Città intelligenti e respirabili
I settori della produzione, del trasporto, del consumo, del riscaldamento vanno ripensati in ottica di transizione verso un nuovo tipo di città. Contemplando insieme le opportunità digitali e le esigenze ambientali.
di Luca De Biase, giornalista
Google ha abbandonato improvvisamente il suo controverso progetto per contribuire alle soluzioni “smart” per la città di Toronto. Sidewalk, il nome del progetto, doveva essere un ambiente umano costruito su internet. Ma il progetto evolveva come una sorta di quartiere in abbonamento. E i cittadini non cessavano di riflettere sulle critiche che piovevano da più parti sul discutibile principio di “privatizzare” la vita cittadina. Ma l’abbandono è stato spiegato dal ceo di Sidewalk Labs’, Dan Doctoroff, dicendo che gli sviluppi imprevedibili dell’epidemia Covid-19 hanno reso il progetto insostenibile. Il che significa che era pensato per una forma di efficienza piuttosto che per generare una struttura dotata di resilienza in un contesto problematico.
Tutta una generazione di progetti è andata in questa direzione, in realtà, privilegiando l’efficienza, cioè la riduzione dei costi e la massimizzazione del valore, rispetto alla resilienza e all’anti-fragilità, come la chiamerebbe Nassim Taleb. Qualcosa di simile è denunciato, in effetti, in un articolo sul Project syndicate di un’importante rappresentante del mondo dell’architettura milanese come Patricia Viel, per quanto riguarda il sistema sanitario della città lombarda. «I nostri ospedali sono stati inadeguati» scrive Viel. «E come risultato il Coronavirus sta spegnendo quel motore di idee e interazioni che è il centro urbano». Ma questo potrebbe non essere un fenomeno passeggero. «Poiché il contagio portrebbe durare a lungo, l’adattamento del progetto e del management urbano diventa una questione saliente per l’architettura». Viel vede la soluzione negli spazi pensati fin dalla progettazione come polifunzionali. Il che è un altro modo per richiamare il tema della resilienza, ma senza vederlo necessariamente come opposto all’efficienza: il progetto deve poter affrontare entrambe le esigenze. Soprattutto facendo largo e consapevole uso delle tecnologie digitali. Il caso dell’edificio in fiera che è stato riadattato a ospedale è importante, dice Viel, perché ha mostrato come l’esigenza sia reale: l’adattamento sarebbe stato più produttivo se l’edificio fosse stato pensato in un’ottica polifunzionale fin dal progetto.
Ma non c’è soltanto da riprogettare gli spazi dei servizi pubblici. Tutto il settore della produzione, del trasporto, del consumo, del riscaldamento, va ripensato per questo periodo di transizione alla nuova città. Contemplando insieme le opportunità digitali e le esigenze ambientali. Non per nulla, sulla scorta di un’intuizione dell’economista Mariana Mazzucato, la Commissione europea ha lanciato una delle sue missioni proprio nella direzione dell’innovazione necessaria per avere città, contemporaneamente, intelligenti dal punto di vista tecnologico e neutrali dal punto di vista delle emissioni. «Più di metà della popolazione mondiale oggi vive nelle città. E ci si aspetta che arrivi all’80% entro il 2050. Le città sono i centri delle attività economiche, della generazione di conoscenza, dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Le città hanno un impatto enorme sulla qualità della vita dei cittadini che ci vivono o ci lavorano e contribuiscono in modo determinante alle sfide globali che l’umanità deve affrontare» si legge nella presentazione della missione. La lotta all’inquinamento, l’uso intelligente delle tecnologie, il processo dell’innovazione non sono più argomenti separati ma sono aspetti della stessa vicenda.
