Ipcc: il cambiamento climatico provocherà, già dai prossimi anni, conseguenze irreversibili
Per gli scienziati, i limiti previsti dall’Accordo di Parigi non preservano la biodiversità e gli attuali strumenti di adattamento sono inadeguati.
di Flavio Natale
“Il peggio deve ancora venire, e inciderà sulla vita dei nostri figli e nipoti molto più che sulla nostra”. Queste sono le parole contenute in una bozza del nuovo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Ipcc), trapelata all'Agence France-Presse. Il documento sarà pubblicato a tappe da quest’estate fino al prossimo anno, troppo tardi per essere preso in considerazione dai responsabili politici della Cop26, la Conferenza Onu sul clima che si terrà a novembre a Glasgow.
“In quattromila pagine, [il rapporto] sostiene che il cambiamento climatico rimodellerà radicalmente la vita sulla Terra nei prossimi decenni, anche se gli esseri umani riusciranno a domare le emissioni di gas serra”, afferma in un intervento sul tema la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, coordinata dal direttore del comitato tecnico scientifico Toni Federico, anche coordinatore per ASviS dei Gruppi di Lavoro Energia e Clima (Goal 7 e 13).
Questa bozza evidenzia la preoccupazione degli scienziati climatici che il riscaldamento globale possa innescare punti di non ritorno (secondo l'Agence France-Press, l'Ipcc ne delinea potenzialmente 12) nel futuro della Terra. I punti di non ritorno (o tipping points) si attivano quando le temperature raggiungono un livello oltre il quale viene generata una serie di eventi a cascata con vaste ripercussioni (e perlopiù irreversibili). Ad esempio, dal momento che l'aumento delle temperature porta allo scioglimento del permafrost artico, il terreno che si scongela rilascia metano, un potente gas serra che a sua volta provoca un maggiore riscaldamento. Si tratta, in poche parole, di soglie oltre le quali il recupero dal crollo climatico potrebbe diventare impossibile: “La vita sulla Terra può riprendersi da un drastico cambiamento climatico evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi... gli umani non possono”, avverte l’Ipcc.
Da questo estratto del rapporto emergono fondamentalmente quattro conclusioni:
- Con 1,1°C di incremento del riscaldamento globale registrati finora (rispetto alle temperature della metà del 19esimo secolo), il clima sta già mutando profondamente. Un decennio fa, gli scienziati credevano che limitare il riscaldamento globale a 2°C (sempre rispetto ai livelli della metà del 19esimo secolo) sarebbe stato sufficiente per salvaguardare il nostro futuro. Questo obiettivo è sancito dall'Accordo di Parigi del 2015, adottato da quasi 200 nazioni che hanno promesso di limitare collettivamente il riscaldamento “ben al di sotto” di 2°C e, se possibile, di 1,5°C. Con le tendenze attuali, invece, ci stiamo dirigendo verso un aumento di tre gradi.
- I modelli precedenti prevedevano che non avremmo visto cambiamenti climatici in grado di alterare la Terra prima del 2100. Ma la bozza del rapporto Ipcc afferma che il riscaldamento prolungato, anche oltre 1,5°C, potrebbe produrre “conseguenze gravi, lunghe secoli e, in alcuni casi, irreversibili” già da ora. Il mese scorso, l'Organizzazione meteorologica mondiale ha previsto una probabilità del 40% che la Terra superi la soglia di 1,5°C per almeno un anno entro il 2026. Il riscaldamento di 2°C, invece, potrebbe causare lo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartico occidentale, sollevando il livello degli oceani fino a 13 metri. Altri punti critici potrebbero vedere il bacino amazzonico trasformarsi da foresta tropicale a savana, oppure miliardi di tonnellate di carbonio fuoriuscire dal permafrost siberiano, alimentando un ulteriore riscaldamento. Brasile orientale, Sud-est asiatico, Mediterraneo, Cina centrale e quasi tutte le coste del mondo potrebbero inoltre essere colpite, nel breve periodo, da più calamità climatiche contemporaneamente: siccità, ondate di calore, cicloni, incendi e inondazioni.
