Le sfide nella gestione dell’acqua tra opportunità e disuguaglianze
Accesso all’acqua e salute umana sono gli obiettivi che la comunità internazionale dovrebbe porsi nei prossimi 20 anni. Eppure la pandemia di Covid-19 ha messo in luce come una risorsa tanto essenziale non sia equamente distribuita.
di Andrea De Tommasi
Dal 2000 ad oggi più di 1,8 miliardi di persone hanno ottenuto l’accesso all’acqua potabile e ai servizi idrici di base, ma persistono gravi disuguaglianze nell’accessibilità e nella qualità dei servizi tra Paesi e regioni del mondo. A tutt’oggi il diritto umano all’acqua, cioè l’accesso sicuro e garantito al minimo vitale, che l’Organizzazione mondiale della sanità fissa in almeno 50 litri a persona al giorno, non è garantito in diversi Stati e con molta probabilità, a livello di SDG 6 dell’Agenda Onu, l’obiettivo di garantire il diritto umano all’acqua non sarà raggiunto da tutti i Paesi aderenti entro il 2030. Si stima che un abitante del pianeta su dieci - 785 milioni in tutto - non abbia ancora un accesso sicuro all’acqua, inclusi quei 144 milioni di persone che per bere attingono l'acqua da bacini non controllati (Unicef-Oms). I dati mostrano che l'80% delle persone prive di accesso all'acqua potabile vive in aree rurali e che in circa un quarto degli Stati (24 su 90) per i quali sono disponibili dati disaggregati per fasce di reddito, la copertura di servizi idrici di base nelle fasce più benestanti (quintile con reddito più elevato) è come minimo doppia rispetto al quintile più povero.
Emergono gravi disuguaglianze anche nell'accesso ai servizi igienici, con solo il 45% della popolazione mondiale che usa servizi igienici sicuri, secondo Un Water. Ciò significa che più della metà della popolazione ha oggi la possibilità di lavarsi le mani, cioè di vivere in condizioni di sicurezza igienico-sanitarie indispensabili per poter contrastare pandemie come quella di Covid-19. Il restante 55% non può adottare azioni preventive a tutela della propria salute. Se gli attuali modelli di consumo continueranno, gli analisti ritengono che due terzi della popolazione mondiale abiteranno in Paesi con stress idrico entro il 2025.
Per concretizzare il diritto umano all’acqua, riconosciuto dalla risoluzione approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel luglio del 2010, alcuni movimenti in difesa dell’acqua e degli altri beni comuni ritengono che serva un’azione coordinata a livello di comunità internazionale, come ad esempio l’introduzione di strumenti giuridici e accordi vincolanti rispetto agli impegni degli Stati a garantire i diritti umani di base. “Sarebbe sufficiente che l’Assemblea dell’Onu o un gruppo di Stati proponesse uno strumento giuridico di diritto internazionale, che definisca le modalità con cui lo Stato prende a carico il costo e l’erogazione dell’accesso al minimo vitale e che gli Stati potrebbero sottoscrivere o ratificare”, dichiara Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano contratto mondiale sull’acqua (Cicma). “La triste realtà è che non esiste a livello di Stati la volontà politica di farsi carico dell’accesso ai diritti umani, che sono derubricati a diritti economici, sociali e l’approccio è di lasciare alla sovranità dei singoli Stati come interpretare la tutela diritti umani, anche se sanciti dalle Costituzioni. È stata questa la motivazione per cui a livello di SDG 6 dell’Agenda 2030, l’obbligo di garantire il diritto umano all’acqua, presente nella Bozza del segretario generale, è stato derubricato ad accesso attraverso un prezzo equo”.
In alcuni Paesi ha attirato diverse critiche la tendenza a privatizzare questa preziosa risorsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. D’altra parte, senza le aziende private che forniscono l’acqua per profitto in molte zone l’acqua potabile non arriverebbe. Ciò che appare certo è che l’economia che gira intorno all’acqua probabilmente crescerà parecchio nei prossimi anni. La minor disponibilità di acqua dolce che già oggi si registra, l’impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacciai, l’aumento dei consumi sono tutti fattori che determineranno nei prossimi anni una minor disponibilità di acqua per uso umano e produttivo in tutti i Paesi. Le grandi aziende che oggi si occupano di gestione dell’acqua, e solitamente anche di energia e rifiuti, dovranno trovare soluzioni nuove e sostenibili a problemi molto complessi. Le risorse idriche del Pianeta, le infrastrutture necessarie alla distribuzione, potranno diventare infatti una materia in grado di alimentare enormi business e drammatici conflitti.
Quanto è probabile che in futuro esplodano guerre per l’acqua? Alcuni ricercatori hanno valutato tali possibilità dal 75% al 95% nei prossimi 50-100 anni anche se l’intensità e le dimensioni dei potenziali conflitti restano da vedere. In particolare, i diversi punti caldi nel mondo in cui i conflitti “idro-politici” hanno maggiori probabilità di divampare sembrano concentrarsi intorno ai fiumi Nilo, Gange-Brahmaputra, Indo, Tigri-Eufrate e Colorado. Del resto, le ragioni di queste crisi vanno ben oltre la siccità: attraverso nuovi modelli idrologici , il World resources institute (Wri) ha scoperto che i prelievi di acqua a livello globale sono più che raddoppiati dagli anni '60 a causa della crescente domanda e non mostrano segni di rallentamento. Dunque, la crescita della popolazione, lo sviluppo socioeconomico e l'urbanizzazione stanno aumentando la domanda di acqua, mentre i cambiamenti climatici renderanno le precipitazioni e la domanda più variabili. Se i Paesi non agiranno, lo stress idrico rappresenterà una grave minaccia per la vita umana, i mezzi di sussistenza e la stabilità delle imprese.
