Africa: un crogiolo di creatività
Il continente africano è diventato un importante laboratorio di prova per l’innovazione globale. Se è possibile creare un prodotto o un modello d’impresa abbastanza solido da avere successo in Africa, è probabile che sarà competitivo in molte altre regioni del mondo. Non vanno però minimizzate le sfide.
di Acha Leke e Saf Yeboah-Amankwah
Quante sono le aziende in Africa che hanno ricavi annui pari o superiori a un miliardo di dollari? La maggior parte dei manager internazionali con cui ci capita pensa che siano meno di cento. Molti rispondono “zero”. La realtà? Sono ben quattrocento e in media crescono più in fretta e sono più redditizie delle loro controparti nel resto del mondo.
Abbiamo seguito molte di queste società, durante la loro rapida espansione dentro e fuori i confini dell’Africa, e abbiamo osservato un inatteso effetto collaterale di questa esplosione della crescita: l’Africa è diventata un importante laboratorio di prova per l’innovazione globale. Se è possibile creare un prodotto, un servizio o un modello d’impresa abbastanza economico e solido da avere successo in Africa, è probabile che sarà competitivo in molte altre regioni del mondo.
Non vanno però minimizzate le sfide che comporta fare impresa in Africa, di cui gli imprenditori sono ben consapevoli. Per esempio, se le infrastrutture sono inadeguate, molto probabilmente le aziende avranno bisogno di costruirsi da soli le catene logistiche, e se l’istruzione pubblica è inadeguata, dovranno prevedere una formazione per far acquisire ai lavoratori competenze e mentalità di base. Ma come vedremo, queste sfide offrono anche opportunità per creare valore.
Per aiutare i dirigenti e gli imprenditori internazionali a individuare le innovazioni africane da cui poter imparare, con cui poter collaborare o in cui poter investire, abbiamo abbozzato una tassonomia di sei tipi di innovazione, descritte qui di seguito. La tecnologia è il filo conduttore: forse più di qualsiasi altra regione, l’Africa sta sperimentando innovazioni digitali che possono aiutare le aziende a superare barriere radicate e a sbloccare progressi esponenziali.
Iniziative high-tech e low-tech per l’inclusione finanziaria
Nelle economie emergenti, due miliardi di individui e 200 milioni di imprese non hanno accesso al risparmio e al credito, e molti di coloro che ce l’hanno pagano profumatamente per avere in cambio una modesta gamma di prodotti. Il problema non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, tutt’altro: negli Stati Uniti, una famiglia su 14 – nel complesso circa nove milioni di famiglie – non ha un conto corrente o un conto deposito, spesso semplicemente perché non se lo può permettere. Altri 24 milioni non hanno un accesso adeguato ai servizi bancari: hanno un conto corrente, ma ricorrono anche a prodotti e servizi finanziari costosi al di fuori del sistema bancario, come i payday loans (prestiti di piccole somme a breve scadenza e senza garanzie, da rimborsare al ricevimento della busta paga successiva).
Per servire le famiglie escluse – e farlo in maniera redditizia e sostenibile – le banche e le altre imprese devono impiegare soluzioni basate sulla tecnologia e soluzioni alternative a basso livello di tecnologia. Le aziende africane forniscono esempi convincenti di entrambe le cose. Prendiamo in considerazione la Equity bank, nata in Kenya nel 2004 da una piccola società di costruzioni. Nel 2017 contava oltre 12 milioni di clienti in tutta l’Africa orientale, più di cinque miliardi di dollari di attività e utili per 270 milioni di dollari al lordo delle imposte. James Mwangi, amministratore delegato e fondatore, ci ha detto che lo scopo della banca è “risolvere un problema sociale: la mancanza di accesso ai servizi finanziari”. La questione lo tocca molto da vicino. “Sono cresciuto in una zona rurale e mia madre non aveva un conto in banca”, ci ha raccontato. “La filiale più vicina era a 50 chilometri di distanza e il saldo minimo di apertura equivaleva a parecchi anni di guadagni per mia madre”. I keniani pensavano che l’unica alternativa fosse tenere i soldi sotto il materasso.
