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Ipbes: gran parte dell’umanità dipende dalla sopravvivenza di 50mila specie selvatiche

L’ultima plenaria dell’organizzazione scientifica mette in chiaro che il modello economico è da cambiare se vogliamo tutelare la biodiversità del mondo intero e il benessere umano.

di Ivan Manzo

Il 9 luglio si è conclusa a Bonn la nona sessione plenaria dell'Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services (Ipbes), l’ente scientifico a supporto delle Conferenze sulla diversità biologica (Cbd) delle Nazioni unite, che in sostanza svolge il lavoro compiuto dall’Ipcc per la Conferenza sul clima.

Durante la settimana di lavoro i delegati di quasi 140 governi si sono riuniti in due gruppi di lavoro: uno si è occupato del funzionamento stesso dell’Ipbes e di come impostare il lavoro futuro della piattaforma che deve spingere il mondo a vivere in armonia con la natura entro il 2050 e fornire nuovi importanti report sul tema, come la prevista e attesa seconda valutazione globale sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici (qui una sintesi della prima valutazione del 2019); l’altro si è occupato dell'adozione degli studi relativi alla crisi della biodiversità che sta investendo il mondo e delle sintesi da sottoporre ai responsabili politici. Vediamo insieme i due principali lavori che sintetizzano anche i punti salienti emersi da questa intensa settimana di discussione.

Il sistema economico è responsabile della crisi ambientale

L’argomento è stato il più discusso del summit. Durante la riunione sono infatti emerse posizioni diverse sul linguaggio da usare e su come coniugare il settore commerciale con il depauperamento delle risorse naturali, anche in chiave di decisioni politiche da prendere. Alla fine però i delegati sono riusciti a trovate una quadra ed è stato pubblicato un “Assessment report” sul tema indirizzato ai decisori politici. La valutazione dell’Ipbes scrive chiaramente che “gli attuali valori di mercato non riflettono in valore della natura per gli essere umani” e che è l’attenzione alla sola crescita e al profitto ad aver “portato alle crisi ambientali” a cui dobbiamo far fronte, in primis quella della biodiversità e quella climatica. Per invertire la situazione occorre “tener conto nel processo decisionale di tutti i benefici che la natura offre agli esseri umani”. L’attenzione focalizzata solo sul mercato, sui profitti a breve termine e sulla crescita economica ha fatto sì che in questi anni venissero ignorati i benefici offerti dalla natura, portando a decisioni sbagliate che “hanno ridotto il benessere delle persone e hanno contribuito alle crisi climatiche e della natura”. Per raggiungere lo sviluppo sostenibile, gli approcci qualitativi devono essere incorporati nel processo decisionale.

“La natura è ciò che ci sostiene tutti. Ci fornisce cibo, medicine, materie prime, ossigeno, regolazione del clima e molto altro ancora. La natura, in tutta la sua diversità, è il bene più grande che l'umanità possa mai desiderare”, ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep), “Eppure il suo vero valore è spesso escluso dal processo decisionale. E così si perde nella ricerca del profitto a breve termine. Se non apprezziamo la natura e non la inseriamo nel processo decisionale continuerà a essere persa, una cattiva notizia per l'umanità. La valorizzazione della natura è fondamentale per il successo del Global biodiversity framework post-2020, attualmente in fase di negoziazione tra gli Stati membri delle Nazioni unite. Questa relazione chiarisce che dobbiamo porre la valutazione scientifica della natura al centro del processo decisionale economico. L'Onu ha adottato il System of environmental and economic accounting (Seea) come standard per i conti nazionali dei Paesi. Dobbiamo assicurarci che sia implementato in tutto il mondo, per apprezzare finalmente la natura per il suo incredibile contributo e quindi proteggerla".

Orientare il processo decisionale ai molteplici valori della natura è dunque un pezzo importante del cambiamento trasformativo a livello di sistema necessario per affrontare l'attuale crisi globale della biodiversità. Questo processo passa sia dalla ridefinizione dei concetti di “sviluppo” e “buona qualità della vita” e sia dal riconoscimento delle connessioni presenti tra persone, economia e mondo naturale. Basti pensare che oltre il 50% del Pil mondiale dipende in maniera diretta o indiretta dalla biodiversità. Gli autori dello studio identificano quattro "punti chiave" che possono aiutare a creare le condizioni per il cambiamento trasformativo necessario per un futuro più sostenibile e giusto: riconoscere i diversi valori della natura; incorporare la valutazione nel processo decisionale; riformare le politiche e le normative per internalizzare i valori della natura; far leva sugli obiettivi globali di sostenibilità e di giustizia.

Le specie selvatiche supportano (almeno) metà popolazione mondiale

Altro importante lavoro di ricerca pubblicato dall’Ipbes è quello relativo alle specie selvatiche e alla loro importanza nella formazione del benessere umano. Secondo il “Sustainable use of wild species assessment summary for policymakers” i benefici offerti dai servizi ecosistemici connessi a piante selvatiche, animali, funghi e alghe supportano in maniera diretta la vita di almeno metà popolazione mondiale. Tuttavia si tratta di pezzi di biodiversità messi a rischio dall’attività antropica, visto che il loro futuro è minacciato dallo sfruttamento eccessivo delle risorse.

Lo studio approfondisce anche la questione legata alla crisi alimentare globale esacerbata dall’invasione russa in Ucraina, e si interroga su come utilizzare in modo sostenibile gli ecosistemi.

