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Collassologia, idea in espansione: una panoramica per orientarsi

Dal neologismo lanciato in Francia nel 2015 alla diffusione in Italia e nel mondo nell’epoca della pandemia: guida a un’idea che plasma l’immaginario contemporaneo. Genesi, critiche, contraddizioni, legami.

di Niccolò Gori Sassoli

La civiltà industriale, basata sull’uso intensivo dell’energia, sulla globalizzazione, sulla produzione e sui consumi di massa sta collassando. A sostenerlo è la collassologia, una corrente di pensiero e di ricerche transdisciplinari che analizza la crisi del modello di sviluppo economico e sociale tramite il quale una parte considerevole della popolazione umana può soddisfare i propri bisogni essenziali e aspirare a un accrescimento del proprio benessere materiale. 

Il termine collassologia è stato portato all’attenzione del grande pubblico dal saggio Comment tout peut s’effondrer: petit manuel de collapsologie à l’usage des générations présentes, uscito in Francia nel 2015. Gli autori Pablo Servigne e Raphaël Stevens - studiosi di biologia, agronomia e socio-ecosistemi - analizzano le cause del progressivo degrado della civiltà termoindustriale e i rischi delle conseguenze derivanti da cambiamenti climatici, inquinamento ambientale, catastrofi naturali e industriali, perdita della biodiversità, esaurimento delle risorse.

Riferimenti e narrazioni

Secondo i collassologi la civiltà non è minacciata da un unico grande evento disastroso ma da tante crisi di diversa ampiezza che stanno determinando l’irreversibile mutamento delle condizioni della biosfera che hanno offerto all’umanità l’attuale livello di prosperità. Il libro si riallaccia al Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma e all’opera di Jared Diamond e diventa in pochi mesi un “caso editoriale” vendendo decine di migliaia di copie in Francia e in Belgio e innescando un dibattito trasversale coinvolgente giovani e anziani, militanti ecologisti, intellettuali e scienziati, gilet jaunes e bourgeois-bohemian, politici, militari.

Le idee collassologiche si affinano negli anni con i contributi di riviste, corsi universitari e associazioni culturali. La più nota di queste, l’Institut Momentum, realizza uno studio per il think tank delle ferrovie Forum Vies Mobiles, firmato anche dall’ex ministro per l’Ambiente Ives Cochet, che fa discutere descrivendo come si vivrebbe nella regione di Parigi dopo un ipotetico collasso, nel 2050: in condizioni di scarsa (rispetto ad oggi) disponibilità di energia, lentezza negli spostamenti, con un’alimentazione basata sull’autoproduzione locale, un’economia e un welfare fondati sullo scambio e la solidarietà, l’impiego massivo di low technologies, la decentralizzazione delle organizzazioni politiche e sociali, la suddivisione in otto distretti bioregionali.

L’idea che l’umanità sia sulla strada del collasso cresce negli anni successivi in Francia e nel mondo. Soprattutto a partire dal 2018, con la popolarità di Greta Thunberg e delle sue narrazioni, alla luce della gravità degli scenari indicati dai nuovi studi sui cambiamenti climatici, all’emergere dei movimenti Fridays For Future ed Extinction Rebellion.

In Italia, nell’aprile 2019 sulla rivista Gli Asini, con l’articolo “Perché i 'collassologi' vanno presi sul serio (ma non troppo)” la sociologa Chiara Centemeri illustra le ragioni del “successo del fenomeno come proposta culturale” e ne presenta le critiche, come la “tentazione egemonica, l’occidentalocentrismo e la fede incondizionata nella sistemistica” concludendo che “limitare l’esercizio dell’immaginazione al collasso e a un mondo di tribù di sopravvissuti che ricreano un ordine post-carbone, rischia di alimentare un approccio tecnico-ingegneristico che pensa il mondo sociale con le categorie del probabile, invece che del possibile”.

Verso la collassosofia

Sul fatto che il cambiamento di paradigma necessario ad affrontare la crisi climatica passi innanzitutto da un’evoluzione dell’immaginario concordano le tante declinazioni con cui si interpreta la collassologia, mentre l’idea inizia a diventare di moda.

Nel 2020 la parola collapsologie entra nel popolare dizionario di lingua francese Petit Robert.