All’inizio del Ventunesimo secolo, in Kenya, meno di un adulto su 10 aveva un conto in banca. Oggi, grazie in gran parte alle innovazioni della Equity bank, la percentuale è salita ai due terzi della popolazione. “Sapevamo di dover rispondere alle esigenze di persone come mia madre”, ha detto Mwangi. Ben prima che si affermasse il mobile banking, la Equity bank introdusse un mobile banking letterale: mini-filiali bancarie che entravano nel retro di una Land Rover e venivano trasportate da un villaggio all’altro. L’innovazione più famosa della banca, però, è il suo modello di agency banking: ha accreditato come agenti più di 30mila negozietti al dettaglio in tutto il Paese, che possono accettare depositi e dispensare contante.
Accanto a queste innovazioni low-tech, la Equity bank ha sfruttato la crescita esponenziale della telefonia mobile in Africa: nel 2000 l’intera regione subsahariana aveva meno linee telefoniche dell’isola di Manhattan; nel 2016 c’erano oltre 700 milioni di connessioni di telefonia mobile in tutto il continente, all’incirca una per ogni individuo adulto. I telefoni cellulari hanno trasformato la vita degli africani sotto molti aspetti importanti, per esempio sostituendo le transazioni in contanti con pagamenti mobili immediati e sicuri. Oggi nell’Africa subsahariana ci sono 122 milioni di conti di mobile money attivi, che offrono servizi di pagamento e trasferimento di denaro attraverso la rete mobile, più che in qualsiasi altra regione del mondo. Questa crescita ha permesso alla Equity Bank di andare oltre le Land Rover e creare un autentico sistema di mobile banking tramite Equitel, la sua applicazione di servizi bancari per smartphone, lanciata nel 2015. La Equitel ora gestisce la stragrande maggioranza delle operazioni in contanti e delle erogazioni di prestiti della Equity bank, contribuendo a rendere la banca estremamente efficiente in termini di costi.
Nuove partnership per lo sviluppo delle infrastrutture
Sia i Paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo hanno evidenti lacune nelle infrastrutture di trasporto, elettriche e idriche, e nelle infrastrutture “leggere”, come le strutture sanitarie. Si stima che il divario complessivo fra la spesa infrastrutturale corrente e quella che sarebbe necessaria ammonti a 350 miliardi di dollari l’anno; se non si colma questo divario, la crescita rallenterà e le città in rapida espansione saranno sottoposte a pressioni enormi. In nessun luogo il divario è maggiore che in Africa: quasi 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità, per esempio. Questa carenza ha stimolato alcune audaci collaborazioni pubblico-privato che potrebbero fungere da modello per altre regioni.
Un esempio calzante è costituito dagli accordi bilaterali “azienda-Paese” fra la General electric e vari Governi africani, che rappresentano una nuova frontiera nell’approccio del colosso americano ai clienti del settore pubblico. L’accordo della General Electric con la Nigeria, per esempio, contribuisce al finanziamento, progettazione e costruzione di infrastrutture vitali, con progetti che includono lo sviluppo di 10.000 megawatt di capacità di produzione di energia elettrica, la riqualificazione delle infrastrutture aeroportuali, la modernizzazione ed espansione delle locomotive della società che gestisce le ferrovie nazionali e la costruzione di ospedali pubblici e centri diagnostici. Jay Ireland, ex presidente e amministratore delegato della Ge Africa, da poco in pensione, descrive l’approccio come “un accordo quadro che ha collegato le nostre capacità aziendali alle questioni che il paese stava affrontando, come il potenziamento della capacità elettrica della rete, il rafforzamento della logistica e il miglioramento delle prestazioni del sistema sanitario”.
