Quale futuro con le macchine?
L’uomo si è messo nelle mani delle macchine senza nemmeno conoscerle a fondo e davvero le macchine potranno decidere in autonomia il futuro dell’umanità?
di Filippo Salone
A questa domanda pesante, sicuramente complessa, prova a rispondere Michele Petrocelli nel volume “inCOSCIENZA DIGITALE”. Lungi da evocare lo scenario apocalittico del Kubrick di 2001 Odissea nello Spazio, l’autore sceglie piuttosto di utilizzare la metafora della partita a scacchi tra uomo e macchina per enfatizzare tutti quelli interrogativi che ormai da tempo si pongono nella terra di confine posta tra etica e algoritmo.
Questo confine o limite è posto dalla tensione morale che solo l’umano può generare, partendo però dal presupposto della piena consapevolezza di quanto l’affidare responsabilità gestionali, divulgative, educative, agli algoritmi possa rivelarsi rischioso per il progresso dell’umanità. Specialmente e innanzitutto quando l’autonomia delle macchine viene invocata proprio per determinare quel progresso.
La pervasività della dimensione digitale e la crescita esponenziale delle applicazioni AI rende fondamentale la maturazione della consapevolezza di come l’impatto di questo salto tecnologico possa determinare lo sviluppo umano, in merito ai rapporti tra gli individui, alle dinamiche sociali, istituzionali e di governance e non da meno – specialmente per i più giovani – nel modo in cui esse incidono sulla formazione dell’identità e dell’agire civile.
Una maggiore consapevolezza è quindi la condizione essenziale per marginalizzare il rischio che l’uso intensivo della tecnica possa orientare la transizione verso modelli di sviluppo non del tutto sostenibili.
D’altra parte, osserva Petrocelli, è interessante (benché fisiologico, sia chiaro) il modo, straordinariamente umano, di utilizzare uno strumento, un’innovazione tecnologica, per pensare meno. Arrivano le e-mail e smettiamo di scrivere lettere, arriva lo smartphone e ci dimentichiamo le operazioni in colonna, arriva il navigatore satellitare e non siamo più in grado di orientarci in un quartiere.
L’uso dell’Intelligenza artificiale quindi secondo l’autore deve rimanere opportunità di progresso quale ausilio formidabile della nostra conoscenza e premessa informativa delle decisioni più complesse.
Tuttavia, l’uomo non deve assuefarsi al supporto della macchina ma continuare a coltivare creatività e intuizioni che le macchine non possono concepire. Il concetto di creatività come mera prerogativa dell’umano, ad esempio, seppure messo in discussione da alcuni fautori del “machine learning”, verte, secondo Petrocelli, su due basi autentiche: da un lato il principio di coscienza rispetto alla dimensione creativa e dall’altra l’utilizzo del pensiero laterale.
Questo non significa però, per l’autore, ricusare sic e simpliciter l’evoluzione continua dell’algoritmo.
C’è infatti una venatura di scetticismo ricorrente: di ciò che sta succedendo prendiamo il negativo, la resistenza a quel cambiamento che non potremmo comunque fermare, perché fa già parte di noi. Soprattutto, fa parte della vita dei nostri ragazzi. Oggi inibiamo ChatGPT, domani una società proporrà un nuovo strumento tecnologico e non avremo risolto niente. Sarebbe ora, piuttosto, di disegnare un nuovo approccio all’insegnamento, basato forse anche sulla consapevolezza che la tecnologia ha un valore positivo, se si sa come usarla. Lo strumento in sé non è tendenzialmente pericoloso, lo è forse non avere un metodo culturale per governarlo, perché non sia lui a governare noi, sostiene Petrocelli.
Con l’intelligenza artificiale le colonne d’Ercole della conoscenza sono state già spostate in avanti si potrebbe dire, ma non dovranno mai essere eliminate del tutto se si vuole perseguire un futuro realmente sostenibile per l’umanità.
Le redini devono rimanere salde nelle mani umane, attraverso, si è detto, l’acquisizione di una totale consapevolezza del potenziale delle macchine, senza eccessivo costruttivismo, nessun totem ma nemmeno teche conservative, piuttosto guidando il cambio di paradigma in atto e valorizzando le prerogative umane di adattamento e trasformazione. E dunque è bene sempre riconoscere l’intelligenza autentica del nostro essere umani, quella dote di coscienza che a pensarci bene è l’unica costante che rimane mentre intorno tutto cambia.
Si tratta di spunti non certamente definitivi, e nonostante la sua consistente caratura (oltre 400 pagine) il volume di Petrocelli, forte di un approccio metodologico tipico della ricerca, riesce a istillare nel lettore ancora diversi interrogativi, aprendosi a uno dei dibattiti più fervidi del nostro tempo. Nel frattempo, però, chiosa Petrocelli, possiamo decidere se resistere al cambiamento (e restarne travolti), o se viverlo e plasmarlo.
di Filippo Salone, Fondazione Prioritalia e Consulta ASviS; dal 2019 è coordinatore del Comitato scientifico della Scuola estiva di alta formazione culturale Prioritalia-Apra "La sfida umana nell'epoca della trasformazione digitale"; dal 2022 è Consigliere direttivo Italiacamp con delega educazione e cultura.