- Per alcune piante e animali potrebbe essere già troppo tardi. “Anche a 1,5°C di riscaldamento, le condizioni cambieranno oltre la capacità di adattamento di molti organismi”, osserva il rapporto. Le barriere coralline, ecosistemi da cui dipendono mezzo miliardo di persone, ne sono un esempio. Ma la perdita di biodiversità, naturalmente, non riguarda solo i vegetali. “Le popolazioni indigene dell'Artico stanno affrontando una grande estinzione culturale, poiché l'ambiente su cui sono costruiti i loro mezzi di sussistenza e la loro storia si sta letteralmente sciogliendo”.
- “Gli attuali livelli di adattamento saranno inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici”. Secondo l’Ipcc, infatti, in un mondo “in via di riscaldamento” la durata delle stagioni degli incendi, le potenziali aree a rischio desertificazione, le zone in crisi alimentare aumenteranno esponenzialmente. “Il Pianeta deve affrontare questa realtà e prepararsi”, si legge nella bozza. Entro il 2050, il surriscaldamento globale potrebbe infatti provocare rischi di fame cronica per decine di milioni di persone in più rispetto a oggi, e altri 130 milioni potrebbero sperimentare la povertà estrema entro un decennio. “Nel 2050, centinaia di milioni di persone che abitano le città costiere saranno a frequente rischio di inondazioni e mareggiate, dato l’innalzamento dei mari”. Con un aumento della temperatura di 1,5°C circa 350 milioni di persone (in più rispetto a oggi) che vivono nelle aree urbane saranno esposte alla scarsità d'acqua, mentre se il clima aumenterà a 2°C saranno 410 milioni. “Quel mezzo grado in più significherà anche 420 milioni di persone in più esposte a ondate di calore estreme e potenzialmente letali”, ricorda la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Si prevede che i costi di adattamento per l'Africa aumenteranno di decine di miliardi di dollari all'anno”.
“È probabile che gli impatti siano molto più vicini di quanto la maggior parte delle persone creda”, si legge nella bozza del rapporto. Le sfide evidenziate, perciò, sono sistemiche, e, se non si intraprenderanno cambiamenti da subito, la crisi climatica genererà ingiustizie ancora più profonde. “Coloro che sono meno responsabili del riscaldamento globale soffriranno in modo sproporzionato”, chiarisce il documento.
Simon Lewis, professore di scienza del cambiamento globale presso l'University College di Londra, ha dichiarato a The Guardian: “Nulla nel rapporto dell'Ipcc dovrebbe essere una sorpresa, poiché tutte le informazioni provengono dalla letteratura scientifica. Ma messe insieme, il forte messaggio dell'Ipcc è che ondate di calore, incendi, inondazioni e siccità sempre più gravi stanno arrivando con impatti terribili per molti Paesi”. Myles Allen, professore di scienza dei geosistemi presso l'università di Oxford, ha rifiutato di commentare la bozza del rapporto, ma ha sottolineato che è ancora possibile evitare impatti disastrosi. “È importante che le persone non ricevano il messaggio 'siamo comunque condannati, quindi perché preoccuparsi?'. Questo è un problema risolvibile. Potremmo fermare il riscaldamento globale in una generazione, se lo volessimo, il che significherebbe limitare il riscaldamento futuro a non molto di più di quanto sia già successo in questo secolo. Sappiamo anche come. È solo questione di andare avanti”.
L'Ipcc sottolinea comunque che si può fare molto per mitigare gli scenari peggiori e prepararsi agli impatti che non possono essere evitati. La conservazione e il ripristino dei cosiddetti “ecosistemi del carbonio blu” (oceani che catturano e immagazzinano l’anidride carbonica), come la preservazione e l’incremento di foreste di alghe e mangrovie, migliorano gli stock di carbonio e proteggono dalle mareggiate, oltre a fornire habitat per la fauna selvatica, mezzi di sussistenza costieri e sicurezza alimentare. Il passaggio a diete a base vegetale potrebbe anche ridurre le emissioni legate al cibo fino al 70% entro il 2050. Ma serve uno sforzo ancora più grande: “Abbiamo bisogno di un cambiamento trasformazionale che operi su processi e comportamenti a tutti i livelli: individuo, comunità, imprese, istituzioni e governi”, afferma l’Ipcc. “Dobbiamo ridefinire il nostro modo di vivere e consumare”.
di Flavio Natale