Altri innovatori africani stanno sfruttando il mobile money, insieme ai progressi nel settore dell’energia solare e delle batterie, per aggirare le lacune del continente nella produzione di energia elettrica. Un esempio è la M-Kopa, con sede in Kenya, che offre soluzioni per produrre e stoccare energia solare a prezzi abbordabili alle famiglie che non hanno accesso alla rete (e rateizza i pagamenti su un periodo di 12 mesi tramite conti di mobile money). Da quando è stata fondata, nel 2011, la M-Kopa ha venduto oltre 600mila kit domestici e raccolto investimenti da varie multinazionali, fra cui la giapponese Mitsui. Un altro esempio è la Fenix, con sede in Uganda, che ha venduto 140mila kit di energia solare, anche grazie al mobile money. Alla fine del 2017 la Fenix è stata rilevata dalla francese Engie, una delle principali compagnie energetiche mondiali, nel quadro di un’iniziativa tesa a utilizzare le tecnologie digitali per fornire a 20 milioni di persone in tutto il mondo energia decarbonizzata e decentralizzata entro il 2020.
Approcci intelligenti all’industrializzazione
Il settore manifatturiero è un altro degli ambiti dove l’Africa produce innovazioni rilevanti anche per altre regioni che cercano di costruire o rivitalizzare la propria base industriale per soddisfare la domanda locale e creare posti di lavoro stabili. Il nigeriano Aliko Dangote è un pioniere in questo settore: le sue Dangote Industries hanno raggiunto l’obiettivo, apparentemente impossibile, di costruire aziende manifatturiere su larga scala quando il Paese era afflitto da interruzioni di corrente croniche, volatilità dei tassi di cambio e altri impedimenti, come lo scarso sviluppo delle catene logistiche locali e la carenza di competenze tecniche. “Sapevamo che tutti quelli che si erano lanciati nel settore industriale in Nigeria avevano cessato l’attività”, ci ha detto Dangote. Perciò ha costruito un modello di produzione a prova d’urto, che includeva integrazione verticale, produzione di energia in loco, forte coinvolgimento con il settore pubblico e un’accademia di produzione manifatturiera interna. Oggi il suo gruppo produce pasta, zucchero, sale, farina, plastica e cemento in grandi volumi, a cui presto si aggiungeranno petrolio raffinato e fertilizzanti, tutti prodotti che la Nigeria ha sempre importato. L’azienda ha creato 30mila posti di lavoro e ha fatto di Dangote la persona più ricca di tutta l’Africa.
L’Africa è sede anche di un crescente gruppo di industrie innovative, da quella automobilistica a quella chimica, che unisce le tecnologie più all’avanguardia con i vantaggi della forza lavoro del continente per soddisfare sia la domanda africana che quella mondiale. Secondo un’analisi del McKinsey Global institute, ci sono enormi potenzialità per aumentare la produzione di queste “innovazioni globali”, che potrebbero consentire all’Africa di raddoppiare la sua produzione industriale nell’arco di un decennio. In Marocco, per esempio, l’industria automobilistica ha moltiplicato i suoi proventi da esportazioni di 12 volte, portandoli dagli 0,4 miliardi di dollari a cinque miliardi in 10 anni e creando 67mila posti di lavoro nello stesso periodo. Le case automobilistiche francesi Renault e Peugeot hanno investito, fra tutte e due, oltre 2 miliardi di dollari per creare una capacità di assemblaggio per 650mila automobili e 200mila motori. Il Marocco, inoltre, ha costruito industrie nel settore aerospaziale e in altri settori avanzati. In queste industrie africane ad alta tecnologia, le aziende utilizzano sia automazione che manodopera qualificata. E la cosa è perfettamente logica: in Marocco, per esempio, la manodopera costa un terzo rispetto ai Paesi europei dove il costo del lavoro è più basso. E la forza lavoro africana si espande rapidamente: entro il 2034 avrà superato quella della Cina e quella dell’India. Entro il 2050 la popolazione in età lavorativa del continente supererà il miliardo e mezzo di persone.
Nuovi modelli di produzione alimentare
Più di 800 milioni di persone in tutto il mondo – l’11% della popolazione mondiale - soffrono la fame. La stragrande maggioranza si trova nei Paesi in via di sviluppo, con 520 milioni in Asia e 240 in Africa. Ma la fame affligge anche molte famiglie a basso reddito delle nazioni ricche, fra cui oltre 40 milioni di persone negli Stati Uniti. L’Onu si è posta l’obiettivo di azzerare la fame entro il 2030. Per raggiungere questo traguardo, il settore agricolo dovrà intensificare le innovazioni tecnologiche e gestionali per migliorare i raccolti e le aziende del comparto alimentare dovranno creare alimenti nutrienti e a buon mercato, e riconfigurare i sistemi di distribuzione per portarli sulla tavola di quelli che ne hanno bisogno. L’Africa vanta innovazioni interessanti in tutti questi campi.
