Il riscaldamento del Mediterraneo sarà una delle grandi emergenze dei prossimi dieci anni
I modelli climatici mostrano che le ondate di calore e la siccità di questa estate potrebbero essere un presagio del futuro nella regione. Anche le aree costiere italiane rischiano pesanti conseguenze in mancanza di strategie sistemiche di adattamento.
di Andrea De Tommasi
Dopo aver registrato in Europa l’estate più calda e secca degli ultimi 500 anni e nel contesto di una crisi climatica globale, il mar Mediterraneo deve affrontare sfide particolarmente significative. Per dirla con il climatologo Carlo Buontempo, direttore del servizio Copernicus Climate change dell’Unione europea, "il Mediterraneo ribolle, la temperatura è ormai di cinque o sei gradi oltre il valore normale” (El Pais). Sappiamo che la temperatura globale del pianeta è aumentata e anche quella del mare. Il cambiamento climatico provocato in gran parte dalle emissioni climalteranti di origine antropica ha contribuito a far salire il livello medio dei nostri mari di oltre 25 centimetri negli ultimi 30 anni. Ma cosa accadrà al Mediterraneo nei prossimi decenni? “Ondate di calore, siccità, incendi, innalzamento del livello del mare, danni alle infrastrutture costiere”, commenta Paola Mercogliano, responsabile della Divisione modelli regionali e impatti geo-idrologici dalla Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), “sono tra gli impatti che la regione può aspettarsi molto più rapidamente di quanto si pensi. La situazione che abbiamo davanti e la velocità con cui determinati fenomeni si stanno manifestando ci portano a pensare che questa sarà l’emergenza dei prossimi dieci anni. Ora lo vediamo con le ondate di calore, che sembrano un evento eccezionale ma in realtà è in linea con quanto ci aspettiamo dai cambiamenti climatici”.
Allerta precoce. La maggiore tendenza al riscaldamento (+20% rispetto alla media globale) e il calo delle precipitazioni fanno del Mediterraneo un hotspot del cambiamento climatico. Sono quattro i rischi che per la comunità scientifica minano l’equilibrio di quello che i latini definirono con l’appellativo di Mare internum, in contrapposizione all’oceano o mare esterno, e che si si estende dalle grandi catene dell’Asia centrale a gran parte del bacino mediterraneo: clima, inquinamento, uso del suolo e del mare e specie non autoctone. Nel 2020, gli esperti di MedECC, una rete indipendente di scienziati, hanno pubblicato il primo rapporto di valutazione del Mediterraneo, che ha rivelato come sia “praticamente certo” che il riscaldamento della superficie del mare fino a 4 gradi Celsius continuerà in questo secolo a seconda dello scenario (basse o alte emissioni di gas serra).
Il livello medio del mar Mediterraneo è aumentato di 6 centimetri negli ultimi 20 anni. Per gli scienziati è “probabile” che questa tendenza acceleri (con differenze regionali) del tasso globale di 43-84 cm fino al 2100, ma “forse di oltre 1 metro” nel caso di un’ulteriore destabilizzazione della calotta glaciale in Antartide. Non certo una buona notizia, visto che l'aumento delle temperature influenzerà tutti gli aspetti della vita, afferma il Rapporto, dalla disponibilità d’acqua, agli ecosistemi, al cibo, alla salute e alla sicurezza dei 510 milioni di abitanti della regione. Sull’equilibrio degli ecosistemi, osserva il Rapporto, incide l’invasione di molte specie non autoctone, pesci, meduse, gamberi e altre specie provenienti in particolare dal Mar Rosso ma anche attraverso lo Stretto di Gibilterra, per via del trasporto marittimo e l'acquacoltura.
Ci sono dunque prove solide che la regione del Mediterraneo continuerà a riscaldarsi notevolmente. Anche secondo la proiezione Enea al 2100, che considera lo scenario più pessimistico dell'Ipcc (SSP5-8,5), l’aumento della temperatura del Mediterraneo proseguirà e, allo stesso tempo, diminuirà la salinità dell’acqua superficiale nella parte occidentale del bacino, interessato dalla corrente atlantica. Per produrre queste stime i ricercatori Enea sulla modellazione climatica hanno sviluppato un modello matematico avanzato, denominato Med16, in grado di riprodurre il più fedelmente possibile la variabilità del livello del Mediterraneo secondo le sue differenziazioni geografiche. Oltre all'innalzamento del livello del mare, il modello rileva come il riscaldamento delle acque abbia un altro effetto, quello di inibire in parte la formazione di acque profonde che, trasportando ossigeno agli strati profondi, consentono al mare di “respirare”, creando le condizioni per la sopravvivenza degli habitat naturali.
