Decidiamo oggi per un domani sostenibile

2020: anno di svolta per comunicazione e sostenibilità

Comunicare la sostenibilità si trasforma nel comunicare un nuovo stile di vita, con un sistema di valori condiviso e riconosciuto tra tutti gli attori e da tutte le società.

di Federica Bosello

“Ma avete capito cosa sta succedendo in Australia?! … No perché vi vedo poco attivi…”. Così scrive a inizio 2020 Alessandro Gassman, già testimonial dell’impegno ecosostenibile con #GreenHeroes. Alcuni gli rispondono che si sentono impotenti, altri che parlarne sui social non fa la differenza.

In realtà, se c’è una certezza, è che, per affrontare la complessa sfida del cambiamento del modello di sviluppo e garantire un futuro alle nuove generazioni, c’è bisogno di tutto e di tutti. E la comunicazione deve fare la sua parte.

Proporre una riflessione su questo tema a fine 2020 è particolarmente significativo in quanto questo non si può non definire un anno di svolta: l’avvio del “decennio di azione per il conseguimento dei Sustainable Development Goals” lanciato nel corso dell’Assemblea Generale Onu di settembre 2019 ha segnato l’inizio della nostra sfida. Poi, il Covid ha evidenziato le fragilità del nostro sistema economico-sociale, che non ha retto di fronte agli effetti generati dal protrarsi dello stesso.

D’altra parte, nel 2020 si è assistito anche a una crescita della sensibilità dell’opinione pubblica verso i temi dello sviluppo sostenibile. Se nel 2019 la parola “sostenibilità” è entrata nel lessico familiare, grazie ai cartelli dei “Fridays for future”, quest’anno diverse ricerche hanno rilevato una maggiore consapevolezza dei cittadini che ora chiedono una comunicazione più efficace su questi temi e interventi più tempestivi per accelerare la nascita di un nuovo equilibrio.

Il 2020 è stato definito anche da Papa Francesco come il giusto momento storico per intraprendere questo vero e proprio “viaggio di trasformazione e azione”, rilanciando l’obiettivo dell’ecologia integrale, già proposto nell’Enciclica “Laudato Si’”, e indicando come via per raggiungerlo “l’educazione alla cura della Casa comune”, da attuare attraverso una comunicazione basata su dati scientifici.

La comunicazione diventa così un asset cruciale anche rispetto a quell’invito di “voltare pagina” formulato nel 1972 dagli autori del Club di Roma.

La stessa, infatti, catalizza tre fattori di cambiamento: il nuovo modo di vivere, la governance e l’innovazione.

Comunicare la sostenibilità si trasforma nel comunicare un nuovo stile di vita, proponendo un nuovo sistema di valori condiviso e riconosciuto tra tutti gli attori e da tutte le società. Il punto sarà stimolare un processo culturale modificato nei modelli di consumo e nelle forme di partecipazione decisionale dei pubblici coinvolti.

È un processo che vede, da un lato, lo sforzo tecnico della comunicazione ambientale per tradurre contenuti molto complessi a target disomogenei e non specialistici; dall’altro, lo sforzo creativo ed empatico per rendere l’emergenza socio-ambientale che stiamo vivendo “una buona storia”, come già intuito da Jonathan Safran Foer nel suo “Possiamo salvare il mondo prima di cena”.

Riguardo all’influenza sulla governance, un’informazione costante e oggettiva sulle crisi in atto, sui rischi dell’inazione e sulle opportunità del cambiamento, dovrà diventare stimolo per la società civile nell’economia di un dialogo con chi governa i processi, orientandoli a scelte di lungo periodo piuttosto che a risultati nel breve.

Sulla stessa linea le imprese nella relazione con i clienti, con il passaggio alla creazione di “bene comune”, durevole nel tempo e capace di creare un impatto positivo sulla realtà considerata su scala globale.

Una vera e propria imprenditorialità sociale, che parte dalla sensibilità dei propri stakeholder (consumatori, buyers, investitori) verso i temi della sostenibilità, per attuare un percorso che porti l’azienda a presentare in modo reale e credibile il proprio bene/servizio come “soluzione ai problemi del mondo”.

Già a fine 2019 emerge che il 92% di consumatori appartenenti alla generazione Y (1980-1994) si fida di più di aziende che supportano cause sociali o ambientali e il 73% di essi dichiara di essere disposto a pagare di più per beni/servizi che apportano un beneficio alla collettività.

La prova di tale impegno risiede nella “qualità” del prodotto che diventerà sinonimo di “sostenibilità”. È in questo assunto che si raggiunge un obiettivo diffuso che gratifica tutte le parti in causa: la soddisfazione di consumatori e utenti, il successo dell’azienda, la tutela dell’ambiente e dei diritti della collettività.

Ai comunicatori l’onere di trasformare quanto sopra in una vera e propria grammatica. Complessa, faticosa, necessaria.

di Federica Bosello, socio professionista Ferpi 

mercoledì 23 dicembre 2020