Prendiamo l’esempio della Babban Gona (“grande fattoria” in lingua hausa), un’impresa sociale nigeriana che serve reti di piccoli coltivatori. I suoi membri ricevono sviluppo e formazione, credito, fattori di produzione agricola, supporto alla commercializzazione e altri servizi chiave. Dalla sua fondazione, nel 2010, la Babban Gona ha arruolato oltre 20mila agricoltori nigeriani, che hanno, in media, più che raddoppiato i loro rendimenti e aumentato il loro reddito netto, triplicando la media nazionale. I piccoli coltivatori che partecipano al progetto, in genere considerati ad alto rischio creditizio, hanno un tasso di rimborso del 99,9% sul credito ottenuto attraverso il programma. Il fondatore di Babban Gona, Kola Masha, mira ad arruolare nel programma un milione di agricoltori entro il 2025, fornendo così mezzi di sussistenza a 5 milioni di persone. In tutto il continente sono stati lanciati altri progetti incentrati sui piccoli coltivatori e anche le grandi aziende agricole stanno aumentando le dimensioni e la produzione. Insieme, questi sforzi potrebbero cancellare una volta per tutte la piaga delle carestie in Africa. La nostra analisi dimostra che, se replicati su tutto il continente, gli incrementi di produzione facilitati dalla Babban Gona non solo basterebbero a sfamare la crescente popolazione africana ma potrebbero anche essere esportati in altre regioni.
La “rivoluzione verde” dell’Africa sta subendo un’accelerazione grazie a una nuova generazione di imprenditori del settore tecnologico. Una di questi è Sara Menker, ex trader in materie prime a Wall Street, di origine etiope. Ha capito che agricoltori e investitori non disponevano delle informazioni necessarie per scegliere le colture su cui puntare e i mercati su cui vendere il raccolto, gestire gli aspetti meteorologici e altri rischi e capire esattamente dove e quando investire in infrastrutture. Così ha creato la Gro intelligence, che definisce “una Wikipedia dell’agricoltura, ma con in più un motore analitico molto approfondito”. Con uffici a Nairobi e New York, la società ha clienti che vanno da alcuni dei fondi sovrani e degli hedge fund più importanti ai singoli trader in materie prime in Africa e nel resto del mondo. Altre startup digitali forniscono raccomandazioni di coltivazione, previsioni meteorologiche e consigli finanziari e aiutano gli agricoltori a misurare e analizzare i dati del suolo, in modo da applicare il fertilizzante giusto e irrigare in modo ottimale le loro fattorie.
Generi di consumo accessibili e a buon mercato
Produrre più cibo è un passo fondamentale per azzerare la fame, ma è altrettanto importante che le persone comuni abbiano accesso a pasti nutrienti ed economici. Venduti in pacchetti monoporzione per l’equivalente di meno di 20 centesimi di dollaro, questi noodles possono essere cotti in meno di tre minuti, e abbinati a un uovo forniscono un pasto nutriente. La Dufil prima foods li introdusse in Nigeria nel 1988. Ebbero subito successo e l’azienda, che prima li importava, presto decise di produrli localmente. L’amministratore delegato Deepak singhal ci ha detto: “Abbiamo creato un alimento importante per la Nigeria. E in 10-15 anni siamo diventati un marchio famoso”.
