utenti ricevono punti per sconti nei negozi e la possibilità di vincere premi.“
L'obiettivo è superare i 5mila ecocompattatori entro il 2026. Siamo convinti di raggiungere gli obiettivi che l'Ue ci chiede”, ha affermato Corrado Dentis, presidente di Coripet. Tuttavia, meno dell'1% dei 372.000 pet raccolti nel 2021 è arrivato tramite ecocompattatori.
Coripet stima che al 2025 l'Italia dovrebbe raggiungere il 64% delle bottiglie in pet, non vicino all'obiettivo dell'Ue del 77% per il 2025, ma nemmeno fuori portata. Un cittadino italiano potrebbe legittimamente chiedersi: perché dobbiamo accontentarci del 77% quando in Norvegia, grazie al Drs, è del 99%?