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Italia ancora senza Pnacc. Quali politiche di adattamento per la crisi climatica?

Il nostro Paese ha appena vissuto il sesto inverno più siccitoso degli ultimi 63 anni, pagato a caro prezzo sul piano ambientale ed economico. Alcuni progetti di adattamento al cambiamento climatico sono già in corso, ma senza un Piano nazionale non si va da nessuna parte.

di Flavio Natale

“Negli ultimi vent’anni, abbiamo già assistito a cinque crisi di siccità nel bacino del Po. Quella di quest’anno è però più grave, perché partiamo già da una condizione di incredibile severità idrogeologica”. Queste le parole di Meuccio Berselli, segretario generale dell'Autorità di bacino distrettuale del fiume Po e neodirettore di Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po), recentemente intervenuto a un webinar sul tema organizzato dalla Casa dell’agricoltura. 

Da dicembre a gennaio, infatti, secondo i dati riportati da Aisam (Associazione italiana di scienze dell’atmosfera e meteorologia), l’Italia ha ricevuto l’80% di pioggia e il 60% di neve in meno rispetto alla media stagionale, facendo dell’inverno 2021-2022 il sesto più siccitoso degli ultimi 63 anni. Questa siccità ha influito significativamente su molte arterie fluviali italiane, tra cui il Po, che ha raggiunto i livelli più bassi da trent’anni a questa parte e, come ricorda Berselli, “è responsabile del 40% del Pil nazionale (tramite l’agricoltura) e del 55% della produzione idroelettrica”. A questo proposito, Coldiretti ha commentato che “la siccità è diventata la calamità più rilevante per le coltivazioni italiane”.

“Il cambiamento climatico ci dice che vanno messe in campo azioni di adattamento il prima possibile, perché non possiamo permettere che zone intere della nazione restino senza risorse idriche adeguate e, dunque, senza reddito”, ha dichiarato Berselli.

Già il rapporto del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia” uscito nel 2020, metteva in guardia contro “un generalizzato innalzamento della temperatura media” della Penisola che, nello scenario peggiore, avrebbe potuto raggiungere “+5°C entro il 2100”. Secondo il Cmcc, in futuro è attesa una diminuzione della frequenza annuale delle piogge, con un’intensità maggiore nei giorni più piovosi. In tutti gli scenari considerati, inoltre, aumenterà in Italia il numero di giorni caldi e secchi.

Questi dati hanno portato il Centro a concludere che “la probabilità del rischio da eventi climatici estremi è aumentata in Italia del 9% negli ultimi vent’anni”, con il 91% dei comuni nostrani a rischio per frane e alluvioni, e oltre sette milioni di persone che vivono o lavorano in aree considerate “ad alta pericolosità”. Sempre secondo il Cmcc, per effetto dei cambiamenti climatici è attesa nei decenni a venire una sensibile diminuzione della portata d’acqua – fino al 40% in meno nel 2080. Tutti questi fattori rendono l’Italia un “hot-spot climatico”, ovvero un’area più esposta di altre ai rischi del surriscaldamento globale, generando conseguenze economiche potenzialmente disastrose.

L’Italia risulta ad esempio il Paese europeo con la più alta esposizione economica al rischio alluvionale. In uno scenario di aumento di temperatura pari a tre gradi al 2070, i costi diretti in termini di perdita attesa di capitale infrastrutturale si aggirerebbero tra gli uno e i 2,3 miliardi di euro annui nel periodo 2021-2050, e tra gli 1,5 e i 15,2 miliardi di euro annui nel periodo 2071-2100. Per quanto riguarda l’innalzamento del livello del mare e le inondazioni costiere, nello scenario peggiore si attendono costi fino a 900 milioni di euro al 2050, che potranno raggiungere 5,7 miliardi di euro a fine secolo. Per il settore agricolo, particolarmente esposto a riduzioni nella resa a causa di fenomeni siccitosi e di scarsità idrica, è previsto un decremento di valore dei terreni agricoli valutabile tra gli 87 e 162 miliardi di euro entro fine secolo.

In un Paese che si trova già in profonda crisi climatica, le misure di adattamento – che non agiscono sulla mitigazione della temperatura, ma sulla preparazione e il contrasto agli effetti del surriscaldamento globale – sono dunque indispensabili. A ricordarlo è anche la seconda parte del Rapporto “AR6” dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), che si concentra sull’importanza di politiche di adattamento ambiziose per “evitare una crescente perdita di vite umane, biodiversità e infrastrutture”.

Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Quando in Italia si parla di adattamento si parla di Pnacc. L’acronimo sta per Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, un documento la cui elaborazione è stata avviata nel maggio 2016 – sulla base della Strategia nazionale di adattamento al clima (Snac) del 2015 e sui suoi rapporti scientifici del 2014 – e la cui attuazione è ancora lontana da venire. Questo Piano, identificando sei differenti macroregioni climatiche italiane, fornisce un’analisi del rischio basata sulla stima della capacità di adattamento e dei potenziali impatti dei fenomeni metereologici estremi a livello locale, “proponendo una selezione delle azioni preferibili per i 18 settori già precedentemente identificati dalla Snac nel 2015”, ha spiegato Sara Venturini, membro del comitato scientifico di Italian climate network.

La bozza di questo piano è stata presentata nel 2017: da quel momento in poi, però, l’iter di approvazione si è arenato. In un recente seminario interno sulla giusta transizione ambientale tenuto dall’ASviS, alla domanda sullo stato di avanzamento del Pnacc, Roberto Danovaro, professore ordinario di Ecologia presso l’Università politecnica delle Marche nonché membro della Commissione per la valutazione strategica del Pnacc, ha risposto: “Non è stato ancora dato nessun parere dalla Commissione, e presumo che passerà ancora del tempo prima che possa essere accettato. Tenete conto che quel documento è stato scritto nel 2015, ed era basato su dati precedenti che ora sono cambiati: questi tempi lunghissimi non sono compatibili con una politica efficace”.

Anche lo stesso Rapporto ASviS 2021 sottolinea l’urgenza di un solido Piano di adattamento ai cambiamenti climatici per il futuro del Paese. Secondo l’Alleanza, il Piano dovrà beneficiare di possibilità di finanziamento pubblico, politiche macro-fiscali strutturate, valutazione dei danni ai bilanci pubblici che possono derivare dall’inazione o dall’inadeguata preparazione e risposta ai cambiamenti climatici. Considerando inoltre che le azioni per l’adattamento si attueranno materialmente sui territori, secondo l’Alleanza i comuni e le regioni dovranno effettuare stress test sulle vulnerabilità climatiche locali entro un congruo termine – ovvero il 2022.

Quale adattamento per il futuro

Come si può parlare, dunque, di adattamento in un Paese che sembra non riuscire nemmeno a pensarlo sulla carta?

Usando, anzitutto, le risorse che abbiamo a disposizione. “Il primo passo è la rinaturazione del territorio”, ha sottolineato sempre Berselli durante il webinar della Casa dell’agricoltura. Le cosiddette nature-based solutions, infatti, oltre a trattenere carbonio e immagazzinare CO2, migliorano la qualità del suolo e la resilienza delle aree costiere, proteggendole ad esempio dalle inondazioni. “Bisogna cercare di usare la natura in maniera sostenibile per ridurre il rischio degli impatti dei cambiamenti climatici, riducendo quindi anche la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi”, ha commentato in un’intervista Sergio Castellari, climatologo all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), nonché coordinatore e coautore di numerosi rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) e del Cmcc. “Nel rapporto del 2021 dell’Eea che ho co-curato, affrontiamo l’argomento proprio dal punto di vista dell’adattamento, mostrando come le nature-based solutions siano multifunzionali”.

Per Berselli, un’altra iniziativa interessante per l’adattamento ai cambiamenti climatici è il Progetto Vento che, attraverso la realizzazione di settecento chilometri di pista ciclabile da Venezia a Torino lungo il fiume Po, sta portando alla costruzione o rimodernamento di numerosi argini. “Questi costituiscono oggi una difesa fondamentale, ma domani verranno visti anche come momento di socializzazione e mobilità dolce, un modo per far avvicinare di nuovo il territorio al fiume”.

Tra le altre misure necessarie al recupero dell’area del Po, Berselli prevede l’efficientamento delle reti idriche (a oggi, “perdiamo il 40% dell’acqua per strada”), la realizzazione di micro-bacini aziendali – per far sì che le imprese agricole possano provvedere al loro fabbisogno in maniera diretta – e la regolazione efficiente dei grandi laghi per garantire risorse sempre disponibili. Secondo Berselli, inoltre, l’acqua potrebbe essere il luogo dove produrre “energia fotovoltaica flottante” – impianti fotovoltaici posti non sulla terraferma ma sull’acqua.