La Dufil ha anche introdotto un’innovazione indispensabile per fare arrivare i noodles Indomie sulla tavola di tutti i consumatori nigeriani: una rete di distribuzione “capillare” di oltre 1.000 veicoli, fra cui motocicli, camion e furgoncini a tre ruote. Quando i distributori non possono proseguire oltre su un veicolo, continuano a piedi. Si è trattato di un’innovazione cruciale, perché la via per arrivare ai consumatori passava attraverso migliaia di piccoli punti vendita spesso informali, e non attraverso una rete organizzata di supermercati. L’approccio distributivo della Dufil ha attirato l’attenzione a livello internazionale: nel 2015 la Kellogg ha investito 450 milioni di dollari per acquisire una partecipazione del 50% nella branca vendita e distribuzione per l’Africa occidentale della società madre degli Indomie, la Tolaram Africa, e nel 2018 ne ha sborsati altri 420 per acquisire una partecipazione nell’attività di produzione alimentare della Tolaram.
Anche in questo caso, le innovazioni nel settore dei beni di consumo in Africa vengono accelerate da iniziative coraggiose di imprenditori del settore tecnologico. Pensiamo a Jumia, una piattaforma per il commercio elettronico. Lanciata nel 2012, oggi ha più di 2 milioni di clienti attivi in 13 Paesi africani e le sue vendite raddoppiano ogni anno. Anche se la Jumia non ha ancora realizzato pienamente il suo modello d’impresa (né i profitti), ha attirato centinaia di milioni di dollari di investimenti da parte della Goldman Sachs e di altri. Il francese Sacha Poignonnec, co-amministratore delegato della Jumia, sottolinea che in Africa c’è un negozio al dettaglio formale ogni 60.000 persone, mentre negli Stati Uniti la proporzione è di uno a 400. “Negli Stati Uniti, il commercio elettronico sta lentamente cambiando abitudini di acquisto vecchie di secoli. Qui le sta creando. Le persone fanno i loro primi grandi acquisti, come gli smartphone, e i loro primi acquisti online contemporaneamente”, ci ha detto.
Per incoraggiare queste abitudini, la Jumia ha creato il programma di vendita JForce, in cui gli agenti vanno porta a porta con tablet connessi a una rete Wi-Fi, prendendo ordini da clienti che non hanno accesso a internet. “Consente agli agenti di diventare imprenditori”, ha detto Poignonnec, “gestendo in modo efficace la loro attività di vendita online direttamente da casa”. Inoltre, la Jumia ha creato un servizio di logistica per soddisfare i propri ordini di commercio elettronico; nel 2017 ha consegnato 8 milioni di pacchi, molti dei quali in aree rurali remote. E ha costruito una piattaforma di pagamento interna per aiutare i consumatori africani ad acquisire fiducia nei pagamenti online. Queste innovazioni potrebbero aiutare l’Africa ad aggirare i costi del commercio al dettaglio nei negozi fisici e passare direttamente a un modello di commercio elettronico che offre ai consumatori una scelta più ampia e prezzi più bassi ovunque essi vivano.
Costruire capacità incentrate sul futuro
Con così tanti giovani che fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro, in Africa le innovazioni nel campo dell’istruzione e dello sviluppo delle competenze sono essenziali. Sono rilevanti anche a livello globale: oltre 75 milioni di giovani in tutto il mondo sono disoccupati, mentre molte aziende non riescono a trovare persone con le competenze necessarie per i lavori di basso livello. In parte, questo si verifica perché molti sistemi scolastici non forniscono le capacità tecniche o comportamentali necessarie per avere successo e adattarsi in un mondo del lavoro in rapida evoluzione.
Una soluzione africana al deficit di competenze dei giovani è Generation Kenya, un’organizzazione senza scopo di lucro che collabora con 180 datori di lavoro locali e gestisce 37 centri di formazione sparsi per il Paese. Ognuno offre “campi di addestramento” immersivi della durata di 6-8 settimane, finalizzati alla preparazione al lavoro in settori come la vendita al dettaglio e i prodotti finanziari, il servizio clienti e l’industria dell’abbigliamento. I programmi non solo insegnano le competenze tecniche pertinenti, ma usano anche giochi di ruolo e di gruppo per infondere abilità comportamentali e mentali come la puntualità e la capacità di resistenza. Nel 2017 oltre 8.000 giovani keniani hanno seguito un programma di Generation Kenya, e l’89 per cento di loro ha trovato un impiego formale entro tre mesi dal diploma: una prova incoraggiante del fatto che programmi di sviluppo intelligenti possono fornire rapidamente ai giovani, ovunque si trovino, gli strumenti per diventare dipendenti brillanti ed efficienti di aziende moderne. (Per trasparenza: Generation Kenya, che oggi è una non-profit internazionale, è stata fondata dalla McKinsey e continuiamo a supportarla, insieme a organizzazioni filantropiche come la Usaid).
