Noi, indifferenti al pianeta che brucia
Necessario recuperare un rapporto di prossimità con la natura e superare i gap comunicativi della questione climatica, per considerare di nuovo la Terra "la nostra casa".
di Annamaria Vicini
Vi siete mai chiesti perché ci sia così tanta indifferenza rispetto agli effetti del cambiamento climatico?
La nostra casa, la nostra unica casa, sta bruciando, e noi continuiamo a infischiarcene allegramente!
E non c’entra la pandemia che tutte le emergenze se le porta via, perché la nostra casa ha iniziato ad ammalorarsi vent’anni fa, o forse di più, e noi abbiamo continuato a comprare automobili inquinanti, abbattere alberi anche quando non ce n’era motivo, votare chi distrugge le foreste, aumentare spropositatamente l’uso dell’aria condizionata d’estate, sprecare cibo, gettare plastica nei mari e nei fiumi e via elencando.
Perché, perché se ci dicessero che il nostro bilocale sta per andare distrutto dalle fiamme ci precipiteremmo a spegnere il principio d’incendio e invece da vent’anni o forse più lasciamo che la temperatura del pianeta aumenti di anno in anno senza alzare un dito e senza neppure un minimo senso di colpa?
Sicuramente il primo motivo è che non consideriamo il pianeta la nostra casa. Viviamo asserragliati tra quattro mura di cemento o tra le lamiere della nostra auto e la natura ci è sempre più estranea.
La pandemia, con il lockdown, non ha fatto altro che peggiorare questo stato di cose che tuttavia era già preesistente. Anche quando nessuno ci obbliga a restare in casa, usciamo quasi solo per andare in ufficio (chi ci va, perché lo smart working ha eliminato per molti questo obbligo perlomeno per una parte del tempo lavorativo) o per andare a fare la spesa: il che significa uscire da quattro mura per rinchiudersi tra altre quattro mura, dopo essere transitati su strade supertrafficate imprigionati tra le lamiere.
E anche quando, presi da un sussulto di vitalità, decidiamo di recarci in qualche località turistica montana o lacustre, in maggioranza finiamo per rinchiuderci in un bar o in un ristorante da cui basta allontanarsi di pochi metri per non incontrare più nessuno.
Forse l’unico modo per sentire il pianeta come la nostra casa non è quello di guardare documentari in tv su luoghi esotici che poi vorremo raggiungere prendendo aerei superinquinanti, ma piuttosto vivere la natura di prossimità, cercando il più possibile di conservarla e proteggerla.
I bambini, figli, nipoti o scolari che siano, apprezzeranno, perché loro istintivamente sentono vicini a sé gli altri esseri che abitano questa nostra Terra. Provare per credere!
C’è però anche un gigantesco problema di comunicazione.
Negli ultimi tempi infatti si assiste, fortunatamente, a un moltiplicarsi di articoli, video e post sui social che trattano temi inerenti al cambiamento climatico. Raramente però suscitano un interesse più vasto dei pochi già convinti e informati sull’argomento, scarsi i like di approvazione.
I motivi sono diversi.
Molte persone rifuggono da argomenti angoscianti e gli effetti del cambiamento climatico lo sono. Desertificazione, alluvioni, ondate di calore che provocano centinaia di morti non sono certamente cose di cui rallegrarsi. Meglio mettere la testa sotto la sabbia e pensare alle prossime vacanze…
Un altro motivo è che spesso si tratta di eventi che avvengono in luoghi da noi lontani e questo ce li fa sentire estranei. Perfino il terribile Covid19 è stato vissuto come un evento estraneo finché non ha cominciato a far morire i nostri padri, fratelli, amici.
C’è poi il fatto che a parlare di questi temi sono spesso gli scienziati o studenti di materie scientifiche, che li trattano come se tutti avessero una preparazione scientifica di base tale per cui la comprensione degli argomenti risulti facile. Ma così non è, soprattutto in Italia, dove l’istruzione scientifica solo da pochi anni sta ricevendo una qualche attenzione.
Se sui primi due motivi – tendenza alla rimozione di argomenti angoscianti e senso di estraneità dovuto alla lontananza dei fenomeni - è difficile agire, su quest’ultimo aspetto si può e si deve invece fare qualcosa.
Scienziati e comunicatori dovrebbero allearsi per capire come trasmettere argomenti quali cause ed effetti del cambiamento climatico nel modo più accessibile alla maggioranza delle persone.
Senza banalizzare, ma con attenzione estrema alla ricettività e alla comprensione delle informazioni che si vogliono trasmettere.
E senza dimenticare uno dei sacri principi della comunicazione più moderna, quella “call to action” che fa sì che non ci si limiti a essere riempiti di nozioni come dei vasi vuoti ma che siamo spinti anche ad agire.
E tu, sì proprio tu, come vorresti che venisse comunicato il cambiamento climatico?
di Annamaria Vicini, giornalista pubblicista, ha collaborato con alcune delle maggiori testate nazionali e cura un blog di successo. Ha fondato l’associazione CoderMerate, che promuove l’insegnamento del coding e della robotica educativa a bambini e adolescenti. Ha pubblicato il romanzo Non fare il male, e l’eBook Abbracciare il nuovo mondo. Le startup cooperative.