L’inazione climatica nei prossimi 50 anni ci costerà mille miliardi
Secondo un rapporto di Deloitte, contenere l’aumento di temperatura sotto a 1,5°C permetterebbe all’Italia di godere dei benefici della transizione energetica già dal 2043.
di Tommaso Tautonico
La decarbonizzazione del nostro Paese in un contesto di riscaldamento globale entro 1,5°C, garantirebbe ogni anno 470 mila nuovi posti di lavoro e un differenziale positivo del Pil pari al 3,3% nel 2070. Lo dichiara il Rapporto “Italy’s turning point - accelerating new growth on the path to net zero” pubblicato da Deloitte. Al contrario, un aumento della temperatura di circa 3°C produrrebbe all’Italia, nei prossimi 50 anni, un danno in termini economici, ambientali e per la salute umana, pari a più di mille miliardi di euro.
Lo scenario. In questo scenario, continua il rapporto, nel 2070 l’Italia dovrebbe confrontarsi con una ridotta produttività, con mancanza di nuovi investimenti e scarsa innovazione, una situazione che porterebbe alla perdita di 21 milioni di posti di lavoro (cioè 420mila posti di lavoro in meno per ciascun anno), con i cinque settori economici principali (l’85% del Pil italiano) – servizi privati e pubblici, manifattura, commercio al dettaglio e turismo, edilizia e trasporti, fortemente esposti ai rischi del cambiamento climatico.
Il modello sviluppato da Deloitte, al contrario di quello che sostengono molti critici secondo cui il processo di decarbonizzazione potrebbe rivelarsi troppo costoso, ipotizza (in uno scenario a +1,5°C) un costo della transizione pari a circa 0,7% del Pil annuo.
Turning point. L’anno della svolta, secondo il Report, è il 2043. In quell’anno i benefici della transizione ecologica inizieranno a superare i costi. Se l’Italia rafforzasse il suo impegno nel processo di decarbonizzazione, con adeguati investimenti in ricerca e sviluppo nel prossimo decennio, potrebbe essere uno dei primi Paesi in Europa a raccogliere i benefici economici della transizione ecologica, visto che la media europea del punto di svolta è fissata al 2050.
Il modello elaborato da Deloitte verso un Paese a impatto climatico zero prevede quattro fasi:
- dal 2021 al 2030, gli investimenti in innovazione saranno fondamentali per accelerare la trasformazione tecnologica e creare le condizioni di mercato per la decarbonizzazione. In questo decennio, evidenzia il Rapporto, l’Italia dovrà ripensare la sua dipendenza dai combustibili fossili, con un declino del consumo di petrolio e carbone, accompagnato dall’aumento di produzione dell’energia solare, che nel 2030 dovrebbe coprire il 40% del fabbisogno energetico. Una transizione che minimizzerebbe l’impatto negativo sul Pil italiano, determinandone una contrazione di appena lo 0,3% nel 2030;
- dal 2031 al 2040, i costi della transizione diminuirebbero di anno in anno, con un aumento di produzione di energia rinnovabile, di circa il 6% all’anno. In questo periodo, l’Italia sperimenterebbe un incremento dell’occupazione nel comparto “clean energy” così come nel settore edile. In questo scenario, dopo il 2045, l'industria manifatturiera beneficerebbe di una riduzione dei costi di produzione dovuta al calo dei costi delle energie rinnovabili, mentre la produzione di combustibili fossili continuerebbe a diminuire;
- dal 2041 al 2050, il percorso di decarbonizzazione sarebbe quasi ultimato in tutti i settori economici più importanti. L’aumento di temperatura sarebbe al di sotto dei 2°C e il Pil registrerebbe un differenziale positivo superiore dello 0,9% rispetto a un mondo caratterizzato da una temperatura di 3°C superiore ai livelli preindustriali;
- dopo il 2050, le maggiori economie a livello globale raggiungerebbero lo scenario a zero emissioni nette, mantenendo il riscaldamento medio globale a circa 1,5°C. In questo scenario l’economia italiana risulterebbe trasformata e caratterizzata dalla presenza di molteplici sistemi interconnessi a basse emissioni, che vanno dal settore energetico a quello dei servizi, trasporti, manifattura e agricoltura. Nel 2070, il Pil registrerebbe un differenziale positivo del 3,3% e fino a 470mila posti di lavoro in più rispetto allo scenario di inazione climatica.
di Tommaso Tautonico