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Riportare in vita i mammut per prevenire il disgelo del permafrost

Nella Siberia settentrionale, un padre e un figlio stanno tentando di “ripristinare” l’era glaciale popolando una riserva naturale con animali erbivori.

di Andrea De Tommasi

L’invasione dell’Ucraina e le sanzioni contro la Russia hanno anche un impatto sulla ricerca scientifica nell’Artico. L’interruzione delle collaborazioni internazionali presso il Consiglio artico compromette lo studio di una delle regioni più vulnerabili al cambiamento climatico. Secondo diversi studi, infatti, nel prossimo futuro il riscaldamento e lo scongelamento dell'Artico aggiungerà l'equivalente di un grande Paese industrializzato alla traiettoria delle emissioni globali. I virus “zombie” che emergono dallo scongelamento del permafrost della Siberia, identificati in un recente studio da un team internazionale di ricercatori, non rappresenterebbero per ora una vera minaccia per gli umani o gli animali. Tuttavia dimostrano come lo scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale potrebbe risvegliare microrganismi sconosciuti e potenzialmente pericolosi.


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Di certo, i cambiamenti del permafrost hanno importanti implicazioni per i sistemi naturali, gli esseri umani e l'economia delle terre settentrionali. Si stima che il permafrost settentrionale contenga fino a 1.600 miliardi di tonnellate di carbonio, ovvero il doppio di quello che si trova attualmente nell'atmosfera e il triplo di quello rinchiuso nelle foreste di tutto il mondo. Una soluzione d’ingegneria ecologica potrebbe aiutare a mitigare il cambiamento climatico nell’Artico. Nella regione della Yakutia (Siberia Orientale), a 130 km a sud della costa artica della Russia, lo scienziato Sergey Zimov sta cercando di rallentare il disgelo popolando una riserva naturale, chiamata Parco del Pleistocene, con grandi erbivori tra cui bisonti, cavalli e cammelli. Tali animali calpestano la neve, rendendola molto più compatta in modo che il freddo invernale possa penetrare nel terreno, piuttosto che fungere da spessa coltre isolante. “Per stabilizzare il clima globale, avrei bisogno di almeno 200 milioni di erbivori”, ha affermato nel 2021 Zimov, che è fondatore e direttore della Northeast Science Station a Cherskii, in Russia. La parte più ambiziosa del piano dello scienziato prevede addirittura la de-estinzione del mammut lanoso, estinto da migliaia di anni, attraverso delle tecniche genetiche.

L’area che Zimov e suo figlio stanno rinaturalizzando copre ora 20 chilometri quadrati e ospita circa 200 specie diverse, che secondo loro stanno rendendo il permafrost più freddo rispetto ad altre aree. E un articolo pubblicato su Nature’s Scientific nel 2020 suggerisce in effetti che gli animali nel Pleistocene Park hanno ridotto della metà la profondità media della neve e la temperatura media annuale del suolo di 1,9 gradi Celsius, con un calo ancora maggiore in inverno e in primavera. “La nostra civiltà non è in grado o non vuole condividere lo spazio vitale con gli ecosistemi selvaggi: tendiamo a distruggerli e poi a dichiarare i loro pietosi resti 'riserve naturali'. Se tratti la natura in questo modo, è difficile che ci aiuti a salvare il clima”, ha affermato lo scienziato a Nature.

Questi metodi “non convenzionali” possono essere un'efficace strategia di mitigazione del cambiamento climatico? Secondo il settimanale The Economist, i risultati del Pleistocene Park “sono promettenti” e “diversi aspetti delle teorie di Zimov sembrano reggere, anche se possono apparire paradossali”. Per implementarli, però, su una scala in grado di influenzare sostanzialmente il clima globale, servirebbe reintrodurre negli ecosistemi centinaia di migliaia, forse milioni, di animali: un compito “gigantesco”, che avrebbe bisogno del sostegno dei governi e delle popolazioni locali.

di Andrea De Tommasi

fonte immagine: profilo Twitter Pleistocene Park

mercoledì 28 dicembre 2022