Anche il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) si sta muovendo nella direzione delle misure di adattamento. “Seppur con un elevato grado di incertezza, si stima che le risorse da investire in adattamento siano 8-10 miliardi fino al 2030 (circa un miliardo all’anno) più un costo operativo e di manutenzione annuale di 604 milioni di euro nello scenario “business as usual”, si legge nel rapporto “Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità”,  elaborato dalle Commissioni di studio istituite ad aprile 2021 dal Mims e presentato a febbraio 2022 dal ministro Giovannini. Il ritorno degli investimenti in adattamento, sottolinea il Mims, è elevato sia in termini di danni ambientali ed economici evitati, sia in termini di benefici economici indiretti. Nel periodo 2020-2030, la stima del danno legato alle infrastrutture è di circa 2,3 - 8,7 miliardi di euro (tra lo 0,1 e lo 0,4% del Pil medio). Nel 2050, la perdita ammonterebbe a circa 11,5 - 18 miliardi di euro (0,33-0,55% del Pil nel 2050). “Questa è l’entità dei danni generati dal cambiamento climatico sulle infrastrutture che, in assenza di mitigazione, un adeguato piano di adattamento e resilienza delle stesse potrebbe evitare, se non completamente almeno in gran parte”, si legge nel documento. E questo avverrebbe a un costo circa cinque volte inferiore rispetto al danno evitato. Secondo le stime del ministero, infatti, un euro speso in resilienza climatica delle infrastrutture produce benefici complessivi pari a quasi cinque euro nel 2050.

Anche il Cmcc sottolinea l’importanza delle misure attutate in Italia a livello urbano. Tra queste, il progetto Adapt, cofinanziato dal Programma interreg Italia-Francia marittimo 2014-2020, che ha l'obiettivo di rendere le città italiane e francesi dell’Alto Tirreno maggiormente capaci di adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici, con un particolare focus sulle alluvioni causate da “bombe d’acqua”.

Il progetto Life Master-Adapt lavora invece per rispondere alle esigenze degli enti locali attraverso l’individuazione, la verifica e la diffusione di strumenti di governance multilivello per integrare l’adattamento ai cambiamenti climatici all’interno delle politiche settoriali. A livello regionale, un esempio di successo, da questo punto di vista, è rappresentato dalla Strategia regionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Sracc) della Sardegna, che, attraverso l’individuazione dello stretto legame tra le azioni di adattamento proposte e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile ha anche vinto il “Premio Pa sostenibile 2019” come miglior progetto nella sezione “Ambiente, energia, capitale naturale”.

Molte altre iniziative in Italia si stanno focalizzando su settori specifici, come quello forestale o agricolo: tra queste, ricordiamo il progetto Life Adapt2Clima – che fornisce strumenti su valutazione del rischio e supporto alle decisioni nel settore agricolo – e Life AForClimate, per una pianificazione forestale innovativa in un contesto ambientale in profondo mutamento.

Un altro caso di interesse è il progetto “Eco-Smart Breakwater”, nato sulla costa di Ugento in Puglia, che prevede il riutilizzo della posidonia oceanica. Questa pianta acquatica gioca un ruolo fondamentale nella protezione dei litorali dall’erosione costiera ma, quando si spiaggia in grandi quantità a seguito di intense mareggiate, crea disagi per le amministrazioni e i titolari degli stabilimenti. Così, la posidonia è stata usata per ricostruire dune naturali, frenando l’erosione costiera. Anche il progetto “Gaia”, nato a Bologna, si pone come obiettivo l’adattamento ai cambiamenti climatici, ma attraverso il rimboschimento da parte delle imprese locali – azione che contribuisce anche a diminuire l’impronta carbonifera delle aziende sul territorio. Infine, c’è da ricordare che il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili ha fissato al 2023 il termine ultimo per completare il Mose di Venezia, il sistema di quattro colossali dighe formate da 78 paratoie (già azionato più volte, ma ancora incompleto per un funzionamento ordinario) indispensabile per evitare alla laguna e alle città di Venezia e Chioggia allagamenti disastrosi.

Tutte queste misure, a cominciare dal Pnacc stesso, non saranno però efficaci senza un’adeguata velocità di esecuzione. “L’adattamento al cambiamento climatico deve essere fatto con tempi vicini allo zero”, ha concluso nel suo intervento Berselli. “Abbiamo bisogno di una politica illuminata e audace”.

di Flavio Natale

 

Fonte dell'immagine di copertina: nitsuki/123rf

mercoledì 27 aprile 2022