A febbraio, alla vigilia del primo lockdown in Italia, Treccani pubblica Un’altra fine del mondo è possibile: vivere il collasso (e non solo sopravvivere) scritto da Servigne e Stevens con il belga Gauthier Chapelle. Il libro si sofferma tra l’altro sulle modalità con cui il collasso viene percepito sui piani cognitivi, psicologici, etici, culturali. Illustra il concetto di dolore ecologico, in via di definizione e diffusione. Sostiene la necessità di trovare un nuovo approccio rispetto all’utilizzo delle scienze, delle tecnologie e dei dati, strumenti intrinsecamente acceleratori del percorso verso il collasso.

Vista l’impossibilità di comprendere “da dentro” il fenomeno - per la sua ineluttabilità, complessità, portata e imprevedibilità - Servigne e Stevens propongono di affrontarlo con una nuova filosofia, la collassosofia: domandarsi “oltre a cosa possiamo fare, chi possiamo essere”. Di imparare a vivere da collassonauti, immaginare il benessere da prospettive radicalmente diverse da quelle dominanti, superando lo specismo, l’estrattivismo, l’individualismo. Di “inventare nuovi mondi, tornare a una vita semplice, tessere legami con il selvaggio ritrovato, vivere insomma un’apocalisse e un happy collapse”.

Con l’avvento della pandemia, quando si generalizza anche in occidente la consapevolezza che nuove possibili catastrofi sono dietro l’angolo, l’idea allarga ulteriormente la sua portata. Se ne occupano media, studiosi, istituzioni, artisti: il collasso è un contenitore di significati mainstream che può essere osservato da molte prospettive.

Un fenomeno poliedrico

Per la rivista di Eurispes la collassologia offre “spunti di riflessione interessanti e utili, capaci di offrire un quadro di insieme sullo stato dell’arte del pianeta, con suggerimenti su nuovi e più virtuosi comportamenti, al di là di visioni apocalittiche, nella considerazione che, bene o male, ci troviamo, al netto di sostanziali differenze, tutti sulla stessa barca e che per non affondare occorre mantenere l’equilibrio e, preferibilmente, avere una rotta sicura”.

Alcuni la considerano una liberazione dall’economicismo e dal produttivismo che reggono ogni decisione umana. Altri un’ideologia che, in contrapposizione al negazionismo climatico, viene usata in funzione di un enorme processo di greenwashing di cui si avvantaggerebbero soprattutto i governi dei Paesi più potenti, le grandi imprese e le istituzioni sovranazionali che nella transizione vogliono consolidare le proprie posizioni di forza. È il caso del geografo Philippe Pelletier, che nel saggio Clima, capitalismo verde e catastrofismo, pubblicato dalla casa editrice libertaria Elèuthera nel 2020, analizza le strumentalizzazioni dell’ecocatastrofismo da parte del capitalismo verde.

Le critiche alla collassologia arrivano non soltanto da chi propugna tesi complottiste oppure dai fautori di proposte politico-culturali di matrice identitaria, nazionalista o sovranista ma anche dagli ambienti che per primi ne hanno accolto e approfondito le tesi.

Nell’editoriale del numero di novembre 2021 del magazine radicale Menelique si menzionano per esempio le distorsioni con cui vengono narrate le catastrofi contestando “l’appropriazione della causa ambientalista per veicolare rapporti di supremazia e potere” che andrebbero superati con un “mutamento più radicale: dobbiamo ripensare le relazioni che intratteniamo con l’ambiente e con l’animalità non umana, includendo nel nostro orizzonte una serie di Ecologie che conseguano a una rinuncia dei nostri privilegi e del nostro sguardo che identifica ciò che è altro (specie animali e vegetali, luoghi, culture, persone) come qualcosa che è a nostra disposizione”.

Ricostruire l’immaginario della civiltà

La necessità di superare lo specismo e costruire una nuova narrazione del nostro stare al mondo è un fil rouge che unisce riflessioni più alternative e proposte pop, come quelle di ReWriters. Un’associazione, testata giornalistica, cultural brand e movimento che ha lanciato un Manifesto, sottoscritto da personalità di provenienze eterogenee, con “l’obiettivo di riscrivere l’immaginario della contemporaneità per costruire nuovi paradigmi che possano orientare le prossime generazioni nello sviluppare buone pratiche… una comunità valoriale che pone la collettività e il bene comune al centro e che, in nome della giustizia intergenerazionale, si assume la responsabilità di promuovere ogni tipo di sostenibilità, una relazione di reciprocità con l’ambiente e con le altre specie animali… attivisti vocazionali laici che riscrivono la materia dell’oggi a partire dalla cultura, dall’arte, dall’informazione”.

