Cresce il prezzo delle materie prime ma non l'inflazione
La velocità dei cambiamenti nella domanda cui si assiste nel corso di questa inedita crisi anti-pandemica, produce volatilità dei prezzi ma non necessariamente un’inflazione stabile. Il che potrebbe essere un bene.
di Luca De Biase
Il prezzo delle derrate alimentari nel mondo è in aumento, secondo la Fao. Ponendo a 100 la media di questi prezzi durante il periodo 2014-2016, l’indice era arrivato a toccare quasi quota 90 nella prima metà del 2020. Ma alla fine dell’anno caratterizzato dalla pandemia del Covid-19 l’indice era tornato a quota 107,5. Negli ultimi tempi anche il petrolio ha ripreso a crescere. Tutto questo, in passato, sarebbe stato una premessa ideale per prevedere un aumento del livello generale dei prezzi. Se poi si considera la quantità di “nuovo” denaro messo in circolazione dalle banche centrali per finanziare l’uscita dalla crisi della pandemia, anche dal punto di vista dei “monetaristi” si dovrebbe prevedere inflazione. Ma oggi, a quanto pare, il ragionamento da fare è molto più complesso.
Il settimanale The Economist ha in effetti segnalato che Morgan Stanley prevede un aumento dell’inflazione negli Stati Uniti al 2% nel corso del 2021. Il che di certo non è molto. Ma lo stesso settimanale mette in discussione anche quella previsione. Le determinanti dell’aumento dei prezzi, come diceva un paper dell’Ocse uscito nel 2011, ai tempi in cui l’Europa era ancora alle prese con le conseguenze della crisi dei sub-prime, sono un mix di aspettative e fondamentali reali. Inoltre, la deflazione digitale, un fenomeno strutturale segnalato fin dal 2004 da Graham Tanaka che osservava gli effetti dell’aumento della produttività legato al successo delle tecnologie digitali, doppiato dal “decoupling” osservato intorno al 2015 da Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee secondo il quale l’aumento di produttività non era più collegato a un aumento dei salari, contribuisce a tenere sotto controllo l’inflazione.
Del resto, la velocità dei cambiamenti nella domanda, in diminuzione e in aumento, cui si assiste nel corso di questa inedita crisi da clausura anti-pandemica, produce volatilità dei prezzi ma non necessariamente si trasforma in una inflazione stabile. E se le aspettative sono quelle che alla fine contano, allora si può anche immaginare che la loro profezia sia destinata ad avverarsi. Almeno per un altro po’. Il che è un bene: affrontare il recupero dalla crisi del 2020 con un aumento del livello dei tassi di interesse sarebbe a dir poco terribile.
di Luca De Biase, giornalista