Gli effetti dei cambiamenti climatici sull’Italia. La recente ondata di caldo ha messo in evidenza in Europa e in misura significativa in Italia i rischi per le risorse idriche (la siccità ha prosciugato il Po), l’aumento degli incendi boschivi e le conseguenze per il settore agricolo (riduzioni delle rese e consistenti perdite). Coldiretti ha affermato che un terzo delle aziende agricole italiane è ora costretto a produrre in perdita a causa della crisi alimentare globale e della siccità in corso. D’altra parte, nel medio e lungo termine l’innalzamento del livello dei mari dovuto al cambiamento climatico accresce la vulnerabilità dell’Italia e aumenta il rischio di inondazioni delle città costiere. In alcuni centri, come Venezia, il rischio è addirittura più grave per fenomeni di subsidenza, ovvero lenti abbassamenti della superficie terrestre dovuti a cause naturali o antropiche.
“Quando il livello del mare aumenta e cresce il rischio di mareggiate”, avverte Mercogliano, “può mettere in crisi tutte le infrastrutture costiere d’Italia e i relativi servizi. Stiamo parlando di fenomeni che interessano una grande parte della fascia costiera italiana, soprattutto quella adriatica. La capacità dell’Italia di rispondere a queste variazioni dipende molto dalle aree. Ad esempio, abbiamo regioni come la Sicilia che stanno facendo molto per l’adattamento, e lo stesso si può dire di città come Roma e Milano. L’adattamento vuol dire prima di tutto creare percorsi di consapevolezza e adottare buone pratiche di resilienza del contesto. Ci sono tuttavia altri contesti dove purtroppo mancano questi percorsi. Bisogna passare dalle buone pratiche ad azioni più sistemiche, anche perché i fenomeni si stanno verificando molto velocemente”. “Se oggi avessimo avuto dei sistemi di ottimizzazione della risorsa idrica”, osserva Mercogliano, “forse saremmo meno spaventati rispetto a questa carenza di precipitazioni che ci sta colpendo”.
Il rapporto “Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità”, prodotto da una Commissione di studio istituito dal ministero delle Infrastrutture della mobilità sostenibili e al quale ha collaborato anche la Fondazione Cmcc, illustra come la crisi climatica impatta e impatterà sulle infrastrutture e i sistemi di trasporto nazionali e locali. Da un lato strategie di adattamento più efficaci potrebbero riuscire a ridurre gli impatti climatici sulla società associati a scenari a bassa concentrazione di gas serra in atmosfera (si veda il Capitolo 5). Dall’altro, strategie di mitigazione rapide ed ambiziose, riducendo l’entità del danno, renderebbero meno costose e più efficaci le strategie di adattamento.
Le sfide. Per la prima volta nella storia delle Comference of parties (Cop) dedicate al clima , quest’anno la 27esima edizione in programma dal 6 al 18 novembre a Sharm Sharm el-Sheikh in Egitto ospiterà un Padiglione del Mediterraneo. L'iniziativa è concepita per evidenziare sia le sfide urgenti che la regione sta attualmente affrontando, sia le soluzioni innovative già sviluppate in tutto il Mediterraneo, sensibilizzando su una regione trascurata nei negoziati sul clima. “Il Mediterraneo ha la sua storia da raccontare”, ha dichiarato al portale Scidev.net Grammenos Mastrojeni, vicesegretario generale dell'Unione per il Mediterraneo. “Quindi, per la prima volta nella storia delle negoziazioni private, abbiamo deciso di riunire le parti interessate mediterranee che vanno da funzionari governativi, società civile, economia, scienza e finanza, per permettere loro di raccontare le loro storie”. "Se vogliamo affrontare il cambiamento climatico”, è l’analisi di Mastrojeni, “adessoe dobbiamo mettere insieme ciò che abbiamo, ad esempio, l'energia solare del Sud con la tecnologia dell'idrogeno del Nord. Abbiamo bisogno l'uno dell'altro. C'è molto nel Sud di cui ha bisogno il Nord, e c'è molto nel Nord di cui ha bisogno il Sud”.