Gli esseri umani sfruttano gli ecosistemi in vari modi, ne sono un esempio la produzione di cibo e la legna da ardere, due questioni collegate tra loro visto che ancora una persona su tre nel mondo ha bisogno della legna per cucinare. La natura rappresenta la chiave per il sostentamento e la sopravvivenza di miliardi di persone nei paesi sviluppati e in via di sviluppo.

Attingendo a oltre sei mila fonti, i 200 autori della ricerca (approvata da 139 Paesi durante la plenaria) hanno scoperto che sono circa 50 mila le specie selvatiche che vengono utilizzate dall’uomo in svariati settori, come quello della medicina, dell'energia, del cibo (più di 10 mila solo per il settore alimentare), dei materiali da costruzione, della ricreazione e delle pratiche culturali indigene. In generale il Rapporto ha stimato che circa il 25% delle specie dei gruppi animali e vegetali monitorati è a rischio. “Oggi un milione di specie sono a rischio di estinzione. E l'uso insostenibile, illegale e non regolamentato delle specie è una parte importante del problema. Per esempio, il solo commercio illegale di specie selvatiche è un'attività che ammonta a 23 miliardi di dollari l’anno e riempie le tasche di pochi individui senza scrupoli. Queste persone si arricchiscono a spese della natura e degli ecosistemi”, ha dichiarato sempre Andersen su questo altro lavoro Ipbes, “inoltre questo commercio priva anche i Paesi, le popolazioni indigene e le comunità locali dell'accesso alle proprie risorse e a mezzi di sussistenza sicuri. È fondamentale garantire un uso sostenibile e una condivisione equa dei benefici ecosistemici, in particolare per le popolazioni più vulnerabili e le comunità che sono custodi oggi della natura. L'uso sostenibile può fornire un forte incentivo alla conservazione e al vivere in armonia con la natura. La valutazione sull'uso sostenibile delle specie selvatiche dell'Ipbes, il cui segretariato è ospitato dall'Unep, è un contributo vitale agli sforzi globali per garantire che ciò avvenga".

Secondo l’analisi condotta dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) su questo documento gli esseri umani consumano o usano direttamente:

  • 500 specie di pesci selvatici e invertebrati acquatici;
  • 100 specie di piante selvatiche (di cui 7.400 alberi) e 1.500 specie di funghi;
  • 700 specie di invertebrati terrestri selvatici;
  • 500 specie di anfibi selvatici, rettili, uccelli e mammiferi;
  • ogni anno circa 8 miliardi di persone visitano le aree protette, generando circa 600 miliardi di euro di introiti;
  • un terzo dell'umanità - circa 2,4 miliardi di persone - fa affidamento sulla legna da ardere per cucinare, di cui 1,1 miliardi di persone senza accesso all'elettricità;
  • due terzi del legno da opera globale è fornito da specie di alberi selvatici;
  • il 12% delle specie arboree selvatiche minacciate da pratiche selvicolturali insostenibili;
  • 341 specie di mammiferi selvatici sono minacciate da pratiche di caccia non sostenibili, comprese 669 specie già valutate come minacciate;
  • il 55%-75% della biomassa della carne selvatica deriva dalla caccia ai grandi mammiferi;
  • il 34% degli stock di pesci selvatici marini è sovra sfruttato;
  • 449 specie di squali e razze sono classificate come maggiormente minacciate a causa di pratiche di pesca non sostenibili;
  • il valore annuo del commercio illegale di specie selvatiche (soprattutto legname e pesce) potrebbe raggiungere i 196 miliardi di euro, il che lo rende la terza classe di commercio illegale al mondo.

In generale, la sopravvivenza del 70% delle popolazioni povere è direttamente legata ai benefici offerti dalla natura. Tra gli esempi di pratiche dannose viene citato l’attività di disboscamento che in questo momento minaccia una specie di albero su dieci. Inoltre il Rapporto identifica i cambiamenti degli habitat e dei paesaggi terrestri e marini, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive come fattori determinanti che influiscono sull'abbondanza e sulla distribuzione delle specie selvatiche dato che “agiscono anche come moltiplicatore di stress”.

Infine, l’Ipbes descrive quali soluzioni mettere in campo per contrastare il declino delle specie selvatiche. Servono per esempio: politiche inclusive e partecipative, per far conoscere alla popolazione il ruolo svolto dalla natura; strumenti politici in grado di ripartire in modo equo e giusto costi e benefici dettati dal cambiamento; attività di monitoraggio e gestione di specie selvatiche; strumenti politici coordinati a livello internazionale, nazionale, regionale e locale, anche attraverso il mantenimento dei principi di coerenza e conformità con gli obblighi assunti in sede internazionale.

Ora tocca alla Cop 15 di Montreal

Questi studi dell’Ipbes serviranno anche da stimolo per la prossima Conferenza delle Nazioni unite sulla diversità biologica (Cop 15) che si terrà a dicembre a Montreal, in Canada. La Cop 15 inizierà appena due settimane dopo la fine della Cop 27 sul clima in Egitto, dove i Paesi dovrebbero annunciare impegni più ambiziosi per il contrasto al riscaldamento globale. Essendo temi strettamente connessi, è probabile che i colloqui di Sharm el-Sheikh abbiano un impatto significativo sul vertice dedicato alla tutela della biodiversità e del benessere dell’intera umanità.

mercoledì 20 luglio 2022