Tra chi si dedica alla costruzione di nuove narrazioni letterarie c’è lo scrittore e antropologo Matteo Meschiari. Con il recente Geografie del collasso (Piano B Edizioni, 2021) invita a “sintonizzarsi sul presente cercando paradigmi percettivi diversi e inventando esercizi cognitivi nuovi, per guardare nella nebbia che viene” attraverso la lettura di nove parole chiave: collasso, catastrofe, cosmologia, stupidità, complessità, trauma, sopravvivenza, immaginazione, cultura. Nel libro si parla del Covid come del “primo vero grande trauma collettivo dell’Antropocene - che avrà come effetto - forse quello di preparare l’umanità al prossimo step cognitivo, l’accettazione del collasso ambientale come problema numero uno della specie”.

La convinzione che l’umanità sia in pericolo si consolida progressivamente, non soltanto tra le tribù del collasso ovvero “survivalisti, doomer, tecno-ottimisti, compostisti e nuove umanità alla fine del mondo” di cui Alessio Giacometti propone una sintetica guida bibliografica ma anche tra i principali fautori della crescita lineare dello sviluppo. Come i manager della finanza, come si racconta qui citando le dichiarazioni dei vertici di Bnp Paribas Asset Management secondo cui “il collasso degli ecosistemi è già in corso e sta seguendo processi biologici e complicate interazioni tra specie, non le leggi dell'economia o l'analisi statistica”. O come le rappresentanze mondiali della logistica, che di recente hanno scritto all’Onu paventando un collasso globale delle catene di approvvigionamento.
Tra gli analisti finanziari la rassicurante percezione maturata all’indomani della crisi del 2008 secondo cui certe grandi imprese (ma anche Stati, filiere, sistemi) siano troppo grandi per fallire si trasforma nell’inquietante constatazione che siano invece troppo complesse per sopravvivere.
 
L’utopia della resilienza

A sei anni dall’uscita del primo libro sulla collassologia, nel giugno del 2021 Treccani pubblica l’ultimo libro di Servigne e Stevens, sostenendo che “la vera utopia, oggi, sia diventata la convinzione che tutto possa andare avanti come prima. Il collasso è l’orizzonte della nostra generazione, è l’inizio del suo futuro. Cosa succederà dopo?”

Nel libro si parla tra l’altro di resilienza – una parola diventata un passpartout, addirittura un valore che orienta le scelte con cui ci si prepara alla transizione - in funzione del suo contrario, dell’istèresi, ovvero dell’impossibilità per un sistema di tornare allo stato che lo caratterizzava prima di uno shock.

“Una volta guastato, l’ambiente è compromesso e non torna più com’era prima, rimane alterato. Ci si può solo adattare al fatto che non possa essere ripristinato in tempi ragionevolmente brevi – scrive ancora Giacometti sul Tascabile, rivista online di Treccani - non ci adatteremo alla crisi climatica senza sacrificare nulla di noi stessi. Riconoscere l’isteresi climatica significa fare esercizio di accettazione nei confronti di tutto ciò che il riscaldamento globale esigerà di sottrarci... A livello macroeconomico dovremo inventare un’economia di “discesa energetica” e allargare lo spazio a beneficio di tutti i modelli alternativi di società oggi ai margini, dall’agroecologia alla decrescita… Sul piano personale dovremo liberarci dalla nostra pretesa di stanzialità, dal nostro bisogno di controllo, dall’illusione di possedere il posto in cui nasciamo e da tutte quelle altre scorciatoie di pensiero che ci ostacolano nel vedere un mondo già cambiato. Continuare a pensarsi resilienti è soltanto un inganno della mente”.

La prestigiosa Treccani, un’istituzione “di interesse nazionale” (il cui presidente viene nominato dal capo dello Stato italiano) alimenta con le sue pubblicazioni un dibattito centrato su idee fino a pochi anni fa eretiche. È l’ennesimo segnale della dirompenza degli sconvolgimenti che stanno mettendo in discussione il confortevole immaginario dominante dei sapiens dominanti e, secondo i collassologi, possono liberare l’umanità da punti di vista e atteggiamenti intrinsecamente autodistruttivi.

Trasformazioni epocali con cui la Fondazione Prioritalia si confronta e si interroga, nella sua missione di piattaforma civica e culturale della comunità manageriale.

di Niccolò Gori Sassoli, giornalista

venerdì 19 novembre 2021