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Auto elettriche: il nodo strategico delle batterie

Una componente che vale un terzo del costo del veicolo e che è soggetta a problemi e limiti di carattere economico, tecnologico e ambientale, ma anche geopolitico. Nei prossimi anni si opereranno investimenti elevati in tutto il mondo. La Cina guida l’assalto. Ma l’Europa non sta a guardare. 09/01/21

di Matteo Di Castelnuovo e Andrea Biancardi

La batteria è una delle componenti principali delle auto elettriche e sicuramente la più importante in termini economici rispetto alle auto “tradizionali”, rappresentando mediamente circa un terzo del costo totale di un’autovettura. La tecnologia dominante oggi è quella agli ioni di litio, che presenta diversi vantaggi rispetto alle alternative, a cominciare dalla possibilità di ricaricare la stessa batteria più volte.

Il costo di produzione delle batterie è diminuito sensibilmente negli ultimi anni, grazie soprattutto all’aumento della capacità produttiva, attraverso le cosiddette “megafactory” che permettono di conseguire significative economie di scala, come ad esempio quella costruita da Tesla in Nevada dotata di una capacità produttiva di 35 gigawattora (GWh). Secondo Bloomberg New Energy Finance, le batterie oggi costano circa 160 dollari per kilowattora (kWh), quando solo dieci anni fa il costo era di 1000 dollari/kWh, e nel 2023 si scenderà sotto i 100 dollari/kWh.

Alla maggiore economicità si aggiungono i miglioramenti nella chimica delle sue componenti, che permettono di aumentarne la sicurezza (le batterie agli ioni di litio corrono il rischio di surriscaldarsi facilmente), ridurne i tempi di ricarica, il peso e migliorarne le prestazioni garantendo nel complesso una maggiore autonomia su strada. Proprio l’innovazione nella chimica delle batterie costituirà una delle principali variabili attorno alla quale si giocherà la competizione tra le aziende del settore nei prossimi anni.  

 

Aumentare la produzione

Il problema di un costo ancora troppo elevato delle batterie è fondamentale non solo per le applicazioni nella mobilità elettrica. Infatti, la tecnologia agli ioni di litio, finora principalmente utilizzata nell’industria dell’elettronica, è anche la stessa adottata nei sistemi di stoccaggio stazionario che sempre più vengono dislocati lungo la rete elettrica o presso i punti di consumo, per bilanciare la crescente penetrazione delle rinnovabili intermittenti quali solare ed eolico.

Nel 2019 la produzione di batterie agli ioni di litio ha toccato i 160 GWh a fronte di una capacità produttiva di 285 GWh. Il ruolo da protagonista è della Cina: infatti, dei primi tre produttori mondiali in ordine di capacità installata, due, CATL e BYD, sono cinesi mentre il terzo è la coreana LG Chem. Inoltre, ben dieci aziende cinesi hanno annunciato piani per dotarsi di una capacità produttiva superiore ai 50 GWh, e sempre in Cina si trovano anche 88 delle 115 megafactory programmate. Fra dieci anni la Cina potrebbe coprire il 69% della produzione mondiale di batterie per una capacità produttiva a livello globale prevista al 2029 pari a 2,07 terawattora (TWh), in grado di soddisfare una domanda di 40 milioni di auto elettriche l’anno.

Potendo contare su un numero limitato di opzioni “domestiche” per la produzione nazionale di sistemi di accumulo, le aziende del settore automobilistico europeo hanno finora fatto ricorso soprattutto a contratti di lunga durata con produttori asiatici. Il blocco degli stabilimenti in Cina e le inevitabili interruzioni nelle linee di approvvigionamento in seguito al lockdown per il Covid-19 hanno però reso evidenti i benefici derivanti dal poter contare su un’industria europea delle batterie. Quest’ultima, infatti, anche se inizialmente meno vantaggiosa economicamente, nel lungo periodo consentirebbe di superare i rischi derivanti di interruzione delle forniture. Il progetto “European Battery Alliance” (EBA), lanciato nel 2017 dalla Commissione Europea, si prefigge proprio lo scopo di promuovere la creazione di un’industria delle batterie europea in grado di soddisfare la domanda interna e di far diventare l’Europa uno dei principali attori globali del settore nei prossimi anni.

