Il benessere animale può contribuire alla riduzione delle emissioni
L’impatto ambientale di un miglioramento della salute degli animali allevati spesso non è considerato negli impegni nazionali sul clima. Servono maggiori investimenti per coglierne l’importanza, sostiene la Fao.
di Maddalena Binda
La salute, le malattie e la mortalità degli animali incidono significativamente sulle emissioni di gas serra. Il miglioramento della salute animale comporta, inoltre, un aumento della produttività, generando un impatto positivo sul commercio internazionale, una diminuzione dei rischi di esportare malattie esotiche. È quanto emerge dal brief “Il ruolo della salute animale negli impegni nazionali sul clima” redatto dall’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) in collaborazione con Global dairy platform e Global research alliance on agricultural greenhouse gases.
Gli allevamenti contribuiscono circa al 14,5% delle emissioni di gas serra e gli allevatori, soprattutto i proprietari di pascoli all’aperto, sono particolarmente esposti agli effetti dei cambiamenti climatici. Il ruolo strategico del settore zootecnico nella lotta ai cambiamenti climatici trova riscontro negli impegni assunti dagli Stati: da una sintesi dei contributi determinati a livello nazionale (National determined contributions - NDCs nell’acronimo in inglese) presentati nel 2021 si rivela, ad esempio, che il 30% dei Paesi ritiene pascoli e allevamenti una area prioritaria di intervento e che il 21% indica, tra le misure di mitigazione, una migliore gestione del letame e dei greggi.
Il ruolo della salute animale, tuttavia, è raramente preso in considerazione: su 148 Paesi che, a novembre 2021, hanno presentato o aggiornato i propri NDCs, solo quattro Stati hanno fatto riferimento, nel contesto delle misure di mitigazione e/o adattamento, alla salute animale.
La Fao sottolinea come gli attuali sistemi di misurazione non permettono di identificare il contributo della salute animale nella riduzione delle emissioni. La maggior parte dei Paesi adotta un metodo di misurazione, il livello 1 individuato dall’International panel on climate change (Ipcc) delle Nazioni unite, che permette di calcolare le emissioni prodotte per animale. Questo sistema, che non necessita di una ampia quantità di dati, non tiene conto delle differenze legate allo stato di salute e alla tipologia di allevamento. L’unica azione per ridurre le emissioni legate al settore zootecnico risulta, quindi, essere la diminuzione del numero di animali allevati. Il brief incoraggia gli Stati ad adottare sistemi più dettagliati, quali i livelli 2 e 3, per poter cogliere l’importanza della salute degli animali e sviluppare misure mirate.
Un’ulteriore sfida è rappresentata dall’inventario nazionale delle emissioni, incluso negli NDCs dei singoli Paesi. Esso prevede che gli Stati indichino le emissioni dirette di ogni settore: in ambito zootecnico questo significa calcolare le emissioni di metano causate dai processi digestivi degli animali e le emissioni di metano e ossido di azoto legate alla gestione del letame. Le emissioni derivanti dalla produzione di mangime e dal trasporto ricadono, invece, in quelle legate all’uso di suolo agricolo e al settore energetico. Per valutare l’impatto della salute animale sulle emissioni di gas serra è necessario, quindi, adottare un approccio integrato che coinvolga gli attori legati, direttamente o indirettamente, al settore zootecnico.