Altre innovazioni africane nel settore della formazione sono decisamente high-tech. GetSmarter è una start-up sudafricana che offre corsi di certificazione online a studenti di tutto il mondo, con l’aiuto di tutor e istruttori a distanza. Nel 2017 è stata acquisita dalla società di tecnologia educativa americana 2U, per 103 milioni di dollari. Un altro esempio è l’African leadership university, o Alu. I suoi campus a Mauritius e in Ruanda consentono agli studenti di gestire la propria formazione utilizzando la tecnologia, l’apprendimento fra pari e stage di quattro mesi con aziende partner, consentendo all’Alu di funzionare con un piccolo gruppo di insegnanti. Il fondatore, Fred Swaniker, è un ghanese diplomato a Stanford che ha creato un modello d’impresa per l’istruzione universitaria partendo da zero. “La nostra università sforna talenti che competono con gli studenti di Harvard e di Stanford”, ci ha detto. “Ma noi lo facciamo usando un decimo delle infrastrutture fisiche e con un decimo, o addirittura un ventesimo, dei costi”.
Come estendere su scala più ampia e mantenere nel tempo l’innovazione
Esiste un gruppo variegato di aziende e imprenditori innovativi dentro e fuori i confini dell’Africa che hanno creato imprese straordinarie nel continente. Anche se questi innovatori sono molto diversi per portata geografica e interessi di settore, sono tutti d’accordo nel considerare le sfide uno stimolo all’innovazione e la domanda non soddisfatta del mercato uno spazio per la crescita. Hanno affinato mentalità e prassi che società operanti in altri mercati potrebbero applicare con profitto alle proprie strategie di crescita. Si dovrebbe partire da una comprensione granulare ed empatica dei bisogni dei potenziali clienti (pensate a cosa ha fatto la M-Kopa per chi non aveva l’elettricità e a cosa hanno fatto i noodles Indomie per chi era in cerca di pasti economici, nutrienti e pratici). Bisognerebbe anche ripensare il modello d’impresa per coinvolgere veramente i clienti, come ha fatto la Equity Bank attraverso il suo modello di agency banking e le sue innovazioni nel campo dei servizi bancari tramite cellulare. Da questi esempi emerge che per avere successo ci vuole anche un ingrediente in più: saper sfruttare la tecnologia in modi fantasiosi, anche per ridurre costi e prezzi.
Un’altra cosa che occorre sottolineare è che gli innovatori africani di successo non sono affatto dei sognatori a occhi aperti, ma sono più consapevoli di chiunque altro degli ostacoli al successo e la resilienza è parte integrante dei loro modelli d’impresa. L’amministratore delegato della Dufil, Deepak singhal, dice che ci vuole un “coraggio da leoni” per avere successo in un mercato come l’Africa. “Abbiamo la nostra società di logistica, le nostre materie prime, i nostri impianti e le nostre strutture di imballaggio”, ci ha detto. “Avere il controllo della nostra catena logistica è molto importante”. In un’indagine effettuata fra manager di tutto il mondo, abbiamo rilevato che questi passaggi erano strettamente correlati alla crescita e alla redditività in Africa (vedi il riquadro “Introdurre resilienza nella vostra impresa”). Considerando che il mondo è diventato più volatile – in politica, nei mercati, nel commercio e perfino nel clima – le aziende innovative di tutto il mondo farebbero bene a prendere in considerazione questi approcci.