La situazione in Europa e in Italia
A livello europeo, nonostante la maggioranza dei cittadini europei abbia garantito l’accesso all’acqua potabile per uso alimentare e igienico, permane una quota significativa di persone senza accesso ai servizi igienico-sanitari in casa. Questa percentuale nel 2018 si attestava intorno all’1,9% della popolazione. Persistono differenze a livello locale specie nei paesi dell’Est: in Romania, il 25,6% della popolazione non ha il bagno in casa. Il trattamento secondario delle acque reflue viene realizzato solo in 15 Stati membri su 27 e copre solo l’80% della loro popolazione. Un’ulteriore criticità a livello europeo è il sovrasfruttamento (eccessivi prelievi) delle risorse idriche, fenomeno che caratterizza l’Europa meridionale in particolare durante i mesi estivi e nelle aree densamente popolate come il Sud dell’Italia.
Secondo le statistiche Istat relative agli anni 2015 - 2018, l’Italia è al primo posto in Ue per i prelievi di acqua a uso potabile: 428 litri per abitante al giorno. Tuttavia, poco meno della metà del volume di acqua prelevata alla fonte (47,9%) non raggiunge gli utenti finali a causa delle dispersioni idriche dalle reti di adduzione e distribuzione. L’erogazione giornaliera per uso potabile è quantificabile in 220 litri per abitante, 21 litri in meno rispetto al 2012. Le famiglie allacciate alla rete idrica comunale che si ritengono molto soddisfatte del servizio offerto sono il 21,3%, quelle abbastanza soddisfatte il 63,3%. Il livello di soddisfazione complessivo varia sensibilmente sul territorio. Le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono nove su dieci al Nord, otto nel Centro e nel Sud e scendono a sette nelle Isole. Le famiglie che non si fidano a bere l’acqua di rubinetto rappresentano ancora una quota considerevole, nonostante il grado di fiducia mostri un miglioramento progressivo: si passa dal 40,1% del 2002 al 29,0% del 2018, per un numero complessivo di famiglie pari a 7 milioni 500 mila.
Le sfide del futuro
“Le sfide delle città italiane, soprattutto le Città metropolitane, rispetto all’accesso all’acqua”, riprende Lembo, “sono l’adozione di Piani di Sicurezza dell’Acqua (WSP) e di uso sostenibile delle risorse, obiettivi peraltro previsto dal Patto di Amsterdam, e l’adeguamento dei servizi di depurazione ai parametri delle direttive quadro della Commissione. Questa constatazione ha spinto il Contratto Mondiale sull’acqua a lanciare, nel giugno 2018, la proposta di adozione di una Carta delle città per il diritto umano all’acqua che, accanto alla sottoscrizione di tre principi (l’acqua è un diritto umano e un bene comune pubblico, modelli di gestione partecipata dai cittadini, la concretizzazione del diritto umano all’acqua per ridurre le disuguaglianze e contrasto alla povertà), propone attraverso un piano di azione alcuni provvedimenti e azioni che le città potrebbero adottare per promuovere l’accesso universale all’acqua negli spazi ed edifici pubblici e per la tutela e salvaguardia della risorsa. Questa proposta è stata sostenuta in fase di lancio dal Comune di Milano e può contare sull’adesione del Coordinamento Agenda 21 Locali, di Rete città sane-Oms e del Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti umani. La Carta è inoltre una proposta presente nella Agenda urbana delle città e nel Rapporto 2019 dell’ASviS. L’emergenza Covid ha purtroppo ritardato la formalizzazione dell’adesione alla Carta ma diverse proposte del Piano di azione sono state recepite ed adottate da alcuni Comuni”.
Garantire l’accesso all’acqua potabile sarà fondamentale in funzione dei crescenti trend di urbanizzazione a livello mondiale, che comporteranno un amento consistente della domanda energetica ed idrica. L’Onu prevede che entro il 2030 il numero totale delle megalopoli aumenterà da 31 a 41. Si stima che a tutt’oggi il 60% delle 482 città più popolose al mondo si trova in situazione di crisi idrica. Le donne e i bambini sono i più colpiti: i bambini perché sono più vulnerabili alle malattie dell'acqua sporca e le donne e le ragazze perché spesso sopportano il peso di trasportare l'acqua per le loro famiglie per circa 200 milioni di ore al giorno.
“Per preservare e salvaguardare l’accesso all’acqua”, conclude Lembo, “è necessaria una riconversione dei modelli di economia e processi produttivi, del ruolo degli Stati. Serve costruire un modello di economia inclusiva, fondato su regole e comportamenti in coerenza con la tutela dei diritti umani universale, con un modello di giustizia sul piano economico e sociale a tutela dell’accesso universale ai beni comuni, come sollecita Papa Francesco con la “Laudato Sì”.
di Andrea De Tommasi