Il “breve-terminismo” è automatico
È soltanto superando il pensiero a breve termine che gli umani riusciranno a compiere i salti decisionali che servono a rilanciare il futuro dell’umanità. Per sperare che, come molti altri animali, anche la loro specie possa sopravvivere milioni di anni.
di Luca De Biase
A quanto pare, nella maggior parte dei casi, il cervello pensa prevalentemente a breve termine. Il giornalista della Bbc Richard Fisher sta scrivendo un libro in proposito e ha anticipato qualche sua considerazione sulla Technology Review del MIT. Fischer ha scoperto che l’immaginazione del futuro si popola man mano che le persone fanno esperienza. Il che è un fenomeno individuale ma anche collettivo: la conoscenza che l’umanità ha sviluppato sul futuro è cresciuta nel corso della storia. La visione prospettica è certamente alla base di alcuni grandi passaggi del progresso del genere umano.
Eppure, nella vita quotidiana, gli umani tendono a non pensare al futuro profondo e si chiudono in un “breve-terminismo” che la rete internet non ha fatto che alimentare. Lo intuiva peraltro anche il filosofo Remo Bodei già alla metà degli anni Novanta: il web sembra creare intorno alla coscienza una sorta di iper-presente, diceva, che elimina alcuni dei modi con i quali le persone facevano esperienza del tempo. François Hartog, autore di “Regimes of Historicity”, sostiene che gli umani si trovano in una fase di accorciamento della prospettiva, iniziata intorno alla fine degli anni Ottanta, che chiama “presentismo”. L’accorciamento delle prospettive aziendali con l’adozione dei trimestri è considerata una prova di questo. Ma la brevità della durata degli argomenti nei dibattiti politici dell’epoca dei social media sembra un altro segnale del fenomeno. Non mancano i tentativi di contrastare questo fenomeno, dice Fisher, come per esempio, dimostrano gli obiettivi stabiliti dall’Onu per l’Agenda 2030.
Di certo, l’umanità sta facendo l’esperienza di un momento storico nel quale le azioni collettive si riveleranno particolarmente gravide di conseguenze di lungo termine: non solo sul piano economico e tecnologico, ma anche e soprattutto climatico. E soltanto superando il “breve-terminismo” gli umani riusciranno a compiere i salti decisionali che servono a rilanciare il futuro dell’umanità per sperare che, come molti altri animali, anche la loro specie possa sopravvivere milioni di anni. Il che attualmente è in discussione. Fisher non ha ricordato peraltro il modello cognitivo dimostrato da Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, che ha osservato come nella maggior parte dei casi gli umani pensino in base all’intuizione e molto raramente in base al ragionamento controllato.
È probabile che il futuro si riesca a immaginare correttamente soltanto attraverso uno sforzo di ragionamento che non è intuitivo; le urgenze della vita quotidiana, invece, sono probabilmente più collegate all’intuizione, cioè al processo cognitivo che garantisce priorità alla “prima cosa che viene in mente” quando si tratta di prendere una decisione. È per questo, peraltro, che gli individui sono più deboli da soli che insieme: quando le istituzioni con le quali decidono insieme sono ben progettate, aiutano a prendere decisioni basate più sul ragionamento e meno sull’intuizione.
di Luca De Biase, giornalista