Un’altra cosa indispensabile è che le aziende prendano posizione con fermezza contro un altro grave ostacolo alle attività imprenditoriali: la corruzione, che in Africa rimane molto diffusa. Noi consigliamo ai clienti di attenersi ai loro valori, a qualsiasi costo. Ci è capitato di sperimentare sulla nostra pelle questo principio in Sudafrica, dove per un certo periodo abbiamo esplorato la possibilità di collaborare con un’impresa locale per sostenere la Eskom, l’ente nazionale per l’energia elettrica, ma poi siamo venuti a sapere che l’azienda era controllata da un personaggio discutibile, legato a uno scandalo nazionale di corruzione. Anche se abbiamo interrotto le trattative, quest’esperienza ci ha insegnato alcune cose molto importanti, per esempio quanto sia decisivo conoscere a fondo il contesto di ogni potenziale interazione e i soggetti coinvolti.
Che cosa spinge gli innovatori africani ad alzarsi dal letto ogni mattina, navigare in queste acque difficili e continuare a costruire le loro attività? Quello che hanno in comune, nella nostra esperienza, è uno scopo più profondo. Di fronte agli elevati livelli di povertà dell’Africa e alle sue carenze nel campo delle infrastrutture, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, non vedono solo ostacoli agli affari, ma problemi umani che sentono di dover risolvere. Pensiamo a Strive Masiyiwa, presidente della società panafricana di telecomunicazioni, media e tecnologia Econet Group. Non ci sono dubbi sul livello delle sue ambizioni imprenditoriali: è il principale azionista della Liquid Telecom, un’azienda in forte crescita che è la più grande società di servizi dati e infrastrutture di banda larga dell’Africa. Masiyiwa, però, infonde la stessa energia nelle iniziative filantropiche; per esempio, ha usato la sua ricchezza per offrire borse di studio a più di 250.000 giovani africani. “Per avere successo, devi essere qualcosa più di un semplice uomo d’affari: devi essere un cittadino responsabile”, ci ha detto. “Se ti accorgi che c’è un problema, devi pensare a come risolverne una parte”. E poi ha aggiunto, “La cosa emozionante è chiedersi: ‘Qual è la causa alla radice di questo problema? Cosa possiamo fare per affrontarla?’”.
Graça Machel, un avvocato internazionale per i diritti umani (e rettrice della African Leadership University), sottolinea il dovere delle imprese di dare il loro contributo per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. “Questi obiettivi sono un appello universale ambizioso per porre fine alla povertà, proteggere l’ambiente e garantire pace e prosperità a tutti i membri della nostra famiglia globale”, ci ha detto. “Ci impongono di non lasciare indietro nessuno”. La Machel ritiene che associarsi agli sforzi per sradicare la povertà e collaborare con il settore pubblico e la società civile per stimolare la creazione di posti di lavoro su larga scala sia un’opportunità per il settore privato. Questo “richiederà a tutti noi un cambiamento di mentalità”, ha detto. “Settori interi e gli stessi leader devono sottoporsi a una trasformazione radicale: le cose non possono restare come prima”. Il suo compianto marito Nelson Mandela sarebbe stato d’accordo. Come scrisse una volta: “Non c’è passione nel vivere in piccolo, nel progettare una vita che è inferiore a quella che potresti vivere”.
L’umanità non ha mai avuto così tante risorse, conoscenze e tecnologie a disposizione, eppure è molto lontana dal tradurre questi progressi in mezzi di sostentamento decenti e vite dignitose per tutti cittadini del mondo. Noi riteniamo che l’innovazione da parte di imprese grandi e piccole possa svolgere un ruolo centrale nel risolvere le più grandi sfide globali e accompagnarci verso un’epoca di abbondanza condivisa. Affrontare la povertà che è ancora diffusa in Africa è un passo importante verso questo obiettivo. Ma i problemi per cui è famosa l’Africa sono presenti in misura sorprendente anche in ogni altra regione del pianeta; e questo rende le innovazioni nate nel laboratorio africano di cruciale importanza per il resto del mondo.
di Acha Leke, presidente della filiale africana della McKinsey & Company e coautore di Africa’s business revolution: how to succeed in the world’s next big growth market (Harvard business review press, 2018), e Saf Yeboah-Amankwah, socio anziano della McKinsey a Washington.
Questo articolo è stato pubblicato su Harvard business review Italia.