Per questo vale la pena di seguire lo sviluppo delle analisi che il World economic forum (Wef) sta dedicando all’inquinamento nelle città, che uno studio di Harvard peraltro collega alla durezza delle conseguenze dell’epidemia di Covid-19, saldando tutti i temi sui quali occorre più impegno innovativo in un’unica questione: sostenibilità, inquinamento, crisi economica e innovazione digitale, epidemia e innovazione dotata di senso. Dice il World economic forum: «Pulire l’aria produce una migliore salute per gli umani, un contenimento del cambiamento climatico, una protezione della biodiversità. Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle persone, l’ambiente e l’economia globale sono profonde e spesso poco riconosciute. Il peso dell’inquinamento tende a essere più grave nelle nazioni più povere e nei gruppi sociali marginalizzati dei paesi ricchi. Ma la buona notizia è che si può eliminare una gran parte dell’inquinamento con tecnologie esistenti e pratiche conosciute, a un costo sorprendentemente basso, se si investe strategicamente in infrastrutture, servizi e incentivi. Eppure, anche quest’anno, nonostante la riduzione di emissioni di CO2 dovuta alla crisi del Coronavirus, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera continuerà ad aumentare. Semplicemente questo aumento ha rallentato, dell’11%, dicono a CarbonBrief. Come osserva Science, comunque, gli investimenti pubblici che saranno decisi per recuperare crescita dopo il lockdown possono essere destinati ad azioni che prendano di mira non un solo problema ma tutto l’insieme delle questioni aperte e urgenti per il futuro del pianeta. E nulla vieta di decidere le azioni di sostegno all’economia in modo da affrontare anche i problemi della sostenibilità. Al Wef sostengono che «Le città devono essere all'avanguardia nel miglioramento della qualità dell'aria, ma non possono farlo da sole. Le città ospitano già oltre la metà della popolazione mondiale e si prevede che entro il 2050 cresceranno di circa 2,5 miliardi e mezzo di persone in più. Le città sono anche i punti più problematici per l'inquinamento atmosferico. Le aree urbane hanno un'alta concentrazione di fonti di emissioni: veicoli, edifici, attività industriali, rifiuti e acque reflue, per non parlare del gran numero di persone che cucinano, riscaldano, illuminano e puliscono. Anche gli alberi nelle città a volte inquinano; mentre possono fornire acqua di raffreddamento e controllare l'acqua piovana, nelle giornate più calde le loro foglie rilasciano sostanze chimiche organiche volatili che contribuiscono alla formazione dell'ozono. L'inevitabile interazione delle emissioni urbane con l'inquinamento proveniente dall'agricoltura, dagli incendi boschivi, dalla combustione delle colture e dalle centrali elettriche nelle aree limitrofe non fa che aggravare la situazione. Tuttavia, le città sono anche ben posizionate per guidare la carica contro l'inquinamento atmosferico, sia per se stesse che per coloro che condividono la loro aria. Sono centri di innovazione tecnologica e di governance volti a individuare nuovi modi per cucinare, riscaldare, illuminare, spostare e produrre con minori emissioni, ad esempio. Hanno anche la densità necessaria per consentire opzioni di trasporto a basse emissioni e, attraverso alcuni cambiamenti nella pianificazione e nell'uso del territorio, riducono la necessità di viaggiare con qualcosa di diverso piedi e pedali». Inoltre, «le città possono stabilire restrizioni di zonizzazione che essenzialmente ridistribuiscono l'inquinamento ambientale, anche se la riduzione delle emissioni alla fonte può richiedere azioni e investimenti al di fuori dei limiti della città. Inoltre, è importante un più ampio coordinamento normativo, poiché gli sforzi per regolamentare l'inquinamento industriale o alla fonte possono motivare gli inquinatori a trasferirsi in altre giurisdizioni più permissive che non hanno lo stesso tipo di standard in vigore».
La mobilità può essere studiata più a fondo sfruttando i dati, anonimizzati, dei cellulari. Dino Pedresch, Fosca Giannotti e la loro squadra tra il Cnr e l’università di Pisa, nel periodo del lockdown, hanno prodotto un paper in materia, scoprendo come la clausura abbia cambiato le abitudini di mobilità rendendole più prevedibili, in modo tale che questi dati potrebbero diventare preziosi per delimitare le zone a rischio di contagio e liberare quelle che lo sono meno. Ma il servizio può diventare la base per una conoscenza necessaria a ridurre le emissioni, aumentando la resilienza e incentivando i movimenti con mezzi sostenibili.
Insomma, anche a causa dell’esperienza della clausura per il contenimento generico dell’epidemia e alla ricerca di forme più evolute di contenimento per il futuro, i due grandi motori del cambiamento, digitalizzazione e ricerca della sostenibilità, convergono. La nuova direzione dell’impegno innovativo richiede di prenderli in considerazione insieme.
di Luca De Biase, giornalista
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