 

La questione dei metalli rari

Se anche l’industria europea delle batterie si rivelerà in grado di colmare il gap con quelle asiatiche e statunitensi, rimane però un altro problema da risolvere: quello di garantire il sicuro approvvigionamento delle materie prime necessarie per la produzione. Infatti, litio, cobalto, nichel, manganese e grafite sono le principali materie prime, la loro domanda è aumentata notevolmente negli ultimi anni e il loro prezzo è cresciuto in misura significativa. Oltre al rischio potenziale di carenze di approvvigionamento o di colli di bottiglia, un’ulteriore criticità è rappresentata dalla forte concentrazione di riserve e produzione in pochi Paesi, similmente a quanto è avvenuto per gli idrocarburi.

Il Congo (RDC) detiene il 51% delle riserve mondiali di cobalto e controlla il 71% della produzione. La Cina è leader nel processo di raffinazione del cobalto, importandolo per la maggior parte proprio dalla RDC. Il 55% della produzione di litio è concentrato in Australia, mentre il Cile ha una quota di mercato pari al 23% e possiede il 51% delle riserve mondiali. Per assicurarsi continue forniture sia dall’Australia sia dall’America Latina, la Cina ha investito 4,2 miliardi di dollari negli ultimi anni. Per il nichel, l’Indonesia detiene la maggior quota di mercato (30%), mentre per il manganese i principali Paesi produttori sono Sud Africa (29%) e Australia (17%). Infine, per alluminio e grafite in testa è ancora una volta la Cina, con una produzione domestica rispettivamente pari al 56% e 63% della produzione mondiale.  

Vi è infine la questione delle terre rare, un gruppo di 17 elementi dalle proprietà particolari, che vengono impiegati per la produzione di motori a magneti permanenti delle auto elettriche, per le batterie delle auto ibride e altri prodotti ad alto contenuto tecnologico presenti nelle auto. La Cina è anche qui il principale protagonista. Possiede infatti il 63% della produzione mondiale e il quasi monopolio della raffinazione ed è

l’unico attore integrato su tutta la filiera.

La recente interruzione, a causa del Covid-19, di molte filiere di produzione globalizzate potrebbe inoltre riportare l’attenzione dei policy-maker e leader d’azienda sulla necessità di garantire alternative più sicure alle attuali forniture di metalli e risvegliare l’interesse per la ricerca, l’estrazione e la raffinazione di metalli sul suolo europeo.

 

L'impatto ambientale

Vi è infine un’ulteriore criticità da affrontare nella transizione verso la mobilità elettrica, ovvero la sostenibilità ambientale nella produzione delle batterie. Infatti, oltre all’energia necessaria per la produzione, l’estrazione e la raffinazione dei metalli comportano notevoli rischi di natura ambientale. L’impatto ambientale dell’estrazione è di norma molto superiore a quella dei materiali più comuni. Ma è la loro raffinazione, soprattutto concentrata in Cina, la fase che presenta gli impatti maggiori. Nel caso di alcuni metalli la raffinazione richiede l’utilizzo di acidi che molto spesso vengono riversati nei vicini corsi d’acqua con grave impatto sull’ecosistema locale. È stato inoltre stimato che, per soddisfare la domanda complessiva di prodotti high-tech, auto elettriche, tecnologie rinnovabili e militari, nei prossimi 30 anni saranno estratti più minerali di quanto l’uomo non ne abbia estratto negli ultimi 70mila.

di Matteo Di Castelnuovo e Andrea Biancardi, Just Energy Transition Team presso SDA Bocconi School of Management. 

martedì 9 febbraio 2021