Cmcc: nel 2100, le ondate di calore in Ue potrebbero causare 90mila decessi l’anno
Secondo l’Atlante sui rischi climatici, una mancata azione dei G20 potrebbe generare conseguenze disastrose. Perdite di Pil, insicurezza alimentare, aumento delle temperature. Per l’Italia, a rischio soprattutto le zone costiere: effetti significativi su turismo e fauna selvatica.
di Flavio Natale
“Siccità, ondate di calore, innalzamento del livello del mare, diminuzione delle scorte alimentari, minacce al settore turistico: questi risultati mostrano quanto gravemente i cambiamenti climatici colpiranno le più grandi economie del mondo, a meno che non si agisca ora”. Queste le parole di Donatella Spano, membro del consiglio strategico del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e coordinatrice del rapporto “Climate Risks Atlas. Impacts, policy, economics”, pubblicato alla vigilia del G20. L'Atlante delinea una panoramica degli impatti e dei rischi che il cambiamento climatico avrà sui Paesi più industrializzati del mondo, entro la metà e la fine del secolo. Inoltre, il Rapporto elabora singole schede di valutazione per ogni Stato, in base a un’analisi approfondita dei settori economici e sociali chiave.
Il documento, realizzato dal Cmcc con il supporto della European climate foundation e il contributo scientifico di Enel Foundation, sottolinea prima di tutto che, senza un’azione urgente per ridurre le emissioni, nello scenario peggiore le perdite di Pil potrebbero raggiungere il 4% all'anno entro il 2050, valore che potrebbe superare l’8% entro il 2100 (praticamente il doppio delle perdite economiche subite dai G20 durante il Covid-19). Alcuni di questi Paesi, inoltre, saranno colpiti con una potenza maggiore: il Canada, ad esempio, potrebbe veder ridotto il Pil di almeno il 4% nel 2050 e di oltre il 13% (133 miliardi di euro) nel 2100.
“Al contrario, più rapidamente i Paesi del G20 adotteranno politiche a basse emissioni di carbonio, meno gli impatti del clima si propagheranno a cascata, risultando più gestibili”, si legge nell’Atlante. Contenendo l’incremento della temperatura globale entro i 2°C, infatti, il costo degli impatti per i G20 potrebbe scendere allo 0,1% del Pil totale entro il 2050 e all'1,3% entro il 2100.
La ricerca evidenzia, oltre ai rischi dell’erosione costiera e alla diffusione delle malattie tropicali, il forte pericolo legato all’aumento delle temperature e delle ondate di calore: queste “potranno causare gravi siccità, minacciando disponibilità d'acqua per l'agricoltura, comportando perdite di vite umane e aumentando la possibilità di incendi”. Entro il 2050, le ondate di calore potrebbero durare, nei G20, almeno dieci volte più a lungo di oggi, e nello specifico 60 volte più a lungo in nazioni come Argentina, Brasile e Indonesia. In Europa, i decessi legati al calore estremo potrebbero raggiungere, entro il 2100, la quota di 90mila l’anno.
Anche la sicurezza alimentare è a rischio: in India, il calo della produzione di riso e grano potrà generare perdite economiche fino a 81 miliardi di euro entro il 2050, nonché una perdita del 15% dei redditi agricoli entro il 2100. “A metà del secolo, la pesca in Indonesia potrebbe diminuire di un quinto, minando così i mezzi di sussistenza di una parte della popolazione”. L’innalzamento del livello del mare, invece, potrebbe compromettere la solidità di molte infrastrutture costiere nei prossimi 30 anni, implicando perdite per 404 miliardi di euro in Giappone e di 815 milioni di euro in Sudafrica.
In Australia, gli incendi boschivi, le inondazioni costiere e gli uragani potrebbero aumentare i costi assicurativi, riducendo il valore delle proprietà di 611 miliardi di dollari australiani entro il 2050.
E l’Italia?
Anche per il nostro Paese la situazione non è rosea. “In uno scenario a basse emissioni le variazioni di temperatura previste rimarranno contenute intorno a +1,5°C, sia entro il 2050 che nel 2100”, si legge nell’Atlante. “Ma in uno scenario ad alte emissioni, senza la riduzione dei gas serra, sono attese anomalie di temperatura decisamente maggiori, sia entro il 2050 che nel 2100”.
I principali effetti di questo aumento della temperatura si manifesteranno, secondo il Rapporto, sotto forma di rischi costieri – come l'erosione e le inondazioni – che avranno impatti negativi sui territori, causando perdita di coste sabbiose, danni agli insediamenti, alle infrastrutture e agli ecosistemi. “L'erosione costiera e le inondazioni dovute alle mareggiate sono abbastanza comuni lungo le coste italiane, in particolare nelle zone con spiagge basse”, avverte il Rapporto. L’Italia ha infatti già iniziato a risentire degli impatti dell'innalzamento del livello del mare: numerose zone, come l’area settentrionale del Mar Adriatico e la laguna di Venezia, sono costantemente esposte all'impatto di inondazioni e tempeste.
Diversi settori economici soffriranno gli effetti dei cambiamenti climatici. Tra questi il turismo costiero, “estremamente importante per l'economia italiana”, così come alcune attività industriali. Inoltre, il documento sottolinea che il cambiamento climatico minaccerà anche la fauna selvatica delle aree costiere, a causa dell’intrusione di acqua salata e al conseguente deturpamento dell’habitat. In uno scenario di emissioni mediamente grave, l’Atlante prevede che, entro il 2050, la popolazione italiana esposta al rischio di inondazioni costiere oscillerà tra 430mila e 480mila persone.
“Come scienziati, sappiamo che solo un'azione rapida per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici ne limiterà i gravi impatti”, conclude Donatella Spano. “Confidiamo che sulla strada verso la transizione sostenibile, i cambiamenti climatici saranno considerati come un pilastro fondamentale dell’agenda politica”.
di Flavio Natale